La moda etica è davvero inclusiva?

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  Nadia Dalla Gasperina
  09 settembre 2022
  4 minuti, 29 secondi

Il dibattito fast- contro slow- fashion è diventato sempre più acuto, con chi pensa alla moda come qualcosa di transitorio, e chi invece si preoccupa della qualità dei vestiti che indossa. Il fast fashion è rappresentato da quei brand che tutti conosciamo, alla portata del portafoglio di tutti ma che offrono prodotti che durano poco e dalla dubbia provenienza. Lo slow fashion, invece, è un settore quasi più di nicchia che sta venendo alla luce solo negli ultimi anni grazie a coloro che cercano un’alternativa al consumismo dominante.

In poche parole, cos’è lo slow fashion?

L’abbigliamento slow fashion si propone di essere duraturo, etico, e sostenibile. Ciò significa che anche se il prezzo dei capi è un po’ più alto, possiamo usare il nostro prodotto per molto tempo, evitando di buttare l’intero armadio dopo solo una stagione; non solo, comprando capi “lenti” facciamo meno danno all’ambiente e a chi gli abiti li crea: i materiali usati provengono da fonti ecologiche e il processo produttivo è generalmente più monitorato e trasparente per l’acquirente, consentendogli di fare scelte consapevoli. Un problema più recente, però, è la difficoltà che lo slow fashion incontra nell’essere inclusivo, cioè di adattarsi a diverse esigenze.

L’inclusività dello slow fashion: qualche dato

In quanto distante dall’impersonalità caratteristica del fast-fashion, dove i prodotti sono venduti in massa, lo slow fashion deve invece farsi carico di sostenere la diversità delle persone, offrendo prodotti adatti a tutti ma diversi tra loro. Ciò significa offrire abbigliamente plus-size, tener conto di possibili disabilità (per esempio nella misura degli abiti o se sono confortevoli quando indossati in posizioni statiche), e fare attenzione che la pubblicità sia inclusiva nel senso di “diversità umana” rappresentata.

Le opportunità di crescita per il mercato plus-size, per esempio, sono ampie: una ricerca di Allied Market Research, sostenuta da altri studi, sottolinea come in tutti i tipi di abbigliamento, dal formale a quello sportivo, la domanda sia in crescita. I clienti si aspettano prezzi ragionevoli e buona qualità. Coherent Market Insights conferma il trend crescente anche per la richiesta di vestiti adatti a persone con disabilità; in entrambi i casi, il Nord America è la regione dominante. Per quanto riguarda le ricerche online, i termini “sustainable fashion”, “sustainable clothing”, “slow fashion” stanno diventando termini sempre più popolari sulla barra di Google.

Tuttavia, sebbene le industrie si stiano spendendo per rispondere alle richieste del pubblico, notiamo come anche tra le marche più conosciute che, tra gli altri, producono abbigliamento eco-friendly, solo una minima percentuale della loro collezione sia dedicata a persone plus-size, e solo brand specifici si occupano di moda per disabili. D’altronde non è un risultato così inaspettato, se pensiamo che non solo non è comune trovare il “dipartimento sostenibile” della moda, ma che il mercato per certe categorie è ancora più settoriale. Minore la fetta di possibili acquirenti, minore è di conseguenza anche l’offerta. Inoltre, adattarsi a certe esigenze comporta anche costi maggiori per i produttori: talvolta devono usare più materia prima (pensiamo alle misure oltre l’XXL), usare tessuti specifici (in quanto spesso i tessuti slow fashion sono biodegradabili, ma ciò fa sì che si consumino più in fretta soprattutto in caso di continua frizione come avviene nelle persone più grandi) o apporre specifiche caratteristiche agli abiti che li differenzia dal normale processo di produzione (più elastici, senza bottoni, più facili da indossare…). Infine, certi marchi hanno anche la necessità di ricrearsi la propria clientela: se prima non consideravano una certa porzione della società ora devono fare in modo che le persone vengano a conoscenza della nuova offerta, prima di espandere la produzione. L’inclusività delle persone di colore nella moda sostenibile è un fattore ancora più complicato: da sempre vittime del fast-fashion sfruttate nel lavoro, anche l’industria green fatica a riconoscerne l’importanza. Alcuni brand sono stati accusati di razzismo interno dovuto a paghe minori per gli impiegati di colore o a maltrattamenti sul luogo di lavoro; sembra che come nella maggior parte degli altri mercati, anche qui i bianchi siano privilegiati rispetto agli altri sia nella creazione di nuovi businesses sia nel trovare impiego.

Cosa ci possiamo aspettare per il futuro?

Al momento l’industria dello slow fashion ha ancora ampio margine di miglioramento. Non è semplice prevedere come il mercato si evolverà in futuro, ma la maggiore richiesta di prodotti sostenibili, come la maggiore consapevolezza dei danni che il fast-fashion infligge all’ambiente, fanno presupporre una crescita a ritmi sostenuti. Se la richiesta di moda green sale, i produttori dovranno soddisfare le aspettative di inclusività da parte degli acquirenti, soprattutto se tali richieste, come l’abbigliamento plus-size, può dare accesso a una buona fetta di mercato. E’ però anche possibile che le persone meno rappresentate ad ora, come i disabili, non siano abbastanza per attirare l’attenzione delle industrie e le loro esigenze rimarranno un mercato settoriale.

Per capire meglio il mondo dello slow fashion, consultate questi articoli!
Quanto pesa il nostro armadio sull'ambiente? - Mondo Internazionale
Moda e sostenibilità - Mondo Internazionale

Fonti usate:

Plus Size Clothing Market Size, Share & Trends | Forecast - 2027
Adaptive Clothing Market Size, Trends, Shares, Insights, Forecast
How size-inclusive is sustainable fashion? | EDITED | Market Intelligence Platform
Does Systemic Racism In Sustainable Fashion Exist? | pebble magazine

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L'Autore

Nadia Dalla Gasperina

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Moda etica sostenibilità inclusione slow fashion