La strumentalizzazione dei migranti nella diplomazia internazionale: Turchia e Libia

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  Sara Scarano
  12 dicembre 2021
  6 minuti, 48 secondi

Come ricordato in precedenza (La strumentalizzazione dei migranti nella diplomazia internazionale: il caso bielorusso - Mondo Internazionale), la diplomazia delle migrazioni è la pratica di utilizzare la capacità di uno stato di intervenire sulla gestione dei flussi migratori per influenzare la politica di altri stati o attori internazionali statali come l’Unione Europea. Il quadro della diplomazia della migrazione concettualizza e differenzia gli stati - rispetto ad interessi e posizione negoziale di ciascuno - anche in base al loro essere stati di emigrazione, di immigrazione o di transito di persone migranti. Alcuni paesi potrebbero comunque impegnarsi sia nella diplomazia dell’emigrazione in un contesto che nella diplomazia dell’immigrazione o della migrazione di transito in un altro. Tuttavia, la diplomazia dell’emigrazione è una pratica tipica degli stati del sud del mondo. L’Egitto è l’esempio più emblematico, essendo il più grande esportatore di forza lavoro del mondo arabo. L’Unione Europea, invece, ad oggi pratica quasi esclusivamente diplomazia dell’immigrazione, solitamente utilizzata dagli stati a scopo di garantire la sicurezza, per esempio, in casi in cui i flussi migratori siano visti come canali per il terrorismo o per il rafforzamento della criminalità organizzata. In ultimo, gli stati di transito sono paesi terzi che non sono né paesi di origine né di destinazione: questi stati sono in grado di impegnarsi nella diplomazia della migrazione di transito, di solito a causa della loro posizione geopolitica come parte di una rotta migratoria.

Come si è visto, gli stati hanno a loro disposizione diverse strategie per impegnarsi nella diplomazia migratoria, a seconda di una serie di fattori come i loro interessi in politica estera, il loro potere contrattuale, la natura delle relazioni bilaterali esistenti tra due stati e così via. La strategia diplomatica adottata ormai dall’Unione Europea è quella di “esternalizzazione” del controllo dei flussi migratori, strategia che ha portato a numerosi esempi di negoziazioni comportanti uno scambio tra denaro e controllo della migrazione. In questo senso si possono citare i negoziati del Senegal con la Spagna: in cambio di pattugliamenti e rimpatri congiunti, la Spagna ha promesso denaro ed altri favori, tra cui un pacchetto di 20 milioni di euro di aiuti allo sviluppo nel 2006, che ha coinciso con il rimpatrio dei migranti irregolari senegalesi dalle Isole Canarie spagnole.

L’esternalizzazione dei confini europei implica la realizzazione di accordi con paesi di transito indispensabili per tenere sotto controllo il flusso di persone in arrivo sul territorio; gli accordi più significativi stretti dall’Europa al riguardo sono quelli raggiunti con la Libia e la Turchia.

L'approccio della Turchia alla diplomazia delle migrazioni nei confronti degli stati europei è cambiato nel tempo. Durante gli anni ‘60 e ‘70, la Turchia ha perseguito una strategia che le permettesse di ottenere guadagni assoluti attraverso la firma di accordi riguardanti il trasferimento di lavoratori in vari stati europei, al fine di ridurre il suo tasso di disoccupazione e facilitare il flusso di valuta estera attraverso le rimesse, beneficiando le economie dell’Europa occidentale. Dallo scoppio della prima crisi migratoria nel 2015, tuttavia, la strategia adottata dal governo turco è diventata progressivamente antagonistica, basandosi sull’uso della gestione dei flussi migratori come leva per ottenere sostanziali benefici economici. Infatti, nel marzo 2016, la Turchia ottiene la firma europea di un accordo in cui Bruxelles si impegna a fornire alla Turchia 6 miliardi di euro, ad accelerare la sua domanda di adesione all’Unione ed a fornire ai suoi cittadini l’accesso senza visto all’area Schengen. In cambio, la Turchia avrebbe rafforzato le sue frontiere esterne, accettando il rimpatrio dei migranti irregolari dalla Grecia. Per ogni migrante siriano riportato in Turchia, l’Unione europea si impegnò a reinsediarne un altro in Europa, fino a un limite di settantadue mila.

Tuttavia, nel novembre 2016, quando il Parlamento europeo vota per sospendere i colloqui di adesione della Turchia all’UE, il presidente turco minaccia di rinnegare l'accordo, lasciando scorrere liberamente il flusso di migranti verso i confini europei. La strategia di negoziazione turca si rende quindi progressivamente più aggressiva, tanto che nel febbraio 2020 la Turchia riapre i confini con la Grecia, incitando i migranti a muoversi entro uno spazio temporale di 72 ore e forzando la Grecia a gestire un flusso di più di 10.000 rifugiati che tentano l’attraversamento via terra e via mare. Il risultato è una deterrenza ostile da parte delle potenze europee che costa numerose vite e terribili sofferenze a causa dell’uso da parte della polizia antisommossa greca di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua per respingere le persone che cercano di entrare nel paese. La motivazione della riapertura dei confini è da cercare nella frustrazione turca rispetto ai fallimenti riscontrati nella Siria del nord, area curda invasa nel gennaio 2018. Gli attacchi operati dalle forze turche nella zona curda vengono ampiamente criticati dall’Unione. A fronte dell’opposizione, il presidente Erdogan minaccia di inviare rifugiati ai confini europei, instaurando un circolo vizioso di negoziazioni che consente l’indisturbato proseguimento della strategia turca nel nord della Siria.

Anche la Libia di Gheddafi fa spesso ricorso ad una diplomazia delle migrazioni coercitiva durante i negoziati con l’Unione europea. In vari momenti avrebbe chiesto finanziamenti sia dall’Unione Europea tutta che ai singoli Stati membri - come la Francia o l’Italia - minacciando di “inondare” l’Europa di migranti africani. A causa della mancanza di unità politica nel paese, non esiste un quadro giuridico formale che protegga i diritti dei rifugiati, rendendoli estremamente vulnerabili ad impunite violazioni dei diritti umani. I rifugiati e i migranti in Libia sono quindi intrappolati in un circolo vizioso di abusi, tra cui la detenzione arbitraria prolungata e altre privazioni della libertà, tortura, uccisioni illegali, stupri, lavoro forzato e sfruttamento. La detenzione di coloro che, nel Paese, sono considerati dalla legge libica come “migranti illegali” - ovvero tutti coloro che sono entrati, usciti o rimangono nel paese illegalmente, a prescindere dalle motivazioni umanitarie - avviene in appositi centri gestiti dalla Direzione per la lotta alla migrazione illegale (DCIM) del Governo di Unità Nazionale (GNA) e controllati dalle milizie, che non sono soggette a una supervisione statale significativa. Le condizioni nei centri di detenzione sono molto al di sotto degli standard internazionali sui diritti umani, essendo sottofinanziati e sovraffollati, privi di accesso ad acqua corrente, nutrizione e servizi igienico-sanitari. La politica di contenimento della migrazione adottata dall’Unione Europea porta ad accordi con il governo libico che finiscono per finanziare questi centri: dal 2016, oltre 500 milioni di euro sono stati investiti nel rafforzamento della capacità sia dei centri di detenzione che della Guardia costiera libica. In collaborazione con l’Italia, l’Unione ha anche fornito un’ampia assistenza tecnica e formazione della Guardia costiera – indispensabile per tenere i rifugiati fuori dall’Europa – tramite l’Operazione Sophiam. È inoltre importante sottolineare che la pandemia ha avuto un impatto ulteriormente negativo sul controllo delle attività illegali e del contrabbando di esseri umani.

Recentemente, l’approccio securitario europeo è stato aspramente criticato da diverse ONG ed enti internazionali, che sottolineano come questa strategia esponga indirettamente i migranti ad abusi e violazioni dei diritti umani. Tuttavia, il Nuovo Patto su Migrazione e Asilo (Il New Pact on Migration and Asylum - Mondo Internazionale) - proposto dall’Unione nel 2020 - non fa che rafforzare la cooperazione con i paesi terzi per garantire percorsi per la migrazione e cercare di combattere il traffico di esseri umani. Si viene così a creare un’area grigia per quanto riguarda la giurisdizione sul trattamento dei migranti nei paesi partner, rendendo ancor più necessario l’uso di meccanismi di monitoraggio e audit più appropriati per garantire, in primo luogo, il rispetto dei diritti umani. Queste presunte modifiche all’approccio europeo alla gestione della migrazione continuano a non essere incentrate sul garantire giustizia per i migranti, non essendo in grado di concepire un approccio adeguato - basato sui diritti - che comprenda sia il controllo delle frontiere attraverso operazioni di ricerca e soccorso sia la cooperazione volontaria dei migranti.

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Sara Scarano

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