La strumentalizzazione dei migranti nella diplomazia internazionale: il caso bielorusso

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  Sara Scarano
  04 dicembre 2021
  5 minuti, 50 secondi

Dalla metà del mese di novembre, il mondo sta assistendo all’ennesima crisi umanitaria dovuta a imponenti flussi di persone che si spostano verso i confini europei in cerca di opportunità per una vita più dignitosa. Questa volta, la protagonista del disastro che ha visto centinaia di persone restare forzosamente accampate nelle foreste ai confini polacchi è la Bielorussia. Secondo le autorità polacche, sarebbero tra le 3,000 e le 4,000 le persone di cui il governo bielorusso avrebbe incentivato l’arrivo ai confini occidentali, verso Polonia, Lituania e Lettonia. Provengono principalmente da paesi martoriati dai conflitti come Iraq, Syria, Yemen e Afghanistan. In agosto, il governo bielorusso ha infatti allentato le regolamentazioni per la concessione di visti, facilitando in questo modo l’accesso ai confini europei. Non solo, la Bielorussia ha anche facilitato l’arrivo fisico dei migranti sul territorio tramite voli gestiti dalla compagnia aerea statale – diretti soprattutto verso Minsk, la capitale – e ospitando alcuni migranti direttamente in hotel gestiti dal governo. Inoltre, il New York Times riferisce che le forze di sicurezza bielorusse hanno fornito ai migranti istruzioni su come attraversare i confini e strumenti - tagliafili e asce - per abbattere le recinzioni.

Lo scopo delle azioni del presidente bielorusso Lukashenko è, in realtà, quello di utilizzare strumentalmente la pressione esercitata dai migranti ai confini europei per spingere l’UE verso la rimozione delle sanzioni imposte al suo governo. Le sanzioni risalgono allo scorso anno - periodo della rielezione del presidente - quando l’UE ha sanzionato Lukashenko, suo figlio Viktor - consigliere per la sicurezza nazionale - ed altre 179 persone ed entità, a causa delle elezioni presidenziali fraudolente e della successiva repressione dei manifestanti pro-democrazia. L’accusa di illegittimità deriva da alcuni exit poll delle elezioni dell'agosto 2020 che suggeriscono come la principale avversaria politica di Lukashenko e leader di opposizione, Svetlana Tikhanovskaya, fosse riuscita ad accaparrarsi fino all’80% dei voti. Lukashenko, tuttavia, dichiara la vittoria, reprimendo le proteste scoppiate in tutto il paese e costringendo Tikhanovskaya all'esilio in Lituania mentre imprigiona altri leader dell'opposizione. Nonostante gli sforzi bielorussi per esercitare pressione sui paesi europei limitrofi tramite gruppi di migranti, la stragrande maggioranza di quelli attualmente al confine sono bloccati al confine, costretti a dormire in tende di fortuna e sprovvisti di abiti adeguati alle temperature invernali, mentre i paesi dell'UE rifiutano loro l’ingresso.

L’ennesimo utilizzo di migranti per scopi politici rischia di gettare ulteriore benzina sul fuoco, incentivando politiche nazionaliste di destra che, negli ultimi anni, si sono incuneate in prima linea nella gestione di paesi come la Polonia. Infatti, dopo lo shock insinuatosi negli animi europei a partire dalla crisi migratoria del 2015, i leader dell’Unione hanno progressivamente implementato provvedimenti atti ad impedire un accesso illimitato ai suoi territori da parte di persone in fuga da guerre, povertà e disastri climatici. Polonia e Lituania - i due paesi interessati dalla più recente crisi creata da Lukashenko - hanno già dichiarato lo stato di emergenza, vietando i viaggi non autorizzati entro tre miglia dal confine bielorusso e consentendo così alle guardie di adottare misure extra per impedire ai migranti di entrare e legalizzando la detenzione a tempo indeterminato dei migranti. Gli abusi compiuti a danno dei migranti da parte delle forze lituane e polacche sono riportati dagli attivisti presenti sul territorio, i quali attualmente ne denunciano l’espulsione collettiva, le torture e la negazione del diritto d’asilo. La Lituania, dal canto suo, ha avanzato all’Unione la proposta di un cambiamento delle norme sulla migrazione, in modo da legalizzare i respingimenti di migranti irregolari quando un paese dichiari di trovarsi in condizioni estreme.

Usare strumentalmente flussi di persone migranti per questioni politiche non è, però, una novità: negli anni, infatti, l’Unione Europea ha istituzionalizzato la pratica di sancire accordi con paesi di confine – Libia e Turchia esempi emblematici – in modo da impedire arrivi massicci e incontrollati, nonostante i costi in termini umanitari. È la cosiddetta diplomazia delle migrazioni, termine che racchiude il legame tra la mobilità transfrontaliera della popolazione e gli obiettivi diplomatici statali. Diversi paesi, infatti, usano la migrazione per influenzare la politica di altri specifici stati, ovvero utilizzano la propria capacità di mobilitare masse di migranti per cambiare o contestare le misure adottate da un governo, per intervenire nelle sue elezioni, per dissuadere quel paese dal portare a termine una certa politica o per portarlo a sostenere una propria politica. La diplomazia delle migrazioni non indaga sul funzionamento interno delle organizzazioni internazionali, dei media o degli attori sociali - come le organizzazioni non governative - tuttavia è possibile applicare il concetto ad attori internazionali statali come l'Unione europea o persino l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati.

La diplomazia delle migrazioni non è sinonimo di politiche sulla migrazione, le quali si basano su decisioni quali limitazioni agli spostamenti o, al contrario, più o meno totale libertà di movimento, e che vengono incluse nel quadro delle relazioni estere di uno stato. La diplomazia, al contrario, si basa sulle negoziazioni: in questo caso gli stati includono direttamente la propria capacità di gestione della mobilità transfrontaliera delle popolazioni nelle loro relazioni internazionali, oppure utilizzano mezzi diplomatici per ottenere specifici obiettivi relativi alla migrazione. Relativamente alla diplomazia delle migrazioni, questioni come lo sfollamento interno, la regolamentazione dello status di cittadinanza degli immigrati o del loro accesso ai diritti, le norme tariffarie che determinano quali merci i migranti sono in grado di trasportare, la politica della diaspora e il benessere dei rifugiati sono rilevanti solo nella misura in cui hanno un impatto sulle interazioni interstatali. Le negoziazioni che vedono la diplomazia delle migrazioni come strumento fondante sono solitamente portate avanti da stati che hanno una relazione di potere asimmetrica, ovvero quegli stati che mancano di capacità fondamentali in altre aree specifiche possono tentare di far leva sul proprio controllo dei flussi migratori per migliorare la loro posizione negoziale nei confronti di stati più potenti.

Questo tipo di negoziazioni non è né nuovo né prettamente europeo: a partire dalle prime fasi della Guerra Fredda, l’Unione Sovietica ha utilizzato politiche restrittive per limitare del tutto i movimenti dei cittadini ebrei, mentre, dall’altro lato del mondo, la regolamentazione della migrazione dei lavoratori messicani negli Stati Uniti è stata storicamente una questione centrale nelle relazioni bilaterali dei due stati. Tuttavia, è l’Europa ad essere stata la più colpita da un tale bombardamento demografico: essa ospita un decimo della popolazione mondiale e un terzo dei migranti internazionali, a causa sia della sua geografia vicina all’Africa e al Medio Oriente, sia dei suoi valori democratici liberali. Per questo motivo, la tendenza dell’Unione a ricorrere alla diplomazia delle migrazioni ha caratterizzato sempre più frequentemente le sue relazioni con i paesi di frontiera.

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Sara Scarano

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Immigrazione