Tunisia: cosa cambia con la nuova costituzione

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  Sara Oldani
  31 luglio 2022
  7 minuti, 2 secondi

Il 25 luglio si è tenuto il referendum popolare per vagliare la nuova Costituzione, elaborata da una commissione ad hoc di esperti, scelti a sua volta dall’attuale Presidente della Repubblica Kais Saied. Il testo costituzionale rappresenta il nuovo assetto di poteri – sbilanciato a favore del Presidente – delineatosi dopo anni di difficile e complessa transizione democratica. È quindi importante delineare il contesto politico-istituzionale per poter comprendere gli ultimi cambiamenti.

Il referendum del 25 luglio

Prima di concentrarci sugli esiti e le conseguenti implicazioni del referendum popolare, è bene riassumere brevemente le fasi che hanno portato alla sua ideazione. Ricordiamo infatti che in Tunisia erano avvenuti cambiamenti a livello sostanziale già lo scorso 25 luglio, quando Kais Saied, in ottica populista, aveva assunto i pieni poteri, congelando le attività parlamentari e governando per decreti presidenziali. La nomina di Najla Bouden Ramadan come primo ministro – accolta favorevolmente dalla Comunità Internazionale – in realtà andava inserita nel più ampio progetto presidenziale, il cui principale obiettivo risulta essere l’accentramento del potere nelle mani del Presidente della Repubblica (con un ruolo marginale del primo ministro) per “superare il clientelismo e la corruzione dei partiti”. Saied, già dichiaratosi “paladino” della trasparenza e del buon governo durante la scorsa campagna presidenziale del 2019, continua a fare di ciò il leitmotiv della sua linea politica. Ha attuato, tramite decreti presidenziali, un’operazione “mani pulite” nel Paese, prendendo di mira il principale capro espiatorio del parlamentarismo tunisino, cioè il partito islamico Ennahda, arrestando l’ex premier Jebali e il segretario del partito Ghannouchi con l’accusa di riciclaggio. Non è una novità che Ennahda ricevesse finanziamenti esteri da parte di alcuni Paesi sostenitori del cosiddetto “Islam popolare” (e non solo), ma ciò che cade all’occhio è la mancanza dell’intervento della giustizia in seno a questi processi di epurazione. Saied invero ha esautorato anche il ruolo dei giudici con la dissoluzione del Consiglio Superiore della Magistratura lo scorso febbraio.

Questo il contesto che ha portato al referendum del 25 luglio, data in cui i cittadini tunisini in loco e all’estero hanno potuto esprimere la propria preferenza in merito alla revisione costituzionale delineata da Saied. Il draft costituzionale è l’esito di un lavoro abbastanza breve se si pensa alla revisione della Legge fondamentale di uno Stato, realizzato da una Commissione di esperti scelti dal Presidente, ufficialmente sulla base delle proposte ricevute tramite una piattaforma online accessibile alla cittadinanza.

In base agli ultimi exit poll, il referendum – privo di quorum – ha ottenuto circa il 92% dei consensi, contro i “no” pari al 7,7%. Sembrerebbe dunque una vittoria innegabile che porterà alla promulgazione della nuova Costituzione, ma - come sostenuto dal giornale Jeune Afrique - si tratterebbe di un successo “en trompe-l’oeil”, in quanto il vero vincitore del referendum sarebbe il partito dell’astensione: dei 9 milioni di votanti, solo il 25% di essi si è recato alle urne. Il partito dell’astensione rappresenta sia l’opposizione al progetto di Saied, che ha optato per il boicottaggio, sia quella grande fetta di popolazione ormai disinteressata alla vita politica, ma che spera con Saied di risolvere i problemi economici e sociali della Tunisia. Il Presidente ha infatti dalla sua parte la classe media tunisina, una maggioranza silenziosa disillusa nei confronti della giovane democrazia post-Primavera araba. Saied e la sua strategia politica dunque, sarebbero il sintomo di un malessere più diffuso, i cui primi segnali si potevano intravedere dal partito di Abir Moussi di ispirazione benalista. Per cui, a prescindere dagli esiti del referendum – presentato dalla presidenza e dai suoi sostenitori come una vittoria senza eguali – possiamo affermare che la nuova Costituzione concretizza e formalizza l’affermazione del presidenzialismo puro in Tunisia.

Il contenuto della nuova Costituzione

Senza entrare troppo nei dettagli, la nuova Costituzione rappresenta uno scarto importante con quella del 2014, risultato di un complesso processo di mediazione tra le diverse forze politiche post-rivoluzione. Nella nuova Legge fondamentale, il Presidente è il vero dominus, in quanto esercita il potere esecutivo, è capo delle forze armate, definisce la politica generale dello Stato, può ratificare le leggi. Inoltre, il vero cambio di modello governativo che causa l’abbandono del semi-presidenzialismo, riguarda il ruolo del primo ministro: il Presidente nomina il primo ministro (ed eventualmente può rimuoverlo), il quale supporta semplicemente la linea politica del Presidente stesso e non ha più un rapporto fiduciario con il Parlamento. Il Parlamento assume la forma bicamerale, con un’Assemblea dei rappresentanti del Popolo eletta a suffragio universale diretto e con un Consiglio delle Regioni a suffragio universale indiretto. L’introduzione del Consiglio delle Regioni e l’assorbimento del Ministero degli affari regionali in quello dell’interno rappresentano appieno il paradigma accentratore della nuova politica tunisina, opposta al decentramento propugnato dalla precedente Costituzione, che favoriva un maggior coinvolgimento della società civile e la governance dal basso.

Quello che preoccupa maggiormente l’Occidente e che ha fatto gridare al pericolo di una lesiva svolta autoritaria, è il ruolo irrilevante che ha la giustizia, soprattutto nei confronti del Presidente: non è più garantita l’indipendenza della magistratura e la giustizia stessa viene descritta come una “funzione”, non come un potere. Il rischio di una degenerazione dello Stato di diritto, dato anche l’aumento del livello di repressione nei confronti dell’opposizione e della stampa, è all’orizzonte, ma risulta analiticamente errato etichettare una realtà in divenire.

Di fronte ai cambiamenti politici e istituzionali dell’altra sponda del Mediterraneo, è fondamentale per comprendere profondamente le dinamiche locali, privarsi degli occhiali europei-occidentali e cercare di avere una visione senza filtri o perlomeno ermeneuticamente orientata. Infatti, ad uno sguardo più attento e avvalendosi del diritto pubblico comparato, si può fare un confronto tra le due Costituzioni, 2014 e 2022, guardando alla loro forma sostanziale e non solo formale.

Se si pensa ai lavori pre-Costituzione 2014, il vero vincitore della battaglia politica, era stato il partito dell’Islam politico Ennahda, il quale aveva fortemente prediletto un sistema parlamentare e di decentramento territoriale: Ennahda infatti e in generale i movimenti dell’Islam politico propugnano una visione di islamizzazione dal basso della società, tramite l’impiego di cooperative sociali, assistenzialismo e sovvenzioni economiche. All’opposto di questa visione, invece, c’è la “statalizzazione dell’Islam”, dall’alto e orientata ad avere un sistema più presidenzialistico e accentratore, proprio come il progetto di Saied.

Cosa ha fatto cambiare idea ai tunisini nel giro di un decennio? Il fatto che Ennahda, alla prima esperienza politica effettiva – ricordiamo infatti che nel periodo della colonizzazione e decolonizzazione tali movimenti islamisti venivano perseguitati o repressi – ha fallito. Il fallimento, però, non è esclusivamente di Ennahda, ma in tutta l’area del Nord Africa si rileva una battuta d’arresto dell’Islam politico nella scalata al potere: in Egitto a seguito del colpo di Stato orchestrato contro Morsi, leader della Fratellanza Musulmana, in Marocco con la perdita dei seggi del partito Giustizia e Sviluppo e ugualmente in Algeria con il declino del Fronte per la Giustizia e lo Sviluppo e il mantenimento dell’influenza del pouvoir. Per cui, nonostante il nuovo assetto istituzionale possa comunque provocare scosse al di fuori dei confini tunisini e avere implicazioni sulla stabilità regionale, l’impatto effettivo potrebbe non essere di così vasta portata. Rimane comunque fondamentale monitorare le future mosse in Tunisia per il mantenimento delle relazioni diplomatiche ed economiche, dato anche il possibile avvio delle trattative con il Fondo Monetario Internazionale.

La crisi del “modello tunisino”, così definito perché considerato l’unico ad aver intrapreso una transizione democratica dal basso, in realtà non deriva esclusivamente dalle ultime manovre di Saied, ma è da ravvedersi già nella non realizzazione di una Corte costituzionale come previsto dall’allora Costituzione 2014. La ragione principale era data dal disaccordo tra le varie forze politiche sulla composizione e sulle attività della Corte stessa, la quale quindi era stata sostituita provvisoriamente da un Consiglio costituzionale con poteri limitati.

Data la complessità e l’attualità degli eventi, sarebbe arduo elaborare futuri scenari. Bisogna inoltre attendere le prossime elezioni politiche, fissate per il 17 dicembre, secondo una legge elettorale non ancora introdotta. Come Italia e Unione europea invece, oltre a mantenere aperto un canale di dialogo, bisogna cercare di superare la vecchia strategia politica con i Paesi del vicinato e più in generale con l’Africa: la strategia dell’ingerenza, infatti, non sembra aver dato particolari frutti, se non inimicarsi dei popoli più prossimi a noi di quanto pensiamo.

Fonti consultate:

https://www.jeuneafrique.com/1364827/politique/tunisie-victoire-en-trompe-loeil-pour-le-projet-constitutionnel-de-kais-saied/

https://www.editorialedomani.it/politica/mondo/la-tunisia-torna-autoritaria-per-costituzione-f395kv4u?amp=1

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/referendum-tunisia-la-vittoria-di-saied-35875

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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