Siria nel baratro - Parte 1

Il cessate il fuoco non ferma la crisi economica

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  Sara Oldani
  28 aprile 2021
  5 minuti, 51 secondi

A 10 anni dall’inizio del conflitto siriano, le principali minacce alla tenuta del potere del Presidente Bashar al-Assad non sono di stampo militare, ma economico. La drammatica crisi economico-finanziaria infatti ostacola le esigue prospettive di ricostruzione del Paese e impoverisce una popolazione già allo stremo. La questione securitaria, vista come una priorità dal regime, non permette di usare le risorse assai scarse per progettare una Siria post-conflitto.

In base alle stime della Banca Mondiale, il PIL siriano è sceso del 60% rispetto al 2011, principalmente a causa della distruzione del capitale materiale e umano in seguito alle ostilità [1]. Tale situazione ha eroso la capacità del governo centrale di fornire servizi essenziali e di avere controllo del territorio; proprio per questo Assad deve appoggiarsi ancor di più ai suoi alleati Russia e Iran che però, anch’essi in ristrettezze a causa della pandemia da Covid-19, offrono principalmente aiuti militari e non umanitari.

Inoltre, il budget nazionale si è ridotto del 70% rispetto al 2010 [2]: le principali risorse agricole e petrolifere della Siria si trovano sotto il controllo delle forze curde del nord-est. Il numero dei disoccupati è aumentato, con la forza lavoro pari solo a 3 milioni di individui su una popolazione totale di circa 17 milioni [3].

Il regime siriano, nonostante si sia dichiarato consapevole di questi dati, non ha attuato alcuna strategia di risanamento del tessuto economico del Paese, perpetuando l’attuale non produttiva economia di guerra: sussidi per acquistare pane a basso prezzo, razionamento dell’energia e aumento dei salari delle forze di sicurezza e dei militari fedeli a Bashar.

Il disastro finanziario invece è fuori controllo, con il rischio di iperinflazione galoppante e prezzi schizzati alle stelle. Il valore della lira siriana è crollato drasticamente: prima della guerra il tasso di cambio dollaro/lira siriana era pari a 1$ = 50 SYP, ora è arrivato addirittura a 1$ = 1250 SYP [4]. Ciò genera non solo delle conseguenze negative in termini di commercio internazionale, rendendo le necessarie importazioni costosissime, ma anche l'erosione del potere d'acquisto delle famiglie siriane, costrette a svolgere più di un lavoro per acquistare beni di prima necessità o addirittura a vendere i propri capelli o il proprio corpo solo per un pollo arrosto.

L’insicurezza alimentare registra livelli mai raggiunti: il 60% dei siriani, come riportato dal World Food Program, rischia di morire di fame. Le stime sul tasso di povertà invece oscillano tra l’83% e il 90%, come rilevato dal Center for Operational Analysis and Research (COAR), determinate principalmente dall’impossibilità di svolgere attività nel settore informale e dal crollo dei salari.

Il crollo dei salari ha intaccato non solo la classe media siriana e le fasce meno abbienti, ma anche i dipendenti pubblici al servizio dello Stato i cui introiti medi sono al di sotto della soglia di povertà. Tali fattori stanno generando un forte malcontento anche in seno ai sostenitori del regime e alla sua base alawita. I vantaggi in termini di remunerazione ottenuti dall’establishment militare non compensano la rampante corruzione dell’élite al potere, che continua ad avere uno stile di vita lussuoso, in barba ai mendicanti e agli sfollati siriani che brulicano nei distretti principali del Paese.


Le origini della crisi

Le radici della crisi economico-finanziaria si rilevano in primis nel malgoverno del regime patrimoniale della famiglia Assad. La guerra in corso da un decennio ha chiaramente ridotto il bilancio statale, le cui limitate risorse sono state utilizzate per conquistare i territori in mano ai ribelli e per rafforzare l’apparato di sicurezza e coercitivo del regime.

Nonostante tali fattori endogeni, ve ne sono altri esterni che hanno portato ad un peggioramento della situazione. Il ruolo delle sanzioni, in vigore dal 2011 da parte di dell' Unione europea e degli Stati Uniti contro il regime siriano e i suoi associati [5], è un forte disincentivo ad investire nel Paese, per cui non solo limita la circolazione di valuta estera, ma impedisce anche i finanziamenti per la ricostruzione di infrastrutture, opere pubbliche, scuole ed ospedali danneggiati.

Anche il crollo finanziario del Libano, fortemente legato alla Siria, è stato un fattore destabilizzante già a partire dal 2019 [6]; i siriani descrivevano le banche libanesi come dei paradisi in cui tenere i propri risparmi, in quanto rappresentavano uno dei pochi modi per sfuggire alle sanzioni. A seguito del default del Libano avvenuto a marzo 2020, gli assets bancari sono stati congelati ed è stato posto un tetto massimo sui prelievi monetari: si stima che il legame tra gli istituti finanziari libanesi e siriani sia così forte da aver generato un aumento del tasso di inflazione del 200% solo nel 2020, con danni enormi per il settore privato siriano.


Le reazioni del regime

Il Presidente siriano, in una recente conferenza svoltasi in Libano, ha indicato tre ragioni principali per l’attuale disastro economico: la brutalità del capitalismo mondiale, il lavaggio del cervello dei social-media che pubblicano fake-news per delegittimare il governo centrale e il neoliberalismo rampante che mette in pericolo i valori su cui si fonda la Repubblica Araba Siriana [7].

Di fronte al malcontento della popolazione, Bashar e il suo apparato repressivo hanno risposto con arresti arbitrari e con l’uso della forza. Caso emblematico è l’arresto di Hala Jerf, conduttrice televisiva del principale canale governativo, la quale ha pubblicato su Facebook un post nel quale in cui descriveva le critiche condizioni di vita della popolazione e denunciava la corruzione di alcuni ufficiali del regime [8].

A parte qualche sporadica manifestazione contro il carovita e la mancanza di cibo e di energia, non si sono verificate vere e proprie insurrezioni, in quanto è ancora vivo il ricordo delle conseguenze della Primavera Araba in Siria. D’altro canto, Assad sta cercando di tenere a bada il dissenso in vista delle elezioni presidenziali in programma quest’anno. Ha quindi deciso di cancellare tutti i programmi di cucina precedentemente in onda sui canali televisivi per non tentare i siriani con del cibo inavvicinabile.

A cura di Sara Oldani

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Fonti consultate

[1] World Bank, The Fallout of War: The Regional Consequences of the Conflict in Syria, 18/06/2020, https://documents.worldbank.org/en/publication/documentsreports/documentdetail/363101592427572069/the-fallout-of-war-the-regional-consequences-of-the-conflict-in-syria

[2] Atlantic Council, 2021 budget reveals the depth of Syria’s economic woes, 1/12/2020, https://www.atlanticcouncil.org/blogs/menasource/2021-budget-reveals-the-depth-of-syrias-economic-woes/

[3] S. Carenzi, M. Colombo, Focus Mediterraneo Allargato n.15. Più povera e più fragile: la Siria tra crisi economica e pandemia, ISPI, 10/02/2021, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/piu-povera-e-piu-fragile-la-siria-tra-crisi-economica-e-pandemia-29210#n1

[4] CSIS, Syria’s Economic Collapse and Its Impact on the Most Vulnerable, 18/02/2021, https://www.csis.org/analysis/syrias-economic-collapse-and-its-impact-most-vulnerable

[5] COFACE, Syrian Arab Republic: Risk Assessment, February 2021, https://www.coface.com/Economic-Studies-and-Country-Risks/Syrian-Arab-Republic

[6] CSIS, Syria’s Economic Collapse and Its Impact on the Most Vulnerable, 18/02/2021, https://www.csis.org/analysis/syrias-economic-collapse-and-its-impact-most-vulnerable

[7] The New York Times, Having Won Syria’s War, al-Assad Is Mired in Economic Woes, 26/02/2021, https://www.nytimes.com/2021/02/23/world/middleeast/syria-assad-economy-food.html

[8] S. Al-Khalidi, REUTERS, Anger simmers over Syria's economic collapse, but Assad appears secure, 16/03/2021, https://www.reuters.com/article/us-syria-security-anniversary-economy-in-idUSKBN2B80NU

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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