Sfumature di un’ideologia: il femminismo liberale

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  Sara Scarano
  15 marzo 2021
  3 minuti

Insieme al femminismo socialista e a quello marxista, il femminismo liberale si sviluppa tra gli anni ’60 e ’70 del Ventesimo secolo, durante quella che viene definita come la “seconda ondata” del femminismo.

In generale, il liberalismo pone l’accento sul naturale stato di libertà del singolo individuo, realizzato attraverso la garanzia di diritti civili e politici da parte dello Stato. La tradizione liberale poggia in particolare sui valori di eguaglianza e libertà individuale, ed indica l’accesso all’istruzione e al mercato del lavoro quali strumenti indispensabili per raggiungerli, permettendo in tal modo il pieno sviluppo del potenziale di ciascun individuo.

È proprio su questi capisaldi che il femminismo liberale trova fondamento. Esso, infatti, include diversi approcci che mirano alla rimozione di costrizioni legali e sociali che intrappolano le donne, e si batte assiduamente per la creazione di condizioni a garanzia dell’eguaglianza tra i generi.

Si capisce quindi che per il femminismo liberale le differenze di genere non si radicano nella biologia, bensì nell’assetto sociale e giuridico che relega le donne in posizione di subalternità. Data la mancanza di una reale differenza tra uomini e donne, il femminismo liberale propone un cambiamento graduale del sistema socio-politico ed economico tale da garantire alle donne eguale accesso ad istruzione e mercato del lavoro, eguale remunerazione, eguale accesso a posizioni di potere.

Sono due i filoni in cui il femminismo liberale si scinde: il femminismo liberale classico e quello liberale egalitario. La differenza sostanziale delle due posizioni sta nel ruolo ricoperto dallo Stato quale garante di diritti civili e politici alle donne.

Il femminismo liberale egalitario tende ad avere una visione dello Stato come possibile alleato nella battaglia verso l’autonomia personale e politica delle donne, verso il raggiungimento della parità nel quadro di una società liberal-democratica. In questo, lo Stato contribuisce attraverso misure come leggi contro la discriminazione e programmi di welfare.

Al contrario, il femminismo liberale classico percepisce lo Stato come un ostacolo all’eguaglianza di genere, con leggi che amplificano la disparità di trattamento tra uomini e donne e che alimentano costrizioni socio-politiche che impediscono la realizzazione del pieno potenziale femminile. Per questa ragione, il femminismo liberale classico appoggia una visione di Stato non intrusivo.

Varie critiche sono state mosse al femminismo liberale nel corso dei decenni, la più significativa delle quali arriva dalla branca del femminismo radicale, scettico riguardo all’approccio liberale basato sul ricercare eguaglianza e cambiamento nelle istituzioni politiche e sociali già esistenti, viste dal femminismo radicale come irrimediabilmente inquinate da un sistema di pensiero etero-patriarcale. Secondo quest'ultima visione, lo Stato sarebbe un efficiente perpetuatore della sistematica oppressione patriarcale e, in quanto tale, andrebbe ricostruito dalle sue fondamenta piuttosto che essere utilizzato come strumento di ricerca dell’eguaglianza.

Altre critiche, invece, pongono l’accento sulla natura occidentale e borghese del femminismo liberale, fattore che lo renderebbe lontano dalle problematiche che interessano donne che non rientrano in tale categoria (donne nere, latine, asiatiche, proletarie, lesbiche etc.), oltre che lontano da logiche caratterizzanti società comunitarie, in cui concetti prettamente occidentali come l’autonomia del singolo individuo non hanno ampia diffusione.

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L'Autore

Sara Scarano

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Women