Se la lotta al terrorismo mette a rischio i diritti umani: le controversie sulle nuove leggi in Francia e Svizzera

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  Redazione
  19 giugno 2021
  7 minuti, 11 secondi

Gli episodi di terrorismo che nell'ultimo periodo hanno colpito diverse città europee e la partenza di numerosi foreign terrorist fighters dall’Europa verso Iraq e Siria hanno portato i governi di molti paesi ad adottare nuove leggi antiterrorismo. Tuttavia, in alcuni casi le misure proposte hanno provocato reazioni preoccupate, soprattutto da parte di esperti e associazioni per i diritti umani. Il timore è che gli strumenti proposti per aumentare la sicurezza possano in realtà favorire abusi istituzionali, o costituire delle discriminazioni verso alcune categorie di persone. Due nuove leggi, una in Francia e l’altra in Svizzera, sono state di recente al centro del dibattito pubblico proprio per questo motivo.

Il caso francese: dallo stato di emergenza a misure permanenti

Il 28 aprile, il Ministro dell’Interno francese, Gerald Darmanin, ha presentato in Parlamento una proposta di legge per aggiornare le disposizioni antiterrorismo nel paese. Se approvata, la legge renderebbe definitive delle misure introdotte con la dichiarazione dello stato di emergenza, dopo i gravi attentati del 2015. Le misure erano state inserite in una legge dell’ottobre 2017, la cosiddetta legge “Silt” (Sicurezza interna e lotta al terrorismo), che le approvava in maniera sperimentale fino al 30 dicembre 2020, termine poi prorogato fino al 31 luglio 2021.

Nello specifico, i provvedimenti discussi riguardano la chiusura amministrativa dei luoghi di culto, l’estensione della sorveglianza amministrativa per chi ha scontato una condanna di almeno cinque anni per reati legati al terrorismo, la possibilità di eseguire visite domiciliari per i sospetti coinvolti in indagini su “minacce gravi” (e non più “di particolare gravità”, livello di allerta più alto precedentemente previsto per poter applicare questa misura), e le perquisizioni preventive all’ingresso dei grandi eventi[1].

Un’altra misura molto controversa, contenuta nella proposta, è quella che permette alle autorità di applicare il cosiddetto "algoritmo", ossia una tecnica di tracciamento dei dati per monitorare eventuali interazioni con contenuti online di propaganda estremista. Darmanin ha risposto alle critiche di associazioni che temono che la nuova legge dia allo Stato eccessivi poteri di controllo sulla privacy dei cittadini, affermando che algoritmi simili sono già utilizzati da parte di aziende private: si tratterebbe semplicemente di estendere allo Stato gli stessi strumenti.

In supporto alla proposta di legge, il Primo Ministro Jean Castex ha affermato che l’aumento di episodi di terrorismo condotti da individui non noti alle forze di intelligence, e senza contatti con reti terroristiche organizzate, dimostra quanto questa riforma sia necessaria. Castex ha citato l’episodio della poliziotta uccisa a Rambouillet ad aprile, ma anche l’omicidio del professore Samuel Paty e l’attacco di Nizza dello scorso ottobre come prove della necessità di “adattarsi alle nuove minacce meno facili da individuare”, tramite l’applicazione permanente delle misure provvisorie e l’uso di nuovi mezzi tecnologici.

Alcuni deputati hanno però criticato la legge, o almeno alcuni suoi aspetti. Ad esempio, l’estensione della sorveglianza nei confronti degli ex detenuti per terrorismo, che hanno già scontato la pena, potrebbe porre dei problemi di legittimità costituzionale. Già nel 2020, il Consiglio costituzionale francese aveva bocciato una proposta di legge in materia. Per questo, alcuni deputati della destra stanno iniziando a parlare di modifiche costituzionali, un’ipotesi fortemente avversata da altre parti politiche[2].

Un’opposizione più forte arriva dalla società civile e, in particolare, dalle organizzazioni per i diritti umani. La normalizzazione di misure emergenziali è stata duramente criticata, ad esempio, da Amnesty International: "Questo testo mira a rendere permanenti, e addirittura a rafforzare le misure eccezionali antiterrorismo di cui chiediamo l'abrogazione da diversi anni perché, come abbiamo dimostrato più volte nelle nostre inchieste, violano il diritto a un equo processo, il diritto alla vita privata e familiare e il diritto al lavoro. Il disegno di legge mira anche a perpetuare e rafforzare i dispositivi di sorveglianza, colpendo in modo sproporzionato il diritto alla privacy di tutti. È preoccupante che queste disposizioni, che colpiscono le libertà fondamentali, possano essere approvate sulla base di obiettivi così ampi e imprecisi […], senza un controllo sufficiente, in particolare da parte del potere giudiziario”[3].

Svizzera, il referendum sulla legge anti-terrorismo

Il 13 giugno, i cittadini svizzeri hanno votato tramite un referendum – che comprendeva anche altri 4 quesiti su materie diverse – il supporto a una legge nota come MPT, che aumenta gli strumenti di sorveglianza preventiva dei sospetti radicalizzati a disposizione della polizia. Approvata dal Parlamento lo scorso anno, la legge aveva allarmato numerosi esperti per i diritti umani, che erano riusciti a far indire il referendum proprio nella speranza di farla abrogare grazie al voto popolare. Al contrario, quasi il 57% dei votanti ha sostenuto la MPT: già le proiezioni davano in vantaggio il Sì. I risultati definitivi saranno resi noti soltanto tra qualche mese, dopo la convalida del Consiglio federale, ma quasi certamente non si discosteranno molto dall’esito provvisorio[4].

Le misure comprendono l’obbligo per i sospetti radicalizzati di presentarsi regolarmente alle autorità, il divieto di espatrio, di lasciare un determinato territorio all’interno dei confini nazionali oppure di accedere ad alcuni luoghi pubblici, il divieto di avere contatti con persone vicine a gruppi terroristici, e l’espulsione nei confronti di sospetti di nazionalità straniera. Secondo il Governo federale, la legge completa le lacune della strategia antiterrorismo nazionale, e la sua applicazione sarà valutata caso per caso, in modo da evitare decisioni arbitrarie[5].

L’aspetto più controverso della legge riguarda l’estensione di misure di sorveglianza e restrizioni della libertà di movimento nei confronti di minorenni: divieto di viaggiare per sospetti dai 12 anni in su, arresti domiciliari dai 15. Preoccupa inoltre l’ampliamento della definizione di terrorismo proposta dalla legge, giudicata "troppo vaga" dagli esperti. Infatti, applicando la nuova definizione, potrebbero rientrare tra gli accusati di sostegno a organizzazioni terroristiche alcune categorie come gli operatori umanitari non espressamente autorizzati dal governo a trattare con i gruppi terroristici, per fornire assistenza sui territori da questi controllati[6]. La legge è stata definita "la più dura in Occidente" in tema di prevenzione al terrorismo[7].

Sicurezza e diritti umani: quale rapporto?

L’attenzione crescente verso il rapporto tra sicurezza e diritti è fortemente legata agli sviluppi del fenomeno del terrorismo, interno e internazionale, e della sua percezione nel contesto europeo. Il tema della sicurezza è stato determinante negli equilibri politici di tutti i paesi dell’area, in parte a prescindere dall’effettiva incidenza degli episodi di terrorismo sul proprio territorio. I casi di Francia e Svizzera lo dimostrano bene: la prima ha subìto, più di tutti gli altri Stati europei, attentati terroristici, mentre la seconda non ha vissuto episodi altrettanto traumatici per l’opinione pubblica. Eppure, l’effetto sociale ed emotivo degli attentati terroristici, condizionato dalla forte percezione di una minaccia per la sicurezza collettiva, ha avuto un impatto simile sulle proposte di riforma della normativa in materia di antiterrorismo. Anzi, la legge Svizzera è addirittura più restrittiva di quella francese.

Non è la prima volta che norme e misure adottate in nome della sicurezza e della lotta al terrorismo fanno discutere sul rispetto dei diritti umani. Senza dubbio, uno Stato ha il dovere di tutelare la vita e la sicurezza della propria popolazione, e prevenire episodi di terrorismo rientra appieno in questo dovere. Tuttavia, garantire la sicurezza pubblica significa anche assicurare il rispetto dei diritti fondamentali: come la storia ha dimostrato più volte, è proprio sotto il pretesto dello stato di emergenza che si verificano crimini, abusi di potere, corruzione e privazione delle libertà personali, che non rendono affatto la società più sicura, anzi espongono la popolazione a rischi e ingiustizie e possono degenerare in tensioni sociali e conflitti.

Se ampliamo, poi, il concetto di sicurezza oltre il semplice mantenimento (almeno apparente) dell’ordine nei luoghi pubblici, avremo ancora un’altra prospettiva su cui riflettere per proporre delle politiche efficaci. Sicurezza è infatti la possibilità per ogni persona di non essere costretta a vivere in condizioni di grave svantaggio sociale ed economico, che alimentano in modo determinante l’incidenza del terrorismo e della criminalità in generale. Da questo punto di vista, l’impatto di misure securitarie, come quelle proposte in Francia e Svizzera, diventa molto relativo: la prevenzione non può essere fatta di soli provvedimenti di controllo e coercitivi, ma ha bisogno di progetti più ampi di recupero.

Fonti:

[1] https://www.publicsenat.fr/art...

[2] https://www.sudouest.fr/justic...

[3] https://www.amnesty.fr/presse/...

[4] https://www.admin.ch/gov/it/pa...

[5] https://www.ejpd.admin.ch/mesu...

[6] https://www.reuters.com/world/...

[7] https://www.repubblica.it/este...

a cura di Laura Morreale 

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