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Sconvolgimento verde: le conseguenze internazionali della transizione ecologica

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

Grazie a posizioni ancestrali e convincimenti concreti odierni, appare del tutto plausibile il desiderio di tutta l’umanità di avere un futuro vissuto in un ambiente il più pulito possibile che passi obbligatoriamente attraverso l’utilizzo di innocue fonti di energia. È noto a tutti che l’inquinamento da gas serra cresce mentre gli eventi atmosferici si fanno sempre più numerosi ed estremi. A fronte di ciò, le attuali ricerche nel campo delle alternative ai combustibili fossili, attualmente più utilizzati, sono totalmente inadeguate.

Presso i governi e le società di questo mondo regna sovrana la sensazione di frustrazione mentre la geopolitica del petrolio e del gas è viva, vegeta e soprattutto più irta che mai. L'Europa è piombata in una grave crisi energetica, con aumento cospicuo e generalizzato del costo dell'energia elettrica che si ripercuote sui bilanci economici delle imprese europee, fino a costringerne alcune alla bancarotta. Mentre i prezzi del petrolio salgono sopra gli 80 dollari al barile, gli Stati Uniti e altri paesi, altamente bisognosi di energia, forzano le proprie richieste nei confronti degli Stati produttori, tra cui l'Arabia Saudita, affinché aumentino la loro estrazione.

I sostenitori dell'energia pulita confidano (e talvolta promettono) che oltre a limitare i cambiamenti climatici, la transizione energetica “verde” contribuirà a rendere le tensioni attuali un ricordo del passato.

È vero che l'energia verde trasformerà anche la geopolitica globale?

Può darsi, anzi sicuramente, ma non necessariamente nel modo in cui molti dei suoi sostenitori sperano e si aspettano.

Riconfigurazione politica

La transizione verde riconfigurerà molti importanti componenti della politica internazionale che hanno sinora plasmato il sistema globale dalla Seconda guerra mondiale, influenzando in modo significativo le fonti di potere di ogni nazione, il processo di globalizzazione, le relazioni tra le grandi potenze e la convergenza economica, tuttora in corso, dei paesi sviluppati e di quelli in via di sviluppo. Alla luce delle radicate divergenze di questo mondo, sarà un processo disordinato nella migliore delle ipotesi. E lungi dal promuovere sia il “gentlemen agreement” che la cooperazione. Anzi, sarà probabile la produzione di nuove forme di competizione industriale e confronto sociale molto prima che una nuova geopolitica più appropriata e positiva possa prendere radicalmente forma.

Al momento attuale parlare di una transizione mondiale graduale in tempi brevi verso l'energia pulita è del tutto fantasioso solo perché non si intravvede alcun modo attraverso quale il mondo possa evitare grandi sconvolgimenti, proprio mentre sta cercando di ricreare l'intero sistema energetico, che è la linfa vitale dell'economia globale e sostiene l'ordine geopolitico. Inoltre, la saggezza convenzionale su chi guadagnerà e chi perderà è spesso fuori da ogni reale e istruita considerazione.

I cosiddetti “petrostati” (combustibili su base estrattiva come il petrolio e il gas) ad esempio, possono godere di ulteriori successi prima di soffrire un calo delle richieste, perché la dipendenza dai maggiori fornitori di queste fonti di energia, come la Russia e l'Arabia Saudita, molto probabilmente aumenterà prima di cadere. D’altro lato, le nazioni più povere del mondo dovranno usare grandi quantità di energia – in prospettiva futura molto più che in passato – per poter prosperare anche se in molti casi dovranno affrontare le peggiori conseguenze secondarie al cambiamento climatico.

Nel frattempo, l'energia pulita arriverà a rappresentare una nuova fonte di potere internazionale e geopolitico per i paesi produttori, ma a sua volta introdurrà nuovi fattori di rischio e incertezze a carattere più generale. Questi argomenti non sono espressi per ridurre o abbandonare il giusto processo della transizione energetica globale. Al contrario, i paesi di tutto il mondo dovranno accelerare e potenziare gli sforzi per combattere il cambiamento climatico. Queste ed altre ancora sono ragioni più che valide per incoraggiare i responsabili politici a guardare oltre le sfide del cambiamento climatico stesso ed a valutare con grande attenzione sia i rischi che i pericoli che potranno discendere da una transizione improvvida e miope verso l'energia pulita.

Più consequenziali in questo momento rispetto alle implicazioni geopolitiche a lungo termine di un ancora lontano mondo a zero emissioni nette sono i pericoli a breve termine a volte imprevedibili e controintuitivi che potranno giungere nei prossimi decenni, poiché la nuova geopolitica dell'energia pulita dovrà contemporaneamente combinarsi con la vecchia geopolitica del petrolio e del gas. L'incapacità di comprendere le conseguenze non intenzionali dei vari sforzi per raggiungere lo zero netto di CO2 non avrà solo implicazioni economiche e di sicurezza; essa comprometterà anche la transizione energetica stessa.

Se le persone arrivano a credere che piani ambiziosi per affrontare il cambiamento climatico mettano in pericolo l'affidabilità energetica o economica o la sicurezza degli approvvigionamenti energetici, la transizione rallenterà. I combustibili fossili potrebbero alla fine svanire. La politica e la geopolitica dell'energia invece non lo faranno.

Premesse storiche

La Prima guerra mondiale trasformò il petrolio in una risorsa e merce strategica. Nel 1918, lo statista britannico Lord Curzon disse che la causa alleata aveva "galleggiato verso la vittoria su un'ondata di petrolio". Da quel momento in poi, la sicurezza britannica è dipesa molto di più dal petrolio della Persia che dal carbone estratto dalle miniere di Newcastle (UK), a causa della energia che in tale frangente storico divenne una importante fonte di potere nazionale e la sua carenza o assenza un’acuta vulnerabilità strategica.

Nel secolo che è seguito, i paesi graziati dalle ingenti risorse di petrolio e gas svilupparono le loro società ed esercitarono un potere fuori misura nel sistema politico internazionale, e i paesi dove la domanda di petrolio superava la sua produzione forzavano le loro politiche estere per garantire un accesso continuo ad esso.

Il futuro

Il disimpegno industriale e sociale dal petrolio e dal gas determinerà una ristrutturazione di questo mondo in modo altrettanto drammatico. Ma il dibattito sociale e politico sulla forma che dovrà avere un futuro basato sull’uso di energia pulita troppo spesso salta clamorosamente su alcuni dettagli che al contrario sono cruciali.

In primis, anche quando il mondo raggiungerà emissioni nette pari a zero, difficilmente corrisponderà ad esso la fine concreta dei combustibili fossili.

Un rapporto storico pubblicato nel 2021 dall'Agenzia internazionale per l'energia (AIE) ha previsto che se il mondo raggiungesse lo zero netto di CO2 entro il 2050, utilizzerebbe ancora quasi la metà del gas naturale di oggi e circa un quarto rispetto ai livelli preindustriali.

Una recente analisi condotta da un team di ricercatori dell'Università di Princeton ha rilevato allo stesso modo che se gli Stati Uniti raggiungessero lo zero netto entro il 2050, utilizzerebbero ancora un totale da un quarto alla metà di gas e petrolio rispetto ad oggi.

Ovvero, sarebbe una grande riduzione, ma i produttori di petrolio e gas continuerebbero a godere di decenni di estrazione dei loro tesori geologici.

Insomma, non c'è modo di evitare grandi sconvolgimenti durante il rifacimento e adattamento dell'intero sistema energetico.

I fornitori

I fornitori tradizionali beneficeranno della volatilità dei prezzi dei combustibili fossili che inevitabilmente deriverà dalla predetta transizione energetica. La combinazione di pressione sugli investitori a disinvestire dai combustibili fossili e la fatale incertezza sul futuro del petrolio sta già oggi sollevando preoccupazioni sul fatto che il livello degli investimenti possa precipitare nei prossimi anni, portando le forniture di petrolio a una diminuzione più veloce di quanto la domanda diminuisca oppure a diminuire anche se la domanda continua ad aumentare, come sta accadendo oggi.

Tale risultato produrrebbe carenze periodiche e quindi prezzi del petrolio più elevati e, quel che è peggio, più volatili.

Questa situazione aumenterebbe il potere dei paesi produttori di petrolio aumentando le loro entrate e dando ulteriore peso all'OPEC, i cui membri, tra cui l'Arabia Saudita, controllano già oggi la maggior parte della capacità inutilizzata del mondo e possono aumentare o diminuire la produzione globale di petrolio quando vogliono e in breve tempo.

Inoltre, la transizione verso l'energia pulita finirà per aumentare l'influenza di alcuni esportatori di petrolio e gas concentrando la produzione globale in un minore numero di nazioni. Alla fine, la domanda di petrolio diminuirà in modo significativo, ma continuerà a rimanere sostanziale per alcuni decenni a venire.

Molti produttori di petrolio ad alto costo, come il Canada e la Russia, potrebbero essere esclusi dal mercato quando la domanda (e, presumibilmente, il prezzo del petrolio) diminuirà.

Altri paesi produttori di petrolio che cercano di essere leader quando si tratta di cambiamenti climatici – come Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti – potrebbero in futuro limitare la loro produzione interna in risposta alla crescente pressione pubblica e accelerare la transizione dai combustibili fossili.

Di conseguenza, i produttori di petrolio come gli stati del Golfo – che hanno petrolio molto economico e a basse emissioni di carbonio, sono meno dipendenti dalle istituzioni finanziarie che ora evitano il petrolio e dovranno affrontare poche pressioni per limitare la produzione – potrebbero vedere aumentare le loro quote di mercato.

Fornire più o quasi tutto il petrolio che il mondo consuma li impregnerebbe di un peso geopolitico fuori misura, almeno fino a quando l'uso del petrolio non diminuirà in modo più marcato. Altri paesi le cui industrie petrolifere potrebbero resistere sono quelli, come l'Argentina e gli Stati Uniti, che vantano grandi depositi di petrolio frammisto alle rocce scistose e che possono quindi attirare investitori in cerca di periodi di ammortamento più rapidi e possono evitare investimenti petroliferi a ciclo più lungo date le incertezze sulle prospettive a lungo termine del petrolio.

Una versione ancora più intensa di questa complessa dinamica produttiva e finanziaria si svolgerà nei mercati del gas naturale: man mano che il mondo inizia a utilizzare meno gas naturale, le quote di mercato del piccolo numero dei paesi produttori che possono fornirlo in maniera più economica e pulita aumenteranno. Ancor più se i paesi che assumono forti provvedimenti per il clima decideranno di frenare la propria produzione.

Per le nazioni europee ciò significherà una maggiore dipendenza dal gas russo, in particolare con l'avvento del gasdotto Nord Stream 2 (qualora venisse aperto) che collega la Russia alla Germania. La guerra in Ucraina ha rimesso in discussione l’intera struttura dell’argomento ma i tempi sono lunghi e tanto dev’essere ancora fatto e prodotto in termini anche diplomatici.

Gli appelli di oggi dei legislatori europei alla Russia per aumentare la sua produzione di gas ed evitare una crisi energetica nel prossimo inverno sono un promemoria sull’importanza, anche se temporanea, di Mosca per la sicurezza energetica dell'Europa.


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    Redazione

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