Risiko mediorientale

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  Tiziano Sini
  30 aprile 2022
  5 minuti, 8 secondi

La guerra in Ucraina dopo due mesi di scontri sta continuando, senza per il momento intravedere nessuno spiraglio di compromesso negoziale. Le ripercussioni scaturite da un tale evento sembrano minare l’intero impianto securitario, segnando un cambiamento epocale negli equilibri globali.

Non solo, infatti, la guerra è tornata prepotentemente in Europa - e probabilmente in maniera percettibilmente diversa rispetto anche a quanto accaduto con i conflitti nella ex Jugoslavia - ma ha scaturito un riassetto, la cui portata è stata in grado - almeno per il momento - di spostare nuovamente il focus della geopolitica dal Pacifico all’Europa, portando indietro le lancette della storia.

Le risposte economiche e militare - in quest’ultimo caso aiuti indiretti attraverso forniture militare, [1] senza dimenticare l’appoggio fornito dall’intelligence - sono state condotte anche grazie ad un crescendo impegno americano, che ha ricompattato il fronte atlantista, segnando il passo ad un ritorno di un certo tipo di politica estera, dopo l’era dell’isolazionismo trumpiano.

Il piano sanzionatorio che è andato a colpire la struttura economica della Russia, ha fatto emergere rischiose ambivalenze sistemiche che caratterizzano i rapporti fra gli attori, esacerbando un clima già fortemente compromesso. Una situazione che può essere descritta semplicemente con due parole: dipendenza energetica; chiave di volta che scopre le fragilità di un rapporto non semplice da sciogliere.

È quindi in particolare intorno a questo scenario che si sta giocando la partita parallela a quella militare, motivo che ha spinto Biden ed i vertici del governo americano a giocare un ruolo decisivo per agevolare il compito di Bruxelles di ridisegnare l’intero sistema europeo legato all’approvvigionamento energetico.

Un intervento che ha visto un crescente impegno da parte della stessa amministrazione americana, volto a garantire nuove forniture dirette di petrolio e gas (GNL), verso il Vecchio Continente; ma anche impegnandosi in un ruolo di mediazione diretto che garantisca l’apertura di nuovi mercati.

Intenti nobili ed un rinnovato ardore hanno spinto gli Usa, naturalmente, verso il Medio Oriente, così ricco di fonti energetiche, ma allo stesso tempo così instabile.

Profondamente colpito dagli scontri nell’occidente vicino, il fragile e silente equilibrio sembra prossimo ad essere scosso, innescando un domino le cui conseguenze potrebbero essere incerte e gravose, in un’area da sempre estremamente problematica.

Per il momento le tensioni recenti trovano terreno fertile all’interno dei tavoli negoziali dell’accordo sul nucleare iraniano: Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA).

L’ultimo round negoziale iniziato sotto i migliori auspici, dopo i recenti avvenimenti sta vivendo nuovamente un periodo di stallo, stoppando un accordo di fatto quasi completato, ed innescando di convesso una serie di attriti fra gli attori mediorientali.

Se da un lato infatti vi è un effettivo rapporto di vicinanza fra la Russia e lo stesso Iran, come dimostrano le affinità strategiche, soprattutto negli ultimi anni caratterizzati dall’isolamento sofferto da Teheran, a causa delle sanzioni americane. Non sono secondarie la concordanza di intenti in ambito militari, come dimostra la convivenza in alcuni teatri di guerra come la Siria.

La stessa Russia, costretta dal calare di una nuova cortina di ferro in Europa, a voltare lo sguardo verso oriente, trova nel vicino iraniano un alleato naturale, ma si scopre allo stesso tempo preoccupata di fronte all’accelerazione imposta dagli Stati Uniti nel tavolo negoziale,

volenterosi di finire un braccio di ferro ormai durato troppo a lungo, e probabilmente con l’intento perfino di aprire il mercato al petrolio e del gas iraniano.

Se da una parte per il momento Biden - anche a causa della pressione dei Repubblicani in piena campagna per le elezioni di midterm - ha sciolto qualsiasi indugio in merito, slegando l’accordo sul nucleare dalla questione energetica; Mosca teme profondamente questo scenario, con un paese ricco di risorse energetiche che potrebbe diventare un competitor.

L’aspetto confortante per la Federazione russa è la prospettiva di medio-lungo periodo che assume la minaccia, nonostante infatti il paese sembri possedere un numero cospicuo di riserve petrolifere pronte per l’esportazione, il pericolo di inondare il sistema facendo crollare il prezzo del petrolio e sottraendo un dardo dalla faretra di Putin, al momento risulta praticamente impossibile, anche a causa di una certa arretratezza tecnologica in cui le strutture del paese versano.

Non meno significativo in tal senso è la volontà di escludere dal JCPOA le relazioni commerciali come chiesto espressamente da Lavrov, a causa delle sanzioni imposte; un importante risultato che al momento sembra trovare anche il benestare americano, segnale dell’interesse a lasciare aperti i canali economici fra i due paesi.[2]

Ma che il Medio Oriente fosse attraversato da crescenti tensione ne è testimonianza anche la freddezza da parte dei Paesi del Golfo Persico di fronte al dinamismo americano e la crescente apertura all’Iran, con un caso eclatante, per quanto simbolico, come il rifiuto da parte del Principe saudita di rispondere alla telefonata di Biden.

Mero segnale come detto, ma il messaggio è analogo al diniego di fronte a qualsiasi soluzione concernente l’aumento della produzione petrolifera.

A cui si aggiunge la posizione di Israele, il cui rapporto con l’Iran non accenna a distendersi, ma anzi l’escalation può solo aumentare di livello.

Tel-Aviv ormai impegnata - anche con metodi poco leciti - a fermare i progressi sul nucleare iraniano, continua a mettere alle strette il paese, già ampiamente imbrigliato dalle sanzioni economiche, ed evitando anche la risoluzione di qualsiasi tipo di accordo che possa migliorarne le condizioni.

Le dinamiche scaturite dalla guerra hanno in questo modo garantito ad Israele di aprire un ulteriore finestra di opportunità, facendo leva su Mosca, per raggiungere i propri obiettivi ed impedire qualsiasi normalizzazione nei rapporti con l’Iran[3].

Il quadro diventa in questo modo ancora più tortuoso ed intrigato, motivo per cui il pericolo latente maggiore non può che essere la miopia e la sottovalutazione di un mondo in costante divenire, in cui gli equilibri sono sempre più fragili.

[1] https://www.ilsole24ore.com/art/gas-piano-usa-rifornire-l-europa-fino-15-miliardi-metri-cubi-entro-fine-anno-AEw2haMB

[2] https://formiche.net/2022/03/guerra-putin-blocca-jcpoa/

[3] https://www.corriere.it/speciale/esteri/2020/iran-natanz/

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Tiziano Sini

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