Ripensare le Istituzioni Europee

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  Leonardo Cherici
  18 giugno 2019
  3 minuti, 51 secondi

Le elezioni per il nuovo Parlamento Europeo si sono concluse ormai da più di tre settimane e il tempo della “rissa” fra sconfitti e vincitori sembra essersi placato. Tutto questo dovrebbe permetterci una riflessione di più ampio respiro sulle Istituzioni europee e sul ruolo che, dal punto di vista concettuale, ricoprono nell’organizzazione della vita politica di questo nostro Vecchio Continente. Quello che possiamo far emergere, in primo luogo, è che l’Unione Europea non è mai stata definita in modo chiaro. Alcuni parlano di organizzazione sovranazionale, altri non sono d’accordo e la considerano solamente un’organizzazione internazionale particolarmente integrata. Senza poi considerare tutti coloro che ritengono Bruxelles un covo di tecnocrati che come ultimo obiettivo hanno la distruzione della “democrazia”. Ovviamente stiamo semplificando, ma il punto focale è la mancanza di una definizione precisa. Per deformazione professionale, la domanda da porsi non è tanto sulla definizione dell’Unione Europea, ma sulle stesse categorie che utilizziamo per cercare di definirla.

Una delle espressioni più ricorrenti che sentiamo rispetto alle istituzioni è quella di “deficit democratico”. Con questa espressione si potrebbe intendere un problema di democraticità nel funzionamento dell’Unione Europea. Pensiamo ad esempio ai movimenti “sovranisti”: le loro argomentazioni ruotano attorno al fatto che la Commissione abbia iniziato ad occuparsi di materie che tradizionalmente spettavano agli Stati. Questo ha comportato una cessione di sovranità dai Paesi membri alle Istituzioni comunitarie. Tutto ciò rappresenterebbe un problema per chiunque sia un sostenitore di una concezione classica di “democrazia”: un popolo come attore unitario che autorizza, tramite elezioni, i suoi rappresentanti a governarlo. In effetti, noi non troviamo questo meccanismo all’interno dell’Unione Europea, dove invece le decisioni politiche vengono prese grazie alla compresenza di tre istituzioni fondamentali: il Consiglio, la Commissione e il Parlamento. Per chiarire meglio questo passaggio, possiamo fare riferimento ad un saggio[1] di Dieter Grimm, giurista tedesco di fama internazionale, che ha dedicato numerosi studi al concetto di sovranità nel processo di integrazione europeo. Egli definisce l’Unione “over-constitutionalized”: i trattati europei svolgono numerose funzioni di una Costituzione senza avere alla base quel potere costituente che è fondamentale nelle democrazie moderne. In questo modo si corre il rischio di fare confusione e mescolare la legge ordinaria con quella costituzionale, riducendo la responsabilità democratica. In poco tempo viene alimentata l’idea per cui Bruxelles sia la patria dei burocrati che decidono delle nostre vite senza un mandato elettorale e che la sola cosa giusta da fare sia riprendersi indietro la sovranità ceduta.

Esiste una soluzione diversa? Alcuni sostengono che si debba guardare al Parlamento Europeo. In effetti, il Parlamento è il luogo dove il popolo viene rappresentato. L’idea sarebbe quella di ampliare i poteri di questa istituzione per aumentare la trasparenza decisionale dell’Unione. Ci sono, però, delle questioni di natura tecnica: il Parlamento Europeo è molto meno rappresentativo di quanto si possa pensare. Possiamo parlare di un problema di sovra-rappresentazione per cui un deputato maltese, ad esempio, rappresenta 80.000 cittadini, mentre il suo collega tedesco circa 800.000. Tuttavia, il punto focale della questione lo troviamo nelle elezioni europee. Queste non sono davvero “europeizzate”: sono più un modo per testare la forza dei partiti di governo e di opposizione. Eleggiamo rappresentanti di partiti nazionali e non possiamo votare dei candidati esteri. Non possiamo pensare di risolvere i problemi di deficit democratico aumentando i poteri del Parlamento Europeo, senza creare lo spazio per una sfera pubblica davvero continentale. Quest’ultima è infatti molto debole; basti pensare al numero limitato di lettori che acquistano riviste che si occupano di Europa, senza poi contare la barriera linguistica che si erge fra i 28 paesi membri.

All’inizio della nostra riflessione avevamo posto l’accento sul ruolo che le categorie concettuali svolgono nell’organizzazione della vita politica. In riferimento all’Unione, appare particolarmente significativa la questione della sovranità. Lo stesso Grimm si chiede se dobbiamo mantenere questo concetto o possiamo dire iniziata l’epoca della post-sovranità. Cosa vuol dire tutto ciò? Semplicemente domandarsi se il concetto di sovranità sia ancora adeguato per descrivere queste nuove realtà politiche che si stanno affermando. Una sana riflessione sull’Unione Europea non può che partire da questo punto: rimettere in questione tutte le categorie che diamo per scontate e domandarci se, viste le loro aporie, non sia il caso di andare oltre, così com’è stato fatto tante volte nel corso della storia dell’umanità.

[1] Dieter Grimm, Sovereignity in Europe, in “The Constitution of European Democracy”, Oxford, Oxford University Press, 2017, pp. 39-57

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L'Autore

Leonardo Cherici

All’interno della famiglia di Mondo Internazionale APS ricopre la carica di Direttore di Redazione di Mondo Internazionale Post, quotidiano online dell'associazione. Oltre a questo, sta svolgendo un dottorato in economia politica presso l'Università Cattolica di Milano dove si occupa di diseguaglianza, preferenze politiche e modelli elettorali.

Within the Mondo Internazionale APS family, he holds the position of Editor-in-Chief of Mondo Internazionale Post, the online daily of the association. In addition to this role, he is pursuing a Ph.D. in Political Economy at the Università Cattolica di Milano, focusing on inequality, political preferences, and electoral models.

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Europa

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Unione Europea istitutzioni Sovranità Democraticità