Hikikomori: fenomeno nipponico o globale?

  RAISE
  Fabio Di Gioia
  22 giugno 2020
  4 minuti, 2 secondi

Il termine hikikomori fu coniato dallo psichiatra giapponese Saitō Tamaki dalle parole hiku, tirare, e komoru, ritirarsi, letteralmente “stare in disparte, isolarsi ” e indica un particolare fenomeno nato in Giappone verso la fine degli anni Ottanta. In quegli anni infatti, un numero sempre maggiore di giovani scelse di interrompere le relazioni sociali e ritirarsi nella propria stanza, rimanendovi rinchiusi anche per lunghi periodi, apparentemente a causa di una forma di apatia scolastica.

La reclusione volontaria consiste nel ritiro dalle attività scolastiche e/o lavorative e nell’interruzione dei rapporti sociali al di fuori della famiglia. Il periodo medio di isolamento è di 39 mesi, ma può protrarsi anche per parecchi anni (Saitō, 1998) in una condizione di stabile dipendenza economica dai genitori. Solitamente il fenomeno riguarda i giovani tra i 14 e i 30 anni, di estrazione sociale medio-alta e di sesso maschile (per il 90%), spesso figli unici di genitori laureati (Moretti, 2010).

Il tempo trascorso in autoreclusione viene impiegato a chattare, leggere, giocare al computer o guardare la televisione. Per tale ragione il fenomeno è stato spesso associato all’internet addiction, tuttavia gli studi mostrano che solo nel 10% dei casi sono presenti entrambe le problematiche (Wong, 2015). La dipendenza da internet potrebbe essere presumibilmente la conseguenza dell’isolamento piuttosto che la causa.

Alla base di questa tipologia specifica di ritiro sociale sono state trovate cause di diversa natura:

  1. Caratteriali: gli hikikomori solitamente sono ragazzi brillanti a livello cognitivo, ma presentano difficoltà sul piano relazionale in quanto particolarmente sensibili e inibiti socialmente. Questo specifico temperamento contribuisce da un lato a rendere particolarmente difficile la creazione di legami soddisfacenti e duraturi e, dall’altro, a sentirsi insicuri nel gestire le inevitabili difficoltà e delusioni a livello relazionale;
  2. Familiari: gli studi condotti sulle società nipponiche evidenziano che spesso nelle famiglie degli hikikomori il padre è emotivamente assente, mentre la madre risulta essere iperprotettiva. Tale dinamica crea attriti nella comunicazione genitori-figlio, e quest’ultimo molte volte finisce per rifiutare qualsiasi tipo di aiuto da parte degli adulti di riferimento;
  3. Scolastiche: il rifiuto della scuola è uno dei primi campanelli d'allarme dell'hikikomori. L'ambiente scolastico viene vissuto in modo particolarmente negativo. Frequentemente dietro l'isolamento si cela una storia di bullismo, eccessivi livelli di competizione con i pari e fallimento negli esami o test previsti dal percorso accademico;
  4. Sociali: gli hikikomori sviluppano una visione pessimistica della società e sono tormentati dalle pressioni di realizzazione sociale derivanti dalle aspettative genitoriali, dalle quali tentano di evadere. A ciò, si aggiungono le difficoltà relazionali descritte precedentemente.

In un primo momento, si pensava che questa problematica fosse legata ai valori caratteristici della società nipponica: una comunità particolarmente competitiva, con una rigida stratificazione sociale e un senso dell’onore molto radicato. Tutti questi elementi messi assieme hanno portato molti adolescenti ad abbandonare la competizione e ad isolarsi, realizzando una sorta di suicidio sociale. Davanti ad una crescente difficoltà e demotivazione, il soggetto preferisce chiudersi in casa piuttosto che affrontare la realtà quotidiana e sperimentare la sensazione di oppressione e inadeguatezza che essa comporta.

Ritirandosi dalla società i giovani scelgono di interagire online con l'esterno e ciò permette di placare, almeno in parte, il senso di vergogna sperimentato nel contatto con l’altro. Anche la dimensione di gruppo virtuale permette di provare un immediato senso di appartenenza e di accettazione; inoltre le dinamiche sembrano seguire regole più flessibili rispetto a quelle a cui ci si sottopone nella realtà concreta (Lavenia, 2012).

Dal momento che gli hikikomori sono sempre stati associati alla società nipponica, si era ipotizzato che tale problematica non potesse esistere al di fuori di quello specifico contesto. In realtà, sempre più frequentemente si registrano casi assimilabili anche in Occidente, tanto da poter segnalare già una tipica presenza negli Stati Uniti, nel nord Europa e in Italia (Block, 2008; Pedata, 2012). Pare quindi trattarsi di un disagio sociale che interessi tutti i paesi economicamente sviluppati.
Al momento in Giappone si parla di oltre 500.000 casi accertati, ma secondo alcune associazioni il numero potrebbe arrivare addirittura a un milione, pari quindi all’1% dell’intera popolazione giapponese. Si tratta dunque di un fenomeno incredibilmente vasto e difficilmente quantificabile proprio per le sue caratteristiche intrinseche.

In base ad uno studio pubblicato a maggio di quest’anno, una delle possibili conseguenze dell’attuale pandemia potrebbe essere proprio l’aumento di questo disagio (Taylor & Asmundson, 2020). I giovani che già prima del lockdown presentavano alcuni tratti come la difficoltà a relazionarsi e la tendenza al ritiro sociale potrebbero cronicizzare questa situazione, mutando l’isolamento forzato in isolamento volontario, e diventando a tutti gli effetti hikikomori. È pertanto di fondamentale importanza intervenire in modo puntuale ed efficace, anche a titolo preventivo, per tutelare la salute di adolescenti e giovani adulti e contrastare la diffusione di questo fenomeno.

Fonti liberamente consultabili:

https://www.hikikomoriitalia.it/

A cura di Sara Bergamini

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L'Autore

Fabio Di Gioia

Dottore in Scienze internazionali ed istituzioni europee, attualmente si sta specializzando nel corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali. È stato Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Referente di Segreteria e co-ideatore del progetto TrattaMI Bene. È ora Caporedattore e autore per la sezione Diritti Umani.

Bachelors degree in International Sciences and European Institutions, currently majoring in International Relations. He has served as Chairman of the Board of Auditors, Secretariat Liaison, and co-creator of the TrattaMI Bene project. He is now Editor-in-Chief and author for the Human Rights section.

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