Africa: i bambini e il "viaggio della speranza"

  RAISE
  Rebecca Scaglia
  14 dicembre 2020
  4 minuti, 22 secondi

Nel 2019, secondo uno studio condotto dall’UNICEF, il numero di migranti internazionali ha raggiunto i 272 milioni, dei quali 33 milioni sono bambini.

Nel caso specifico dell’Africa, i dati aggiornati a febbraio 2019 mostrano che, dal 2017, 19 milioni di migranti si spostano all’interno del continente, mentre 17 milioni si disperdono nel mondo, principalmente tra l’Europa e l’Asia.

Secondo un report dell’UNICEF risalente all’anno 2016, il "viaggio della speranza" di milioni di persone si svolge "dagli entroterra dell’Africa e del Medio Oriente, attraverso il Sahara e fino al Mar Mediterraneo in Libia". In questo itinerario, un migrante su quattro è un bambino. Quello verso la Libia è "uno dei viaggi più fatali al mondo per i bambini. La parte più pericolosa di questa rotta è rappresentata dall’itinerario di 1.000 chilometri che va dal confine meridionale del deserto della Libia alla sua costa mediterranea, insieme alla tratta marittima di 500 km fino alla Sicilia".

Tra i principali pericoli incontrati dai bambini nella rotta per il Mediterraneo figurano violenze sessuali, estorsioni e rapimenti. Da un’indagine intrapresa dall’UNICEF nel corso del 2016, è emerso che

  • tre quarti dei bambini migranti intervistati hanno subito violenze, molestie o aggressioni da parte di adulti;
  • la maggior parte dei bambini si è fidata del fatto che i trafficanti consentissero a molte persone in debito con loro di pagare nel corso del viaggio, cosa che li ha esposti ad abusi, rapimenti e tratta di esseri umani;
  • la maggior parte dei bambini ha denunciato abusi verbali o psicologici, mentre circa la metà di loro aveva subito percosse o altri abusi fisici. Fra le ragazze si è registrata una maggiore incidenza di abusi rispetto ai ragazzi;
  • diversi bambini migranti non hanno avuto accesso a cibi adeguati nel corso del viaggio verso la Libia;
  • la maggior parte dei bambini ha previsto di trascorrere lunghi periodi di lavoro in Libia per pagarsi la tappa successiva del viaggio, sia per tornare nel Paese d’origine che per raggiungere la propria destinazione in Europa.

Inoltre, circa un terzo degli intervistati ha indicato di aver subito abusi in Libia. Alcuni bambini hanno detto di averne subiti "da parte di persone che sembravano indossare un’uniforme o essere associati con l’esercito o altre forze armate, diversi altri hanno dichiarato di essere stati presi di mira da stranieri".

A fronte di tali testimonianze, è chiaro che non si tratta soltanto di una rotta rischiosa percorsa da persone disperate, ma anche di una rotta d’affari da miliardi di dollari, controllata da reti criminali, la quale prende il nome di “rotta migratoria del Mediterraneo Centrale”.

Peraltro, circa un terzo dei bambini soggetti all’indagine dell’UNICEF erano non accompagnati, il che li ha resi maggiormente vulnerabili.

I recenti dati diffusi dall’International Organization for Migration (IOM), aggiornati ad agosto 2020, stimano che, ad oggi, vivano in Libia circa 600.000 migranti. È difficile stabilire il numero di bambini non accompagnati arrivati in Libia. È noto, però, che il numero di bambini non accompagnati giunti in Italia nel 2016 era circa tre volte superiore a quello dei bambini non accompagnati stimati in Libia. Ben il 92% di tutti i bambini arrivati in Italia l’anno scorso era non accompagnato. Questo potrebbe essere dovuto a due fattori principali: i dati ufficiali forniti dalle autorità libiche non sono corretti e/o in Libia molte famiglie vengono separate, probabilmente a scopi detentivi.

Tra le azioni da intraprendere per la tutela dei migranti minorenni, come evidenzia l’UNICEF’s Agenda for Action for Refugee and Migrant Children, trova spazio, in primis, la soluzione della cause che inducono i bambini africani a lasciare le proprie case. A tal proposito, sarebbe utile promuovere la creazione di partiti e movimenti politici che non facciano ricorso a pratiche di violenza e persecuzione ereditate dal periodo coloniale e post-coloniale, ma che sappiano farsi carico degli interessi della popolazione.

Il “nuovo movimento sociale africano”, per esempio, anche chiamato Afrikki Mwinda (Luce d’Africa), porta avanti un programma di liberazione dalla burocrazia elefantiaca, dalle multinazionali straniere e da altri numerosi ostatori dell’indipendenza africana. È un movimento fondato dai giovani e per i giovani, che i Paesi stranieri – compresi quelli europei – dovrebbero valorizzare e sostenere.

Un rapporto pubblicato da Amnesty International intitolato “Tra la vita e la morte”, tuttavia, evidenzia come moltissime persone siano rimaste intrappolate in Libia a seguito delle misure messe in atto da molti Paesi europei, a partire dal 2016, per bloccare le rotte di immigrazione clandestina verso i propri porti. Così, migliaia di persone sono costrette a sopportare trattamenti di detenzione disumani in quelli che sono a tutti gli effetti, come li definisce lo stesso Ministero dell’Interno di Tripoli, dei centri di detenzione.

Amnesty International e altre Organizzazioni internazionali hanno recentemente presentato una dichiarazione congiunta per esortare i governi e le istituzioni dell’UE a riformare le politiche di cooperazione con la Libia. In particolare, è stato presentato un esposto elaborato da GLAN, ASGI e ARCI alla Corte dei Conti Europea, con il quale le tre Organizzazioni chiedono di determinare se l’UE abbia infranto la legislazione comunitaria in materia finanziaria, nonché gli obblighi sui diritti umani, nel supportare la Libia nella gestione dei propri confini.

Fonti liberamente consultabili:

- https://www.unicef.org/

- https://www.amnesty.org/en/


A cura di Rebecca Scaglia

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