Precariato e questione di genere

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  Redazione
  13 maggio 2021
  3 minuti

Il mercato del lavoro negli ultimi decenni si è notevolmente modificato, venendo sempre più influenzato da processi come la globalizzazione e l’accelerazione del progresso tecnologico. Questi cambiamenti hanno avuto un impatto significativo anche sulle modalità di svolgimento delle occupazioni, con un numero minore di posizioni stabili e un numero maggiore di lavori flessibili che si traducono in forme di occupazione temporanee e precarie. I lavoratori e le lavoratrici si trovano, sempre più frequentemente, a dover affrontare nel corso della loro vita numerose esperienze lavorative precarie, sviluppando sentimenti e momenti di disagio e incertezza. Il lavoro precario può essere riconducibile all’insicurezza in merito alla continuità del rapporto di lavoro, al salario insufficiente o alla remunerazione discriminante, e alla vulnerabilità dei lavoratori in termini di ore, intensità di lavoro e indebolimento della protezione sociale dei lavoratori.

Dalla fine della crisi economica la ripresa ha premiato molto di più i giovani uomini, con una crescita del 4,3% del tasso di occupazione dei 20-24enni che contrasta con il +2,9% delle coetanee. Quello dei ragazzi 25-29enni è migliorato del 3,5%, contro il +2,1% delle donne della stessa età. Le ragazze tra i 20 e i 24 anni che lavorano in Italia sono solo il 25,9%. Solo Grecia e Nord Macedonia hanno dei dati peggiori dell’Italia. Svizzera e Francia presentano i dati migliori, rispettivamente 75,3% e 48,2%.

Il contesto italiano e globale è caratterizzato da disparità di genere nel mondo del lavoro. Il gender pay gap mondiale, cioè la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e quello percepito dagli uomini, è intorno al 20%. In Italia il dato è mediamente più basso, ma questo non significa che le cose vadano bene. Fino all’inizio del 2020, il Censis ha rilevato che le donne rappresentavano circa il 42% degli occupati complessivi del Paese e il tasso di attività femminile si collocava al 56% circa, contro il 75% degli uomini. Vi è un dato oggettivo che non può essere trascurato: le donne sono impiegate maggiormente nei settori dei servizi, e in particolare nel settore domestico, spesso con contratti che danno poca sicurezza e stabilità.

Il nostro Paese è noto per aver vissuto una stagione particolarmente ampia e lunga di lavoro fisso: il passaggio alla precarietà è stato effettivamente destabilizzante. Ma non soltanto dal punto di vista soggettivo, anche dal punto di vista del sistema sociale in quanto tale, perché se è vero che la precarietà è sofferta dagli individui, gli effetti di medio periodo della precarietà sono effetti che si riversano anche su tutto il sistema sociale. In questo quadro il lavoro continua ad essere una risorsa imprescindibile e un traguardo da raggiungere per la realizzazione del proprio progetto di vita.

Il tema dei diritti rimane centrale, poiché sono minacciati in vario modo fino a mettere in pericolo l’intero sistema delle garanzie sociali che formano il patrimonio di civiltà più rappresentativo della modernità. Avere un lavoro flessibile che non produca effetti disastrosi, sia sulla persona che sul sistema sociale, comporta avere a disposizione una serie di fattori di vantaggio sotto il profilo del welfare state e della politica sociale. La sfida del lavoro odierno caratterizzata dalle dinamiche della flessibilità e del precariato, impone alla società una presa di responsabilità, che non è possibile demandare alle capacità individuali e alle risposte del singolo.

Fonti consultate per il seguente elaborato:

https://www.linkiesta.it/2019/07/donne-30-anni-lavoro/

https://www.wired.it/economia/lavoro/2021/02/02/istat-lavoro-donne-pandemia-disoccupazione/

https://www.sio-online.it/2018/09/06/la-precarieta-del-mercato-del-lavoro-attuale-sfida-lorientamento-2/

https://unsplash.com/it/foto/_...

a cura di Valeriana Savino 

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