Polonia e diritto all'aborto

La sentenza che limita il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza

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  Cristina Colombini
  09 novembre 2021
  5 minuti, 30 secondi

La maggior parte degli Stati Europei, ad oggi, riconosce il diritto umano all’interruzione volontaria di gravidanza, purché esso avvenga entro il primo trimestre, senza restrizioni di motivazione. Superato questo periodo, l’aborto volontario è consentito solo in alcune specifiche circostanze, quali, ad esempio, rischio per la vita o la salute - sia fisica che mentale - della madre o gravi malattie del feto. All’interno dell’Unione Europea, Malta è l’unico stato che condanna l’aborto in ogni circostanza - anche nei casi di stupro o pericolo per la vita sia del feto che della madre - ma altri stati mantengono forti restrizioni alla libertà di interrompere la gravidanza.

Caso molto discusso recentemente è quello della Polonia che, da un anno a questa parte, è al centro di diversi dibattiti. Avendo già dal 1993 una legislazione molto restrittiva sull’argomento, lo Stato consentiva l’aborto in soli tre casi: stupro, grave malformazione del feto e rischio per la vita della madre. Il 23 Ottobre 2020, il tribunale polacco ha emanato però la sentenza che elimina la possibilità di aborto nel caso di malformazione del feto, riducendo quindi la possibilità di interruzione ai soli casi di stupro e gravi rischi per la madre, limitando così ulteriormente la libertà di scelta della donna sulla propria gravidanza. Alla luce di tale decisione, solo il 2% degli aborti avvenuti negli anni scorsi sarebbero ora considerati legali (nel 2019, 1074 interruzioni su 1100 erano risultato di malformazioni del feto). I restanti casi, considerati ora illegali, possono essere puniti con imprigionamento sia per la donna che subisce l’intervento sia per il medico che lo pratica. Inoltre, il presidente polacco Andrzej Duda, supportato dal partito populista “Law and Justice” - in carica dal 2015 - aveva, già nel Giugno 2020, deciso di uscire dalla Convenzione di Istanbul contro la Violenza sulle Donne (primo trattato vincolante con lo scopo di proteggere le donne da violenze e discriminazioni), in aggiunta alla promozione di diverse policy e dichiarazioni contrarie ad ideologie gender e alla comunità LGBTQI+.

Andando verso un quasi totale divieto dell’aborto, il tribunale polacco sostiene la difesa della dignità e del rispetto della vita umana, conferendo al feto tale diritto sin dal momento del concepimento e sostenendo che l’aborto in caso di malformazione del feto va contro la Costituzione Polacca stessa. Come Stato membro della Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici (dal 1997) e della Convenzione sull’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione contro le Donne (dal 1980), la Polonia ha però l’obbligo giuridico di rispettare gli standard internazionali derivanti dai diritti umani. Tali standard riconoscono il diritto delle donne ad accedere ad un aborto sicuro e legale, necessario per la protezione della dignità della donna stessa e per la parità e l'eguaglianza di genere. La decisione del tribunale è quindi in contrasto con quanto affermato dalle convenzioni, e alcuni esperti di Diritti Umani delle Nazioni Unite affermano che non è possibile giustificare tale violazione “invocando la difesa al diritto alla vita, dal momento che tale diritto, così come tutti gli altri diritti umani secondo il Diritto Internazionale dei Diritti Umani sono accordati a coloro che sono già nati”.

La nuova legge sull’aborto ha inoltre scatenato forti risposte da migliaia di donne e uomini polacchi: dal 23 Ottobre 2020 sono iniziate proteste di massa in opposizione alla sentenza, in quella che è stata la più grande protesta che il paese ha vissuto dalla fine della Repubblica Popolare nel 1989. Le proteste si sono svolte in diverse città, partendo da Varsavia e proseguendo per giorni. Le proteste, scaturite inizialmente dalla rabbia per la nuova sentenza, hanno poi portato, il primo Novembre, ad una lista di diverse richieste da parte di “All-Poland Women’s Strike” - il movimento a capo delle manifestazioni - guidato dalla cofondatrice Marta Lempart, con il più ampio obiettivo di proteggere i diritti delle donne, tra cui il diritto alla libertà di decisione sul proprio corpo e ad un libero accesso alla sanità. Ulteriori proteste provengono inoltre dalla comunità LGBTQI+, in aggiunta a richieste per il miglioramento del sistema sanitario, educativo e per reindirizzare fondi e finanziamenti a questi ultimi piuttosto che ad organi religiosi o di partito.

Le risposte non sono mancate neanche da parte della comunità internazionale e dall’Unione Europea: il Parlamento Europeo ha dichiarato che la sentenza è contraria alla protezione dei Diritti Umani in quanto una gravidanza in caso di gravi malformazioni può essere rischiosa per la vita e la salute della madre. Allo stesso tempo, il Consiglio d’Europa - organizzazione regionale per la protezione dei diritti umani - ha condannato la decisione del governo polacco, con le parole della Human Rights Commissioner Dunja Mijatovic: “La sentenza della Corte Costituzionale significa aborto clandestino/all’estero per coloro che possono permetterselo e un ancora più grande calvario per tutti gli altri”. Questi avvenimenti aprono infatti un importante discussione sulle conseguenze della decisione della corte: i numeri di aborti non diminuiranno, ma aumenteranno le situazioni che presentano interruzioni di gravidanza clandestine e pericolose, con conseguenze sempre più devastanti per donne e ragazze che necessiteranno tale operazione, specialmente per quelle che si trovano in condizioni di svantaggio socio-economico o per immigrati senza documenti che non hanno la possibilità di viaggiare in altri paesi per scegliere una assistenza sanitaria più sicura. L’Unione Europea ha inoltre accusato il partito Law and Justice di aver aggirato le normali procedure parlamentari - accusando il tribunale di essere politically-influenced - e di aver approfittato di un periodo delicato come quello della pandemia Covid-19 per far passare la in secondo piano la pubblicazione della sentenza. In risposta alle diverse accuse, il governo polacco si è difeso sostenendo che la responsabilità di regolare la ammissibilità e legalità dell’interruzione di gravidanza è riservata esclusivamente alla politica interna dello stato.

È quindi “un triste giorno per la difesa dei diritti delle donne” - come definito da Mijatovic - quello della decisione della Polonia di limitare la protezione dei diritti e delle libertà delle donne. Una protezione ancora molto discussa, soprattutto alla luce di recenti episodi di nuove proteste, a seguito della morte di una donna dovuta a gravi problemi del feto durante la gravidanza, ma anche a sostegno di tutte le donne che subiranno, dopo questa scelta, gravi conseguenze sia fisiche che psicologiche.

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Cristina Colombini

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Europa Diritti Umani

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#aborto