Nuove tecnologie e diritti umani: benefici e rischi del riconoscimento facciale

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  Michela Rivellino
  26 novembre 2021
  5 minuti, 41 secondi

Utilizzare il proprio volto per superare gli ostacoli della vita quotidiana, come essere identificati senza l’utilizzo dei documenti, effettuare un pagamento, salire a bordo di aerei e metropolitane o rilevare la stanchezza alla guida, non è più uno scenario da film di fantascienza.

Questi ed altri sono gli ambiti di applicazione permessi dai sistemi di riconoscimento facciale (TRF), una tecnologia di riconoscimento biometrico che consente la verifica univoca dell’identità di un individuo attraverso un’immagine o un filmato che ne ritrae il volto. Lo strumento opera generalmente attraverso tre fasi: individuazione del volto all’interno di immagini o filmati, trasformazione del volto in dati digitali che ne determinano i tratti somatici e infine confronto per verificare il matching tra due volti e fornire un risultato di natura probabilistica. Il riconoscimento facciale può essere impiegato in tempo reale oppure in differita. Nel primo caso, il sistema è in grado di localizzare ed analizzare in diretta le immagini provenienti dalle telecamere, mentre nel secondo è possibile raccogliere e memorizzare i dati che verranno poi analizzati in un momento successivo.

La tecnica di face recognition è in continua diffusione e sta divenendo protagonista di alcuni dei più accesi dibattiti concernenti l’incidenza dell’uso di tali strumenti sui diritti umani. Le TRF sono presenti in numerosi campi di applicazione, sia nel settore pubblico che privato. A creare maggiore scalpore è l’impiego delle TRF in sistemi di sorveglianza biometrica per la prevenzione del crimine ed il mantenimento della sicurezza. Tra le varie applicazioni, quest’ultima può implicare l’utilizzo della tecnologia biometrica al fine di identificare sospettati o persone scomparse, effettuare controlli di frontiera e gestire i flussi di immigrazione. La rapida diffusione della tecnologia di face recognition su larga scala è stata favorita da diversi fattori, quali la sua capacità di rilevare le identità senza necessitare dell’interazione con le persone interessate e in modo poco costoso se comparato ad altre tecnologie di natura biometrica.

Tuttavia, le stesse caratteristiche che hanno reso il riconoscimento facciale così efficace ed allettante hanno generato numerosi dubbi e incertezze relative all’impatto di tale strumento sui cittadini. L’uso diffuso e talvolta affrettato delle tecnologie di riconoscimento facciale può comportare, ad oggi, una serie di rischi per la salvaguardia dei diritti umani.

In primo luogo, le TRF possono interferire con il diritto alla protezione dei dati personali, nonché all’esplicito consenso degli individui di fronte all’impiego di tali strumenti. Si pensi alla Gran Bretagna, dove alcune scuole scozzesi hanno introdotto il riconoscimento facciale come metodo di pagamento per la mensa scolastica. Lo strumento ha la capacità di ridurre significativamente i tempi dedicati al servizio di pagamento, consentendo in soli cinque secondi di confrontare la “firma digitale” acquisita dai tratti del volto dello studente con quella conservata all’interno del server. Nonostante il 97% dei genitori abbia acconsentito all’impiego della TRF nelle nove scuole del North Ayrshire, il sistema è stato temporaneamente sospeso a causa dell’eccessiva intrusività nei confronti del trattamento dei dati dei minori coinvolti.

Differente, ma altrettanto significativa, è l’introduzione di meccanismi di Face Pay all’interno delle metropolitane in Russia, finalizzato ad automatizzare e velocizzare i flussi di ingresso. In questo caso, a mancare è anche l’esplicito consenso dei cittadini al trattamento dei suddetti dati, espressamente sancito dall’art. 24 della Costituzione della Federazione Russa, il quale vieta la raccolta, la conservazione e la diffusione dei dati di una persona senza il suo consenso.

In secondo luogo, sussiste il timore che tale tecnologia, quando impiegata in luoghi pubblici, possa essere utilizzata per secondi fini, quali l’identificazione di protestanti e dissidenti politici o altri metodi di sorveglianza di massa. Infatti, l’uso delle TRF come strumento di sorveglianza, ordine e sicurezza può in alcuni casi pregiudicare il diritto alla libertà di associazione e manifestazione del pensiero. Il riconoscimento facciale impiegato in Real Time nel corso di manifestazioni pubbliche, ad esempio, permette l’acquisizione e l’archiviazione di un significativo numero di volti, anche se non ancora noti alle forze dell’ordine. Questo processo potrebbe scoraggiare i cittadini dal prendere parte a determinati eventi ed esprimere la propria opinione, per evitare che i propri dati sensibili vengano, non volontariamente, inseriti all’interno di database a disposizione delle autorità. A fronte di tali rischi, il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione il 6 ottobre 2021 che chiede di vietare, attraverso un atto normativo, l’uso del riconoscimento facciale negli spazi pubblici.

Infine, nel contesto di sicurezza ed applicazione della legge, ad aggravare il quadro vi è il potenziale rischio delle TRF di generare risultati errati, tra falsi positivi e falsi negativi. È stato infatti appurato che la tecnologia biometrica risulti molto più efficace nell’individuare cittadini di pelle chiara e sesso maschile rispetto a cittadini di pelle scura e/o di sesso femminile, ma anche bambini e categorie LGBT. L’allarme è arrivato dal rapporto del National Institute of Standards and Technology (NIST), che già dal 2019 aveva altresì evidenziato il rischio che pregiudizi e bias cognitivi basati sulla categorizzazione ed omologazione di determinati gruppi, specialmente se afferenti a minoranze, potrebbero favorire l’incremento della discriminazione razziale e di genere, pregiudicando un ulteriore diritto fondamentale dell’uomo. Emblematico è il caso di Nijeer Parks, un trentunenne afroamericano residente nel New Jersey, accusato nel 2019 di numerosi reati quali assalto aggravato, possesso illecito di armi e falsa identità. L’uomo fu sottoposto ad un periodo detentivo a causa di un errore connesso al sistema di riconoscimento facciale, unica prova usata contro di lui. Il caso Parks ha evidenziato l’inadeguatezza del quadro giuridico e normativo nel delineare i limiti e gli obiettivi delle TRF per l’applicazione della legge.

Dall’insieme di queste controversie, nasce la preoccupazione che le ordinarie regolamentazioni statali ed internazionali non riescano a star dietro all’incessante avanzamento di tali tecnologie intelligenti e a costruire un contesto di fiducia, garantendo la tutela del cittadino nei confronti dell’intelligenza artificiale. Ad oggi, la principale normativa europea rimane il Regolamento Generale per la Protezione dei Dati 2016/679 (GDPR). Il suddetto regolamento, in attuazione da maggio 2018, mira a definire i principi e soprattutto i limiti e le responsabilità in materia di trattamento dei dati, tra cui la limitazione della finalità e della conservazione, la minimizzazione dei dati, l’accuratezza e la riservatezza. Nonostante questo strumento contribuisca significativamente a scongiurare una serie di rischi per i cittadini dell’UE, sembra necessaria la configurazione e diffusione di meccanismi di tutela e quadri normativi che garantiscano la proporzionalità, la tracciabilità e la trasparenza del trattamento dei dati personali e biometrici su scala globale.

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Michela Rivellino

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