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Monozukuri e kaizen: in continuo "divenire"

Chiunque abbia studiato, o si sia anche solo interessato all’affascinante storia giapponese, avrà notato la differenza abissale tra due epoche separate da appena un secolo di storia. Il Giappone, come paese starter dell’economia asiatica nella seconda metà del Novecento, sembra lontano millenni da quello feudale e ancora convalescente dall’impatto fortuito con l’Occidente della seconda parte del XIX secolo. Nel mezzo, una nazione che nella transizione tra i due suddetti secoli ha vissuto un profondo cambiamento politico, economico e sociale, passando dall’effimera gloria post Prima guerra mondiale alla disumana sconfitta della Seconda. Nonostante questi accadimenti, in un poco più di un secolo dalla fine del sakoku il Giappone ha avuto la sua “rivincita”: non più oggetto esotico bisognoso delle conoscenze (e delle attenzioni) portate dagli europei, ma leader indiscusso nella più alta tecnologia, nelle scienze e nell’innovazione. Un modello unico, con connotati anche culturali ed economici peculiari che sono stati anche questi oggetto di interesse da parte degli stranieri, ma questa volta per autentica ammirazione.

Il passaggio al nuovo millennio non fu indolore per il Giappone, attraversato in quegli anni da una vasta crisi finanziaria dovuta alla contingenza di diversi fattori. Così come ha fatto per gran parte degli ultimi due secoli, la società giapponese si è rialzata anche dinanzi all’ennesima caduta. Alcune aziende sparirono dal mercato, altre invece risorsero dalle ceneri più forti che mai, dimostrando grande capacità di innovazione e determinazione. Dopo quel periodo di crisi tra anni ’90 e 2000, il Giappone tornò ad essere un grande attore sul palcoscenico mondiale nel campo dei prodotti elettronici, grazie alla ricerca e allo sviluppo di soluzioni tecnologiche (dalle stampanti ai robot, dalla fotografia all'intrattenimento) appartenenti a categorie di prodotti in rapida crescita e accessibili ai consumatori.[1] La pesante crisi finanziaria aveva rallentato, colpito, ma non affondato la locomotiva industriale nipponica, che sin dal secondo dopoguerra aveva maturato esperienza e forza da vendere. Proprio nel 2000 il colosso Honda stupì il mondo col famosissimo ASIMO[2], il robot androide che tutti abbiamo visto almeno una volta in tv, frutto di un lavoro iniziato circa vent’anni prima (quando a farla da padrone anche nell’immaginario occidentale erano gli anime e i manga con protagonisti dei robot).

Un modello di successo quindi, come citato in apertura, anche culturale, orientato alla soddisfazione totale del cliente, puntando alle migliori soluzioni e know-how possibili. A questo proposito si può aprire una parentesi molto stimolante. Una delle tante cose che ha reso il Giappone così affascinante agli occidentali è la capacità di riassumere interi concetti in una singola parola. Sicuramente monozukuri (ものづくり) è tra queste. Il termine ha una connotazione molto ampia rispetto al concetto di “produzione” con cui viene comunemente tradotto, comprendendo anche l’ideazione e la progettazione di un prodotto, oltre alla sua fabbricazione materiale. Ricollegando questi presupposti alla matrice religiosa shintoista (che permea molti aspetti della cultura giapponese) se ne potrebbe dedurre una sorta di filosofia orientata all’attenzione, alla mira negli intenti, al produrre al meglio senza sprecare nulla (fattori che ritroviamo anche nel cosiddetto toyotismo). Un miglioramento continuo e in divenire, riconducibile al kaizen (改善), concetto nato direttamente nell’ambiente industriale per descrivere il principio cardine che doveva supportare la produzione giapponese.[3] Quest’ultima vide il suo apice nel settore dell’elettronica (prima della crisi menzionata) negli anni ’80, quando nel giro di pochi anni il Giappone sorpassò il gigante statunitense al vertice delle aziende produttrici di semiconduttori. [4] Da segnalare che, visto il successo del “modello giapponese”, questi termini/concetti sono entrati a far parte del linguaggio imprenditoriale anche all’estero, Italia compresa.

Più di recente, il successo nel campo dell’innovazione è stato certificato anche dagli indici di settore. Secondo lo studio “Innovation Cities Index” dello scorso anno, è Tokyo l’area metropolitana più innovativa del globo. La classifica che vede la capitale nipponica avanti a tutti è frutto di una ricerca che tiene conto di alcuni fattori quali: diffusione delle start-up, brevetti, livello delle società high-tech, ecc.[5] Tuttavia non mancano studiosi che però lanciano un allarme a proposito delle potenzialità di crescita: il Giappone negli ultimi anni patirebbe una carenza di competitività nell’innovativa, nonostante gli indici di settore favorevoli. In realtà, secondo questo filone, il problema risiederebbe nella maggiore concentrazione sulla parte hardware che non su quella software. Infatti, le potenzialità e gli sforzi dell’industria giapponese sembrano al momento più concentrati nella robotica, nei macchinari e nelle automobili, senza mai perdere comunque di vista i continui progressi nel campo dell’intelligenza artificiale.

Inoltre, il mercato giapponese (specialmente in passato) su taluni prodotti tende ad essere più chiuso rispetto ad altri, nonostante questi possano risultare tecnologicamente molto avanzati. Un fenomeno abbastanza singolare per cui c’è chi ha parlato di “indigenizzazione” tecnologica, cioè compressa nel mercato interno e non diffusa all’esterno. Conosciuto anche come "effetto Galapagos"[6], questo comportamento implica che determinati prodotti restino e siano conosciuti solo in Giappone: l’esempio più famoso sono i gara-kei (ガラケ), cellulari che navigavano in rete molto prima dei successivi smartphone, ma praticamente sconosciuti all’estero[7]. Altri episodi conosciuti riguardano le Kei cars (軽自動車), dei telefoni che erano in grado di effettuare pagamenti ben prima di quelli attuali. Per alcuni esperti l’effetto Galapagos non andrebbe sottovalutato o ritenuto qualcosa di nicchia e, pertanto, trascurabile. Complice l’invecchiamento e la riduzione della popolazione (problemi ampiamente condivisi anche dall’Italia), il rischio è che le future generazioni non abbiano la possibilità o l’interesse di formarsi all’estero, e quindi acquisire una preparazione e mentalità internazionale.[8]

Alla luce di queste giustificate preoccupazioni emerge che la società giapponese è perfettamente consapevole delle proprie capacità nel settore tecnologico e scientifico; quindi, in vista del futuro, tenta di investire i propri sforzi e le proprie risorse puntando molto più sulla qualità che non sulla mera quantità (in controtendenza rispetto alla spropositata economia cinese). L’industria giapponese si inserisce a pieno titolo come terzo incomodo tra le due maggiori economie mondiali: la collaudata Silicon Valley contro la rampante Shenzen, volendo ridurla a questi termini con consapevole enfasi. Si assiste oggi a quella che viene definita la “quarta rivoluzione industriale”, con i tre menzionati concorrenti pronti a ritagliarsi quanto più mercato possibile[9]. Il prossimo anno potrebbe essere estremamente rilevante per il Giappone su questo piano.

I giochi olimpici di Tokyo 2020 saranno infatti un banco di prova importante da questo punto di vista. Il mondo intero punterà gli occhi sulla ben nota efficienza organizzativa giapponese, nonché sui progressi in campo tecnologico. Il confronto con la precedente Olimpiade svoltasi in Giappone risalente al 1964 affascinerà gli appassionati del settore. Tra gli annunci degli organizzatori per l’edizione 2020 ha attirato l’attenzione dei media internazionali quello relativo all’impiego di robot di assistenza, su cui hanno lavorato i due giganti Panasonic e Toyota. Non solo supporti robotici progettati per aiutare spettatori e lavoratori, ma anche per essere d’aiuto agli atleti, in particolare quelli che prenderanno parte alle Paralimpiadi.[10] Le Olimpiadi, ovviamente, rappresenteranno un importante vetrina da questo punto di vista e, secondo le previsioni, porteranno alla creazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro e un giro d’affari di almeno 30 miliardi di dollari.[11]

Sempre entro il 2020, pare che il Giappone voglia proporsi (più di quanto già non lo sia) come una vera “Robot nation”, stando alla Cnn. La celebre emittente ha realizzato un servizio[12] sulle aziende giapponesi più attive su questo tema, diffondendo anche video di robot dalle fattezze umane che suscitano tanta ammirazione quanta perplessità. Nell’immaginario collettivo il Giappone è una Robot nation già da un pezzo, ma rispetto ad alcune applicazioni sul campo, quale l’impiego di robot negli hotel o nell’assistenza quotidiana. Questi esempi reali rendono tale obiettivo molto vicino, almeno secondo il professor Hiroshi Ishiguro, direttore del laboratorio di Intelligenza robotica all’università di Osaka.[13] Un obiettivo che fonda perfettamente kaizen e monozukuri: ideare, concepire e creare per puntare al meglio. E se su questa scia, come nelle più ferventi saghe fantascientifiche, i robot migliorassero a tal punto da sostituirci? In molti settori lavorativi è già accaduto; il progresso verso la Robot nation potrebbe essere un altro "grande passo per l'umanità". Purché non sia più lungo della gamba.     

A cura di Mario Rafaniello

[1] M. USUI, Il Giappone sempre in prima linea con tecnologie hardware all'avanguardia. Epson.it/insights, 22 febbraio 2018.

[2] Per approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/ASIMO

[3] Per approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/Kaizen

[4] http://www.giapponeonline.it/more-elettronica-giappone.cfm

[5] TORTORA F., Le città più hitech del mondo? Tokyo e Londra battono la Silicon Valley, Milano 40esima. Corriere.it, 24 novembre 2018.

[6] Il riferimento si deve ai rettili delle Galapagos scoperti dallo scienziato Charles Darwin, che appunto ne teorizzò una distinta evoluzione rispetto alle specie diffuse sulla terraferma. Un approfondimento si può consultare al link https://en.wikipedia.org/wiki/Gal%C3%A1pagos_syndrome

[7] https://ilmanifesto.it/la-traccia-interna-della-forza-hi-tech-giapponese/

[8] M. OI, Who will look after Japan's elderly? Bbc.com, 16 marzo 2015. L’articolo definisce il problema demografico giapponese con una parola eloquente: timebomb.

[9] T. MAGRINI, La quarta rivoluzione industriale? Sarà guidata dal Giappone. Thenextthech.startupitalia.eu, 19 giugno 2018.

[10] Tokyo 2020, robot aiuteranno i disabili. Ansa.it, 19 marzo 2019.

[11] C. PENCO, Viaggio in Giappone, tra antiche tradizioni e innovazioni hi tech. Businesspeople.it, 2 aprile 2016.

[12] Consultabile al link https://edition.cnn.com/videos/world/2017/06/13/vision-the-future-of-japan-robot-nation-orig.cnn/video/playlists/vision-future-of-japan/

[13] L. GROSSO, Il Giappone vuole diventare una “Robot Nation” entro il 2020. It.businessinsider.com, 13 marzo 2018.


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