Mercenari e miliziani: strumenti di potenza nell'area MENA

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  Michele Magistretti
  23 aprile 2021
  5 minuti, 44 secondi

Secondo varie fonti internazionali la Turchia avrebbe inviato in Libia circa 300 mercenari provenienti dalla Siria. Questi andrebbero ad aggiungersi alle altre cinque o sei migliaia già presenti in loco a sostegno del governo di Tripoli. Ma la Turchia non è l’unico attore esterno ad avere impiegato mercenari nel conflitto libico. Il comandante delle forze della Cirenaica, Khalifa Haftar, può contare sul sostegno di contractor russi e di mercenari ciadiani e sudanesi.

Vediamo, quindi, quali sono le origini ed analizziamo lo sviluppo di questo fenomeno nei vari scenari di conflitto mediorientali.

Le origini del fenomeno

Il ricorso alla forza militare di natura privata o comunque non direttamente riferibile al principale monopolista della forza legittima è un fenomeno che affonda le proprie origini nell’antichità. Una delle opere più famose dello storico greco Senofonte racconta proprio la storia di un gruppo di mercenari greci, i Diecimila, che furono coinvolti in una guerra civile per la successione al trono di Persia. Famosi sono anche i guerrieri vichinghi e Rus' che componevano la Guardia Variaga, unità d’élite dell’esercito bizantino e guardia personale del basileus di Costantinopoli.

Vi sono determinate condizioni in cui fiorisce e si espande la presenza di milizie o l’utilizzo di mercenari. Nel corso della storia, ma è evidente anche nel presente, l’attività mercenaria ha ricevuto un notevole impulso ed ha potuto prosperare nelle situazioni di fragilità, caos o nei periodi di transizione.

Con la fine della Guerra Fredda le compagnie militari private e le milizie sono tornate ad essere soggetti internazionali incisivi, in particolare negli scenari di conflitto ed instabilità politica interna agli Stati. L’utilizzo di questi due attori di natura non statuale è particolarmente rilevante negli scenari di guerra ibrida e nelle recenti guerre per procura che hanno sconvolto il Medio Oriente.

L’utilizzo dei contractor da parte di Mosca e Washington in Medio Oriente

Sono molti gli attori globali e regionali che hanno fatto ricorso a milizie o contractor nei vari scenari bellici regionali degli ultimi anni. È ormai ampiamente noto l’utilizzo che Russia e USA fanno di vere e proprie società private alle quali appaltano vari compiti, che spaziano dall’addestramento di truppe regolari ed irregolari dei propri alleati a vere e proprie operazioni sul campo.

Le motivazioni che hanno spinto grandi potenze come la Russia e gli Stati Uniti a ricorrere anche allo strumento privato nella conduzione o gestione dei conflitti sono di vario genere. L’utilizzo delle PMC (Private Military Company) è dovuto sicuramente a ragioni di natura economica. Ad esempio, l’impiego di un battaglione di fanteria viene a costare circa 110 milioni di dollari ogni anno al governo di Washington, mentre il costo di una corrispettiva unità di contractor non supera il centinaio di milioni. I costi operativi e logistici scendono e consentono di risparmiare. Inoltre, guardando a conflitti di lunga durata, come quello afghano ed iracheno per gli USA ed a quello libico e siriano per la Russia, rileva la volontà di “esternalizzare” le perdite umane. Spesso l’opinione pubblica non è disposta a tollerare un numero eccessivo di caduti del proprio esercito regolare. Questo “escamotage” permette quindi ad entrambe le potenze di continuare ad incidere sul campo con costi relativamente più bassi sia in termini pecuniari che d’immagine. Inoltre, l’utilizzo dei contractor aiuta il contraente a slegarsi più facilmente da eventuali inconvenienti di natura legale connessi al non rispetto di norme del diritto internazionale.

La società privata prediletta dal Cremlino per estendere la propria proiezione internazionale è la Wagner, società di sicurezza privata controllata dall’oligarca Yevgenii Prigozhin. I mercenari della Wagner hanno svolto un ruolo risolutivo nella riconquista di Palmira da parte delle forze governative siriane del presidente Assad. Sono inoltre coinvolti nell’addestramento delle milizie facenti capo al generale Haftar, uomo forte della Cirenaica. Secondo svariate fonti internazionali la loro presenza in Libia ammonterebbe circa a 2000 unità e si occuperebbero, oltre all’addestramento delle milizie del LNA, della fortificazione dei siti strategici e dell’utilizzo dei sistemi anti-aerei Pantsir e dell’aviazione in dotazione all’esercito della Cirenaica.

L’impiego delle milizie negli scenari di instabilità regionale

Anche l’Iran e Turchia fanno ampio utilizzo di attori non statuali per espandere la propria influenza ed aumentare l’instabilità nei vari scenari di tensione regionale.

In Siria, la Turchia ha contribuito a creare e proteggere l’enclave di Idlib, dove da anni ormai sono labili le sfumature tra milizie etniche, jihadiste e bande criminali che fanno capo a vari signori della guerra. Proprio in Siria si è assistito ad una completa feudalizzazione del conflitto. Varie potenze straniere hanno contribuito a fondare e foraggiare milizie di vario genere con la volontà di incidere e guadagnare influenza nel Paese. Ankara ha sostenuto la creazione del Syrian National Army (SNA) un conglomerato di milizie minori che ha utilizzato sia contro l’esercito siriano del presidente Assad sia contro le milizie curde del YPG. La Turchia ha utilizzato come carne da cannone i propri proxies siriani anche in Libia. Nel corso della offensiva del GNA per riconquistare la Tripolitania si stima che abbia trasferito tra le 10 e le 15 mila unità. Inoltre, Ankara ha sostenuto l’Azerbaigian durante il conflitto con l’Armenia inviando più di 2000 mila mercenari.

L’Iran ha da sempre sostenuto l’intervento nel conflitto siriano delle unità paramilitari di Hezbollah. Il partito sciita libanese domina da alcuni anni la politica del proprio Paese facendo leva sul sentimento identitario della propria comunità di riferimento. Inoltre, ha creato un sistema militare parallelo con il quale proietta esso stesso potenza nella vicina Siria e minaccia Israele. Ma l’Iran gode anche di un braccio armato non convenzionale nel confinante Iraq. Teheran sostiene una serie di milizie sciite facenti parte delle Popular Mobilization Forces (PMF), il vice capo delle quali è stato vittima di un raid USA, insieme al famoso generale iraniano Soleimani, nel gennaio 2020. Tra le principali sigle vi sono Kata’ib Hezbollah (KH), Asa'ib Ahl al-Haq (AAH) and Harakat al-Nujaba (HN). L’Iran sostiene da molti anni anche i ribelli Houthi nel conflitto yemenita, proiettando quindi la propria influenza anche sullo stretto di Bab el-Mandeb.

Anche le varie entità curde, nel corso dei vari conflitti che hanno sconvolto la regione, hanno creato le proprie unità paramilitari per proteggere le proprie comunità. In Siria le milizie dell’Unità di Protezione Popolare (YPG) si sono scontrate sia contro la Turchia che contro l’ISIS. In Iraq invece i peshmerga sono le principali unità militari dei due grandi partiti curdo-iracheni, il Partito Democratico del Kurdistan (KDP) ed l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK).

A cura di Michele Magistretti

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Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.nova.news/la-turch...

https://www.cesi-italia.org/ar...

https://www.meforum.org/60288/...

https://www.jpost.com/middle-e...

https://www.analisidifesa.it/2...

https://www.mei.edu/publicatio...

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