Maya Moore: da Star della WNBA a paladina dei diritti umani

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  Redazione
  21 gennaio 2021
  10 minuti, 6 secondi

Maya Moore, la Star

Fino a pochi anni fa, il nome di Maya Moore era immediatamente associato al mondo del Basket USA, e in particolare alla Women’s National Basketball Association (WNBA), nell’ambito della quale si è sempre distinta per i suoi numeri da record.

Fin dagli anni universitari, infatti, la Moore mette in mostra il suo enorme talento, portando alla vittoria per due anni consecutivi la sua squadra universitaria di Uconn, stabilendo, tra l’altro, la più lunga striscia di vittorie consecutive (90) della National Collegiate Athletic Association (NCAA).

Nel 2011, approda, quindi, nella WNBA, scelta al draft con la pick #1 dalle Minnesota Lynx. Nonostante la giovane età, il suo contributo risulta da subito decisivo, aiutando la squadra a vincere il primo titolo nella storia del team.

Nel corso degli anni, poi, il suo palmares si è arricchito costantemente, aggiungendo la vittoria di altri tre campionati WNBA, assicurandosi il titolo di miglior giocatrice della stagione WNBA 2014, due ori olimpici (rispettivamente nel 2012 e nel 2016), due vittorie nei campionati mondiali e diverse vittorie oltreoceano[1].

Eppure, i traguardi di Maya Moore non si limitano esclusivamente al mondo della pallacanestro: la sua vita si intreccia, presto, con quella di un ragazzo molto distante dal quell’ambiente ricco di medaglie e riconoscimenti.

Il caso di Jonathan Irons

Nel 1998, l’Afro-americano Jonathan Irons, appena maggiorenne, veniva accusato e poi condannato alla pena di 50 anni di carcere per il reato di furto in abitazione, aggravato da aggressione a mano armata.

Secondo l’accusa, Irons si sarebbe introdotto all’interno di un’abitazione, sita a O’Fallon, un sobborgo di Saint Louis e, dopo essere stato sorpreso dal proprietario, avrebbe esploso colpi di arma da fuoco, ferendo il padrone di casa e dandosi, poi, alla fuga.

Gli elementi probatori introdotti dalla pubblica accusa consistevano esclusivamente nella identificazione da parte del proprietario di casa, che, sopravvissuto alla sparatoria, inizialmente non era stato in grado di identificare nessuno tra i cinque sospettati forniti dalla Polizia.

A seguito, presumibilmente, di alcune sollecitazioni, il padrone di casa indicava la foto di Irons, peraltro raffigurata in dimensioni più grandi rispetto a quelle degli altri soggetti[2].

Un ulteriore elemento di prova fornito era una dichiarazione resa da un detective che faceva espresso riferimento a un interrogatorio in cui lo stesso Irons avrebbe ammesso, senza l’assistenza di alcun difensore, di essersi introdotto in quell’abitazione, ma di non ricordare nient’altro in quanto si trovava in stato di ubriachezza.

In realtà, però, non venne fornita alcuna prova documentale del predetto interrogatorio, così come nessun elemento relativo alle impronte digitali o a dichiarazioni di eventuali testimoni che lo avessero visto sul posto.

La prova venne confutata da parte dell’imputato, che negò di aver mai rilasciato dichiarazioni di tal sorta, affermando di essersi recato quel giorno a O’Fallon armato, in quanto doveva concludere una vendita di marijuana con dei conoscenti.

Tuttavia, l’arma che Irons possedeva era differente rispetto a quella utilizzata durante la sparatoria; Irons si è sempre dichiarato innocente, seppur ammettendo gli errori commessi in gioventù.

Peraltro, al tempo della presunta commissione del fatto, Irons era minore d’età, ma tale circostanza non venne minimamente presa in considerazione nell’ambito del procedimento instaurato a suo carico, laddove allo stesso vennero applicate le norme procedurali relative agli imputati maggiorenni.

Pertanto, a seguito di un procedimento di brevissima durata, una giuria composta da soli bianchi dichiarò Irons colpevole, condannandolo a rimanere in carcere fino al 2048, con l’impossibilità di usufruire del beneficio della libertà condizionale fino al raggiungimento dell’età di 60 anni[3].

Maya Moore, l’attivista

Maya Moore si è sempre dichiarata fortemente contraria a qualsiasi forma di discriminazione razziale, ben conscia dei considerevoli fenomeni di razzismo radicati negli Stati Uniti, facendosi più volte portavoce sul campo delle campagne indette dal movimento Black Lives Matter e fondando l’associazione “Win With Justice[4],coinvolta in diverse campagne sul piano nazionale.

Per tali ragioni, nel febbraio 2019 la pluri-campionessa del basket decise di prendersi un periodo di pausa dal mondo dello sport, per dedicarsi totalmente a una partita più importante da giocare: far emergere la verità sul caso Irons, per garantire allo stesso un giusto processo e, quindi, scagionarlo.

Maya Moore aveva già incontrato Irons nel 2007, quando la stessa, appena maggiorenne, aveva deciso di fare una visita al penitenziario di Jefferson City, per toccare con mano l’altra metà del mondo, quella dei dimenticati.

Da subito, si mostra interessata al caso Irons e, sfruttando la sua fama, riesce a raggiungere clamore mediatico e focalizzare l’attenzione sull’ennesimo episodio di ingiustizia; dapprima, dichiarando pubblicamente di abbandonare il basket per dedicarsi a questa causa.

In seguito, grazie alle proprie risorse e al duro lavoro, garantisce ad Irons un’adeguata difesa, guidata dal celebre Avvocato Kent Gipson, che riuscirà a far riaprire il caso e a fornire la prova fondamentale ai fini dell’assoluzione: dopo anni di rinvii e omissioni sui risultati dell’esame del DNA (raccolti durante il primo processo, ma mai divulgati), finalmente si è accertato che le impronte digitali presenti sulla porta dell’abitazione non erano di Irons, né del proprietario di casa, ciò comportando, pertanto, che fosse coinvolto un terzo soggetto.

A seguito dell’introduzione di tale elemento probatorio, il Giudice di Jefferson City dispone l’annullamento della precedente sentenza di condanna, ordinando l’immediata scarcerazione di Jonathan Irons, che nel Luglio 2020 lascia il carcere di massima sicurezza di Jefferson City, a distanza di 4 mesi dalla sentenza e dopo 22 anni di carcerazione[5].

Uno sguardo al sistema processual-penalistico negli Stati Uniti d’America

Alla luce degli ultimi eventi, il sistema legale statunitense è, oggi, posto sotto i riflettori, anche a causa delle frequenti proteste concernenti gli i diffusi casi di discriminazione razziale.

In generale, il processo penale negli Stati Uniti mira ad assicurare alla giustizia l’imputato/a, anche a discapito delle libertà fondamentali e dei principi democratici ispiranti la materia.

Si tende, infatti, ad abusare delle misure cautelari di tipo detentivo, poco incentrate sul principio della riabilitazione e del trattamento del/della detenuto/a, anche in presenza di patologie psichiatriche o situazioni di dipendenza (da alcol, droga, farmaci, ecc.).

Il protagonista del processo non è più l’imputato/a, bensì il Procuratore (c.d. Prosecutor), ovvero la Pubblica Accusa, interessata ad ottenere sentenze di condanna da aggiungere alla propria lista di “vittorie”.

La disparità maggiore si riscontra nei casi di minore gravità concernenti i reati di droga, laddove a essere coinvolte maggiormente sono le persone afro-americane, solitamente molto giovani, che vengono giudicate come adulte nelle ipotesi più gravi, in mancanza di una normativa differenziata per i minori[6].

Si consideri, poi, che il sistema basato sulla libertà dietro pagamento di cauzione (c.d. “bail system”) mira a mantenere in carcere soprattutto gli esponenti dei ceti sociali più poveri, che non dispongono dei mezzi sufficienti per poter pagare la cauzione.

In realtà, il panorama non sembra essere così scoraggiante: si assiste, infatti, recentemente ad una ondata di cambiamento proveniente specialmente dagli ambienti della Procura, dapprima foriera di un metodo basato sulla logica del “win at all costs”.

Ora si predilige maggiormente un approccio improntato alla giustizia e alla correttezza, comportando nei fatti una riduzione della popolazione carceraria, che in America detiene i record più tristi.

Si pensi, infatti, che, attualmente, nel mondo 1 detenuto/a su 15 si trova negli Stati Uniti e di questi/e, 1 su 15 è afro-americano/a[7].

In particolare, poi, la maggior parte della popolazione carceraria negli Stati Uniti è composta da persone povere e poco istruite; evidentemente, tale situazione è lo specchio delle problematiche socio-culturali statunitensi, dense di pregiudizi e stereotipi a sfondo razziale, incorporati nelle richieste di condanna e nelle conseguenti sentenze particolarmente severe.

In realtà, a fronte della convinzione dei Giudici circa gli effetti deterrenti delle condanne, il tasso di criminalità in America non appare essere concorde, mantenendosi pressoché costante; tutto ciò, invece, è la causa principale del sovraffollamento carcerario, che comporta inevitabilmente un peggioramento delle condizioni di salute dei detenuti, con il pericolo, peraltro, di sfociare in frequenti episodi di violenza.

Oltretutto, una volta scontata la propria pena, solitamente tali soggetti fanno ritorno alle proprie comunità, riscontrando non pochi problemi di reinserimento sociale e rendendosi, quindi, spesso autori di nuovi crimini.

L’impegno degli atleti nella lotta alle discriminazioni razziali

Recentemente, diversi esponenti dello sport si sono impegnati in prima linea nella battaglia contro le ingiustizie sociali in America.

In realtà, la dedizione delle atlete donne raramente riesce a raggiungere la medesima risonanza ottenuta, invece, dalla voce degli uomini (si pensi a Lebron James o a Colin Kaepernick[8]).

La ragione, probabilmente, è da ricercarsi nella diversa attenzione dedicata agli sport femminili, che spesso non vengono nemmeno trasmessi sui canali TV[9].

Maya Moore stessa, dopo le prime dichiarazioni a favore di Irons e dopo aver pubblicamente annunciato di aver abbandonato il basket all’apice della propria carriera per dedicarsi alle battaglie per la giustizia, venne pressoché ignorata[10].

In foto, Maya Moore e Jonathan Irons, convolati a nozze lo scorso anno (Fonte: SBNATION.com, https://www.sbnation.com/wnba/2020/9/16/21439514/maya-moore-married-jonathan-irons-wnba)

Le seguenti fonti sono liberamente consultabili:

Morales C., Streeter K, “Maya Moore, W.N.B.A. Star, Marries Man She Helped Free From Prison”, in TheNewYorkTimes.com, 16 settembre 2020;

National Research Council. 2014, “The Growth of Incarceration in the United States: Exploring Causes and Consequences.”, Washington, DC: The National Academies;

Rossi A., “Maya Moore, vincere per la libertà”, in LaGazzettaDelloSport.it, 2 luglio 2020;

Sevens Legal APC,Adult Crime and Juvenile Crime System Differences”;

Streeter K, “Jonathan Irons, Helped by W.N.B.A. Star Maya Moore, Freed From Prison”, in TheNewYorkTimes.com, 1 luglio 2020;

Streeter K., “W.N.B.A. Star’s Role in Freeing Man From Prison Shows Female Athletes at Forefront”, in TheNewYorkTimes.com, 2 luglio 2020;

USA TODAY SPORTS, “Op-ed: WNBA star Maya Moore pushing for change to criminal justice system”.

A cura di Simona Castanets 

https://winwithjustice.org/;

https://www.sbnation.com/wnba/2020/9/16/21439514/maya-moore-married-jonathan-irons-wnba;

https://unsplash.com/s/photos/racial-discrimination;

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