A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS
La prima plastica artificiale fu creata da Alexander Parkes che la esibì alla Grande Esposizione Internazionale del 1862 a Londra. Il materiale, chiamato Parkesine, era un composto di carbonio tratto chimicamente dalla cellulosa naturale il quale, riscaldato ad una elevata temperatura poteva essere plasmato per poi mantenere la forma voluta alla fine del processo di raffreddamento.
Da allora, nei laboratori chimici sono nate migliaia di plastiche per gli usi più impensabili.
Da quel tempo remoto, il nostro mondo ha incominciato a produrre plastica fino a raggiungere le enormi quantità attuali, rendendo la Terra sempre più inquinata e invasa da questo materiale fino a diventare una delle maggiori emergenze ecologiche di portata mondiale.
E’ una problematica che fa il paio con l'uso eccessivo e la sotto- regolamentazione ubiquitaria delle sostanze chimiche sintetiche del mondo moderno. E’ una severa criticità verso la quale la coscienza e la sensibilità dei governanti e delle persone lascia ancora molto da desiderare, dando spazio ad una colpevole e diffusa irresponsabilità e indifferenza.
La composizione
La plastica ha una composizione che la rende particolarmente inerte. Infatti, è chimicamente costituita da una semplice e ripetuta catena di idrocarburi legati tenacemente tra loro.
Uno dei motivi principali per cui le "materie plastiche", come quelle che conosciamo ampiamente, sono rese più venefiche, deriva dalla presenza di additivi chimici aggiunti ad esse nella fase industriale di produzione prima che attraversino la catena commerciale e raggiungano il consumatore.
Si tratta di elementi e gruppi chimici capaci di ridurre la infiammabilità del prodotto e aumentarne sia la durata nel tempo che il mantenimento della flessibilità fisica.
Nell’ambito della valutazione chimico-fisica, tali additivi possono arrivare a costituire oltre la metà del peso dell’intero prodotto destinato al consumatore.
Ma non si tratta solo di plastica.
Le plastiche vengono impiegate pressoché in tutti i campi lavorativi: elettronica (anche miniaturizzata), abbigliamento, pentole, macchine industriali, imballaggi alimentari, veicoli di tutti i tipi, prodotti per la pulizia, mobili, trucco estetico, giocattoli per bambini e quant’altri.
Una famosa industria, ne ha fatto addirittura una slogan di dubbia forma e gusto che simboleggia quanto sia scarsa la sensibilità e non per ultimo il savoir faire in campo commerciale e sociale: "Vivere meglio attraverso la chimica".
A lato delle miriadi di sostanze plastiche, che indubbiamente sotto alcuni aspetti, hanno dato un meritato contributo alla qualità della nostra vita quotidiana, l’ulteriore aspetto non curato del problema è rappresentato dall’elevato costo ambientale secondario alla mancanza di piani preventivi legati all’impatto ecologico che questi prodotti riversano sull’ambiente.
Attualmente esistono migliaia di plastiche varie, ordinariamente distinte in categorie, tra le quali i più importanti sono i plastificanti (ftalati), sostanze per- e poli-fluoroalchiliche), stabilizzatori UV, ritardanti di fiamma e così via.
Insomma, oggi le plastiche fanno parte della nostra vita quotidiana ma, nonostante ciò, non sono né controllate per gli eventuali effetti sulla salute né tanto meno regolate sul loro utilizzo nella stessa misura in cui lo sono le vivande che esse contengono o con le quali permangono comunque a contatto anche per lunghi periodi di tempo.
Negli Stati Uniti , lo stato occidentale più progredito in questo tipo di legislazione, la severissima Food and Drug Administration (FDA) ha regolato attentamente tutti i prodotti contenenti plastica, specie se sperimentati e approvati per poter essere iniettati all’interno dell’organismo umano.
E’ indicativo l’esempio dei vaccini mRNA-COVID progettati e distribuiti durante la pandemia, che tra i tanti requisiti obbligatori, richiedono una comprovata dimostrazione di sicurezza prima di poter essere rilasciati per la somministrazione di massa, per via sottocutanea o intramuscolare.
Negli Stati Uniti tale approccio sanitario è noto come “Precautionary Principle”, ovvero principio di precauzione.
Fa specie e sensazione che la stessa dimostrazione di sicurezza non è richiesta, invece, per i composti che rivestono le pentole, contengono il nostro cibo e coprono i nostri corpi.
La FDA non ha giurisdizione sulle sostanze chimiche che non sono destinate ad uso terapeutico. Le stesse aziende produttrici non rispettano appieno tutti i requisiti che tali prodotti dovrebbero avere.
Plastica ovunque…
Mentre questi esempi possono sembrare disparati, una situazione analoga sta attualmente verificandosi con le microplastiche ormai presenti anche nell’aria che respiriamo, negli alimentari della nostra dieta e nell’acqua che beviamo e utilizziamo per cucinare.
Gli effetti sulla salute di questi composti chimici di solito non sono tuttora sufficientemente conosciuti, o per la mancanza di sperimentazione sui rischi per la salute oppure – absit iniuria verbis – perché magari sono sì ben noti ma proditoriamente celati dai produttori.
Il risultato è che le plastiche di dimensioni microscopiche sono già all'interno del nostro organismo, per di più a nostra totale insaputa.
Esse sono state riscontrate anche negli Iceberg migranti dal polo Nord!
Autorevoli studi scientifici dimostrano che, nei paesi ad alto reddito, gli ftalati possono trovarsi nel sangue, nelle urine e nel sudore della maggior parte delle persone, laddove c’è maggiore consumo di generi merceologici.
Questi stessi composti hanno la proprietà di alterare alcune funzioni ormonali legati, ad esempio ad alcune forme di sterilità individuale e di coppia.
Pertanto, le aziende che producono gli ftalati attualmente non stanno facendo alcunché di illegale incorporando alti livelli di ftalati nei loro prodotti plastici. Non solo, esse non sono tenute neanche in forza di Legge a verificare in profondità quali sostanze chimiche siano presenti e se queste siano dannose anche per l’ambiente oppure no.
Gli PFAS
Questa storia dei PFAS è più o meno analoga alla precedente.
Con l’ausilio di uno slogan grandemente efficace sui consumatori questi sono definiti come i "composti per sempre", stando a significare la loro integrità nel tempo.
I PFAS sono composti nati negli anni ’50, diffusi dappertutto e utilizzati per rendere resistenti i prodotti alle sostanze grasse e all'acqua, i tessuti, la carta, i contenitori degli alimenti. Sono utilizzati anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa e tanto altro ancora.
Oggi è piuttosto noto che le loro proprietà e caratteristiche chimiche danneggiano l’ambiente. A causa della loro lunga persistenza nel territorio sono stati fatalmente riscontrati in concentrazioni significative negli ecosistemi biologici e negli organismi viventi. Sono altrimenti noti come Perfluororati
La famiglia dei PFAS enumera circa 9.000 singole e distinte molecole.
Sono tra i composti organici più stabili riscontrabili sulla Terra a causa della forza di alcuni legami chimici disposti tra il carbonio e il cloro che li rende stabili anche per millenni.
Solamente due di essi, prodotti in serie, l'acido perfuoroottano (PFOA) e l'acido perfluoroottano solfonico (PFOS), sono stati posti in relazione con la genesi di alcune neoplasie e sono stati successivamente formalizzati come dannosi presso la Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti.
Che cosa si può fare?
I PFAS selezionati sono attentamente regolamentati o addirittura vietati nella maggior parte delle nazioni occidentali. Tuttavia, il più vasto complesso dei PFAS resta diffusamente deregolato.
Quello che accade e che in caso di sospensione dal commercio di un prodotto di plastica, le aziende produttrici ne sintetizzano uno analogo per composizione e forma che, fatte le opportune verifiche, risulta magari altrettanto se non più venefico del composto che ha sostituito.
Per più di un secolo, gli scienziati hanno trovato plastica e altri materiali sintetici in luoghi dei quali non fanno parte.
Il provvedimento ideale
Appare quello assunto dallo stato del Maine (USA) che ha vietato tutti i prodotti contenenti PFAS da esaurirsi totalmente entro il 2030.
È un modello fin troppo comune che quando piante, animali o esseri umani si ammalano di inquinamento chimico, gli scienziati trascorrono mesi o anni cercando di chiarire le specifiche di base della sostanza chimica che causa o avrebbe causato il danno, anche quando c'è una fonte puntualmente conosciuta.
Ma, c’è di peggio, i produttori non hanno la necessità di rivelare quali sostanze chimiche sono presenti nei loro prodotti e in quali percentuali di concentrazione. Ancora più preoccupante è il fatto che alcuni produttori non sanno nemmeno che i composti PFAS sono presenti nel loro prodotto finale.
Ciò significa che, a differenza delle materie plastiche, è quasi impossibile per le persone scegliere di stare a contatto di queste sostanze chimiche e sostenere che le aziende chimiche sono spesso irresponsabili relativamente agli aspetti salutistici.
Esiste un progetto collaudato su come navigare in questo pantano ricco di fattori tossici.
Esiste un ampio elenco di sostanze chimiche sintetiche, tra cui DDT, PCB, TEL e CFC, che da allora sono state vietate o pesantemente regolamentate a causa dei loro noti danni all'ambiente e alla salute umana.
Le materie plastiche sono nel bel mezzo della loro resa dei conti globale e si spera che il risultato sarà un mondo con meno inquinamento da plastica nei prossimi decenni. Come per il flagello dell'inquinamento da plastica, il primo passo nei cambiamenti deve riguardare la politica la quale deve rapidamente crescere nel comportamento, nella consapevolezza e non ultimo nell’azione.
Redazione