La Cina è fermamente convinta della sua “tollerenza zero” al Covid-19 e non teme lo scontro con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).
E’ da inizio maggio che la leadership del Partito Comunista ribadisce la piena validità delle sue dure misure anti-Covid. L’ultima ondata di contagi è ritenuta peggiore della crisi iniziale di Wuhan di inizio 2020, a causa dell’alta trasmettibilità della variante Omicron. A Shanghai – cuore finanziario del Paese – ventisei milioni di abitanti sono in totale lockdown da oltre un mese, vittime della gestione dell’emergenza. A testimoniarlo sono diversi video e immagini di denuncia diffusi sul web, tra la violenza della polizia nelle strade e le urla dai balconi dei cittadini che mostrano i loro frigoriferi vuoti: uscire di casa è tassativamente vietato e non si può nemmeno fare la spesa.
L’OMS si è espressa contraria alla politica estrema della Cina. Il direttore generale Tedros Ghebreyesus ha dichiarato che “è molto importante passare a una strategia diversa”, insistendo che “non è sostenibile, considerate le nostre conoscenze del coronavirus e quello che possiamo prevedere per il futuro”. Pechino ha definito le affermazioni “irresponsabili” e ha invitato il direttore generale ad astenersi dal criticare le misure di contenimento. L’azione della Cina contro il Covid-19, a quanto sostenuto dal ministro degli esteri Zhao Lijian “si evolve in base alla situazione e tiene conto dei ritmi e dei cambiamenti”. Gli scienziati cinesi la difendono, dichiarando che “il rischio è di 1,6 milioni di morti”. Si differenzia chiaramente dalle politiche di altri paesi che si affidano alla speranza dell’immunità di gregge, avendo deciso di slegarsi dalle vecchie restrizioni – addirittura ponendo fine all’obbligo dell’uso delle mascherine.
A Pechino i cinesi stanno protestando per scongelare i blocchi draconiani, nonostante le misure adottate facciano presagire scenari peggiori: la censura si è affrettata a imbavagliare il dibattito online appena sorto sui giudizi di Ghebreyesus e degli altri stati in seno all’OMS. Gli hashtag #tedros e #OMS sono immediatamente scomparsi sul social network cinese Weibo, mentre è stata bloccata su WeChat la possibilità di condividere il comunicato ufficiale dell’OMS.
Alla linea intransigente hanno risposto gli Stati Uniti, mirando alla questione più delicata per la Cina. Il 13 maggio Biden ha firmato un decreto bipartisan volto a sviluppare una strategia al fine di far riottenere a Taiwan lo status di membro osservatore all’OMS. Il presidente americano ha definito Taipei “un importante modello alla salute mondiale: nel 2022, dopo aver contenuto con successo la diffusione del nuovo coronavirus all’interno dei suoi confini pur mantenendo i principi democratici, ha generosamente donato milioni di dispositivi di protezione individuale e test Covid-19 ai paesi bisognosi”. Taiwan è stato membro osservatore dal 2009 al 2016, quando è stata estromessa a causa delle pressioni di Pechino contro l’elezione della presidente filostatunitense Tsai Ing-wen. L’isola è da qualche mese – più o meno da quando è scoppiata la guerra in Ucraina – soggetta alla posizione aggressiva di Pechino. La questione si discuterà il 22 maggio alla sessione ordinaria dell’OMS, ma c’è stata comunque una risposta chiara dal ministero degli esteri cinese. Zhao Lijian in una conferenza stampa ordinaria ha dichiarato il decreto americano un “ingerenza brutale negli affari interni del Paese”, poiché violerebbe il principio di “Una sola Cina”.
E’ un clima diplomatico diverso da quello di pochi anni fa. All’Oms – come in altre agenzie delle Nazioni Unite – dagli anni Novanta circa, i paesi occidentali hanno facilmente imposto la loro visione orientata verso le libertà e il benessere, ma adesso sono emersi nuovi attori che non hanno più paura di difendere le loro misure autoritarie e i loro interessi politici.
FONTI:
https://www.rainews.it/amp/art...
https://italian.cri.cn/notizie...
Michele Bodei
Michele Bodei sta per conseguire la laurea triennale in Studi Internazionali e Istituzioni Europee presso l’Università degli Studi di Milano, dove sta approfondendo gli studi sul regime di Cuba negli anni Sessanta nella preparazione dell’elaborato finale.
È appassionato di geopolitica e di musica, dall’hip hop al jazz, e pratica nuoto nel tempo libero.
In Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore su tematiche europee.
Michele Bodei is getting his Bachelor’s degree in International Studies and European Istitutions at “Univesità degli Studi di Milano”, where he is deepening his studying on cuban regime during the Sixties while preparing his final thesis.
He loves geopolitics and music, from hip hop to jazz, and during free times he enjoys swimming.
In Mondo Internazionale he is author for european themes.