Le rivolte in Sudafrica: lo specchio di una società frammentata

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  Giulio Ciofini
  27 luglio 2021
  4 minuti, 23 secondi

Il 7 luglio, dopo essersi consegnato spontaneamente alla polizia in seguito alla condanna dello scorso 29 giugno a 15 mesi di prigione, l'ex-presidente sudafricano Jacob Zuma è stato arrestato. Da allora, nel Paese si è innescata la più grave ondata di insurrezioni, saccheggi e violenze dalla fine dell’apartheid. La gravità degli scontri ha costretto il governo presieduto da Cyril Ramaphosa a schierare l’esercito negli epicentri di questi episodi, vale a dire nella regione del Gauteng, dove si trovano sia la capitale politica Pretoria che la capitale economica Johannesburg e nel KwaZulu-Natal, la provincia d’origine dell’ex-presidente Zuma. Un dispiegamento di forze senza precedenti, con circa 25,000 soldati delle forze di difesa impiegati nelle suddette regioni.

Il bilancio di ben 11 giorni di sommosse è particolarmente alto: più di 2500 arresti nelle due province, 212 morti a causa delle violenze, ed un ammontare di dollari di danni a infrastrutture e imprese che superano ampiamente i miliardi di dollari. La situazione sembra aver raggiunto finalmente una momentanea calma. Tuttavia, il colpo subito dalla regione d'origine di Zuma è stato particolarmente severo, dato che sono state prese di mira una moltitudine d’infrastrutture chiave per l'economia della provincia. La ripresa nel KwaZulu-Natal, infatti, dopo più di 10 giorni di duri scontri, si profila complessa e si stima che per ritornare ai livelli precedenti le rivolte ci vorrà ben più di un anno.

Dopo le dimissioni, avvenute il 14 febbraio del 2017, i capi d’accusa che circondavano l’ex-presidente Zuma erano più di 18 e riguardavano corruzione, frode, crimine organizzato e riciclaggio; una tragica testimonianza di quello che, a tutti gli effetti, è divenuto uno dei casi più emblematici e radicati di state capture della storia recente. L’eredità lasciata dai 9 anni di presidenza Zuma è stata quella di un paese che, a poco più di 25 anni dalla fine dell’apartheid, si presenta socialmente profondamente frammentato e con un'economia in grave recessione. Tutto ciò si articola all’interno di uno scenario politico dominato ancora dall'African National Congress (ANC), il partito simbolo della fine della segregazione razziale, nonostante adesso sia fortemente indebolito sia dall'opposizione interna che dalla già citata precaria situazione economica.

Il violento fermento sociale innescato dall’arresto di Zuma, cominciato il 9 luglio scorso, è pertanto la cartina tornasole della critica situazione socio-economica che caratterizza ancora oggi il Sudafrica. Questa situazione si è ulteriormente aggravata nell’ultimo anno e mezzo di pandemia: il "paese arcobaleno" si trova difatti alle porte una terza ondata di contagi. Inoltre, gli scontri di questi giorni hanno costretto il governo ad interrompere la somministrazione dei vaccini in alcune città importanti come Durban e rischiano di minare, o perlomeno rallentare, anche la già complessa campagna vaccinale.

Il COVID-19 ha sferrato un colpo particolarmente duro alla società civile e all’economia nazionale (già nel 2019 si trovava in recessione con un tasso di crescita dello 0.15%): nel 2020, il Sudafrica ha subito una contrazione di circa il 7%, il più grande calo registrato dal 1920. L’indebitamento è in crescita e le tre più importanti agenzie di rating hanno declassato il Paese ai preoccupanti livelli di junk status o sub-investment grade. Questa situazione rende ancor più precaria la posizione del governo per ciò che concerne la richiesta di prestiti; uno dei quali, del valore di 4 miliardi di dollari, è arrivato proprio ad aprile 2020 dal Fondo Monetario Internazionale. La cifra purtroppo è servita soltanto a coprire una parte dei danni causati dalla pandemia.

Inoltre, il governo di Ramaphosa non è riuscito a rispondere efficacemente alle decennali problematiche sociali, diventate sempre più pressanti sotto il precedente governo di Zuma. La disoccupazione ha raggiunto numeri record, superando il 30%, più della metà della popolazione al momento è stata dichiarata al di sotto della soglia di povertà e nel 2020 il potere d’acquisto è diminuito in modo deciso a fronte di un aumento cospicuo dei prezzi (circa il 17% tra 2019 e 2020), dovuto anche e soprattutto alla svalutazione del Rand. Allo stesso tempo, i numeri confermano ancora una profonda diseguaglianza sociale, in particolare per quanto riguarda le differenze tra le popolazioni colored, nera e bianca, a sfavore sempre delle prime due.

Cyril Ramaphosa si trova quindi di fronte ad una situazione particolarmente complessa. Nonostante la condanna e l’arresto di Jacob Zuma costituiscano un successo importante per il leader dell'ANC, visto che la trasparenza e la corruzione furono fin dal 2017 una priorità per suo governo, la situazione economica e sociale resta ancora estremamente precaria. A testimonianza di ciò, vi sono state proprio le violenze, ma soprattutto i saccheggi di supermercati e negozi, di queste ultime settimane.

Nonostante sia difficile fornire un'analisi concreta della natura di queste proteste, fomentate da movimenti a supporto dell’ex-presidente - come la Radical Economic Transformation (RET), la frangia d'opposizione dell’ANC -, i saccheggi avvenuti hanno mostrato soprattutto la debolezza di una grande fetta della società sudafricana. Seppur alcuni analisti stimino una ripresa durante il terzo quadrimestre del 2021, sembra molto difficile pensare ad una crescita prolungata senza l’avvio di riforme economiche e sociali di un certo peso.

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L'Autore

Giulio Ciofini

Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università di Bologna
Master ISPI in International Cooperation

Autore, Framing The World, Mondo Internazionale

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Sudafrica