L’aggravante del “metodo mafioso”, ex art. 7 d.l. n. 152/1991

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  Redazione
  13 aprile 2021
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Sommario: 1. Finalità della norma; 2. La disciplina; 3: La prassi giurisprudenziale in materia.

1. Finalità della norma

    L’art. 7, d.l. n. 152/1991 disciplina la circostanza aggravante del c.d. metodo mafioso, codificata, in seguito, dall’art. 416bis.1, introdotto nel nostro Codice Penale dal D.Lgs. n. 21 del 2018.

    La ratio della normativa è quella di assicurare una repressione efficace e adeguata al fenomeno mafioso, specialmente in quei contesti territoriali in cui quest’ultimo appare maggiormente radicato e, quindi, insidioso; è evidente, pertanto, che la riforma del 2018 sia finalizzata a “isolare” e ostacolare l’operato delle associazioni mafiose.

    In particolare, attraverso la previsione di cui all’art. 416bis.1 c.p., viene punita anche la condotta di emulazione del metodo mafioso, non sostenuta, quindi, dall’esistenza effettiva di alcuna associazione, ma parimenti sintomatica del consolidamento e della pervasività, in alcuni contesti, della forza intimidatrice delle consorterie criminali.

    2. La disciplina

      L’aggravante oggetto della presente analisi comporta, ai sensi dell’art. 416bis.1 c.p., un aumento di pena da un terzo alla metà nei casi in cui, “per i delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo”.

      In particolare, quindi, la norma prevede due distinte ipotesi di commissione della condotta: da un lato, l’utilizzo del metodo mafioso e, dall’altro, l’agevolazione mafiosa.

      Trattasi, evidentemente, di una circostanza aggravante a effetto speciale: che comporta cioè un aumento di pena di oltre un terzo, e impone il divieto di prevalenza o equivalenza con le eventuali circostanze attenuanti ritenute concorrenti.

      Giova, sul punto, fornire una definizione degli elementi rilevanti ai fini della configurabilità dell’associazione mafiosa, per come previsti e disciplinati dall’art. 416bis c.p., il quale prevede, infatti, che l’associazione sia di tipo mafioso quando “coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

      3. La prassi giurisprudenziale in materia

        In materia di configurabilità della circostanza aggravante de quo, la Suprema Corte di Cassazione è stata spesso chiamata a definire l’ambito di applicabilità della disciplina prevista, nonché la natura oggettiva o soggettiva dell’aggravante.

        In particolare, con la recente sentenza della Quinta Sezione Penale, n. 32533 del 2020[1], gli Ermellini hanno chiarito che l'aggravante dell'utilizzo del metodo mafioso (la prima delle due ipotesi previste dall’art. 416bis.1, c.p.) se, da un lato, non presuppone necessariamente la sussistenza di un'associazione mafiosa, richiede però, ai fini dell’applicabilità, il ricorso, da parte del soggetto agente, a modalità che evochino la forza intimidatrice tipica dell'agire mafioso e, pertanto, anche da parte di soggetti estranei al consorzio criminale.

        La condotta penalmente rilevante, quindi, è quella che presenti una caratteristica tipicamente mafiosa, “e cioè che l'agente ponga in essere […] un comportamento minaccioso tale da richiamare alla mente ed alla sensibilità del soggetto passivo quello comunemente ritenuto proprio di chi appartenga ad un sodalizio del genere anzidetto”.

        Ciò che rileva, pertanto, è lo stato di soggezione ingenerato nella vittima, corroborato dal timore di subire gravi ritorsioni, di talché la carica intimidatoria dell’azione prescinde dalla reale appartenenza dei soggetti a un’associazione di tipo mafioso: in altri termini, l’aggravante in esame è configurabile qualora la vittima abbia la reale percezione che, per il contesto in cui si sono svolti i fatti e per l’effettiva intimidazione operata dai rei, questi ultimi facciano parte di un’associazione mafiosa (perché, sinteticamente, i soggetti si comportano come tali e fanno allusioni, anche indirette e implicite, all’associazione).

        Dunque, sebbene non si richieda che l’agente faccia parte di un’associazione mafiosa, è necessario tuttavia che la stessa venga percepita dalla vittima come esistente, nelle forme e nei modi previsti dall’art. 416bis c.p.

        In particolare, la modalità intimidatrice deve essere eziologicamente connessa alla commissione del reato, in modo da renderla più agevole ed efficace, secondo quanto precisato dalla sentenza emessa dalle Sezioni Unite del Supremo Collegio, n. 36315 del 2019[2].

        Quanto, poi, alla natura oggettiva o soggettiva dell’aggravante, nella medesima sentenza, la Suprema Corte ha chiarito che la circostanza aggravante dell’utilizzo del metodo mafioso presenta natura oggettiva, da collegarsi, cioè, alle concrete modalità di commissione del reato (e non alle caratteristiche soggettive dell’agente o alla direzione della di lui volontà) e, pertanto, estensibile ai concorrenti nel reato ex art. 110 c.p.

        Più controversa è, invece, la natura dell’aggravante nella seconda ipotesi dell’art. 416bis.1 c.p., ovvero l’agevolazione delle attività dell’associazione, che ha visto, invece, la Suprema Corte concludere diversamente: nella sentenza a Sezioni Unite n. 8545 del 2020[3], la Suprema Corte, infatti, sciogliendo un ormai noto contrasto giurisprudenziale intervenuto in materia, precisa che l’aggravante ha natura soggettiva ed è caratterizzata dal dolo intenzionale.

        Ciò, in realtà, a parere degli Ermellini, si evince direttamente dal dato testuale della norma, che fa riferimento ai motivi a delinquere, caratterizzati dalla volontà (anche non esclusiva) dell’agente di agevolare l’associazione.

        Per quanto concerne, poi, l’applicazione dell’aggravante in esame al concorrente nel reato, la Suprema Corte chiarisce che, data la natura soggettiva della stessa (come poc’anzi delineato), l’aggravante si applicherà al compartecipe che, sebbene non animato dalla finalità di agevolazione presente nei concorrenti, sia comunque consapevole dell’altrui scopo.

        A cura di Simona Maria Destro Castaniti

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        [1] Cass. Pen., Sez. 5, sent. n. 32533/2020; https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2021/01/Cass-32533-20.pdf;

        [2] Cass. Pen., S.U., sent. n. 8545/2020; https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2020/03/cass-pen-sez-un-2020-8545.pdf;

        [3] Ibid.

        Le seguenti fonti sono liberamente consultabili:

        Calabrese A., “L'aggravante del metodo mafioso”, 29 luglio 2020; https://www.studiocataldi.it/articoli/39281-l-aggravante-del-metodo-mafioso.asp;

        Cass. Pen., Sez. 5, sent. n. 32533/2020; https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2021/01/Cass-32533-20.pdf;

        Cass. Pen., S.U., sent. n. 8545/2020; https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2020/03/cass-pen-sez-un-2020-8545.pdf;

        Decreto-Legge convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (in G.U. 12/07/1991, n.162); https://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:1991-05-13;152!vig=;

        DECRETO LEGISLATIVO 1 marzo 2018, n. 21; https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/3/22/18G00046/sg;

        Di Tullio D’Elisiis A., “Natura e condizioni di applicabilità dell’aggravante agevolatrice dell’attività mafiosa prevista dall’art. 416-bis 1 cod. pen.: un chiarimento da parte delle Sezioni Unite”, 7 marzo 2020; https://www.diritto.it/natura-e-condizioni-di-applicabilita-dellaggravante-agevolatrice-dellattivita-mafiosa-prevista-dallart-416-bis-1-cod-pen-un-chiarimento-da-parte-delle-sezioni-unite/;

        Finocchiaro S., “Le Sezioni unite sulla natura dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa e sulla sua estensione ai concorrenti: tra punti fermi e criticità irrisolte”, 16 marzo 2020; https://www.sistemapenale.it/it/scheda/sezioni-unite-8545-2020-aggravante-agevolazione-mafiosa-punti-fermi-criticita;

        Giglio V.G., “Art. 416-bis.1: circostanze aggravanti e attenuanti per reati connessi ad attività mafiose (1)”, 18 novembre 2020; https://www.filodiritto.com/art-416-bis1-circostanze-aggravanti-e-attenuanti-reati-connessi-ad-attivita-mafiose-1#:~:text=7%20e%208%2C%20DL%20152%2F1991.&text=L'aggravante%20agevolatrice%20dell'attivit%C3%A0,SU%2C%208545%2F2020);

        https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/aggravante-metodo-mafioso-configura-emerge-carica-intimidatoria-dell/2065.htm

        Marani S., “Agevolazione mafiosa si applica al concorrente consapevole dell'altrui finalità”, 3 aprile 2020; https://www.altalex.com/documents/news/2020/04/03/agevolazione-mafiosa-si-applica-al-concorrente-consapevole-dell-altrui-finalita.

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