La via di Ankara: tra nuove incognite e vecchie ambizioni

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  Michele Magistretti
  30 luglio 2021
  3 minuti, 52 secondi

Pur avendo impresso un parziale cambio di rotta alla propria politica estera, Ankara sembra ancora decisa a perseguire i propri obiettivi egemonici nei diversi quadranti regionali in cui è coinvolta. Sono passati i tempi di maggior frizione con molti dei suoi alleati, ma permangono alcune incognite e dossier caldi di difficile soluzione.

Vediamo, quindi, quali sono state le ultime azioni di politica internazionale della potenza anatolica, che continua a esprimere una politica estera di stampo revisionista, pur senza l’esuberanza e il vigore degli anni passati.

Dal Mediterraneo all’Asia centrale: tra nuove incognite e vecchie ambizioni

Nonostante il clima di distensione inaugurato ad inizio anno dal vertice di Al-Ula, Ankara sembra decisa a proseguire il proprio cammino alla ricerca di maggior influenza sia in prossimità dei propri confini sia in aree lontane ed a prima vista meno legate ad un interesse nazionale diretto.

Ha destato scalpore e l’indignazione di gran parte della comunità internazionale la recente visita del presidente turco nello "Stato fantoccio" di Cipro Nord, durante la quale le leadership turche hanno reso nota la volontà di riaprire il sito abbandonato di Varosha. La Repubblica di Cipro ha reagito duramente e ha cercato sostegno internazionale contro questa decisione unilaterale, che mina ulteriormente la pace e la stabilità del Mediterraneo orientale. Non si è fatto attendere il sostegno incondizionato della Grecia, ma anche il Cairo e Tel Aviv sono intervenute a difesa delle posizioni greco-cipriote. Dunque, nonostante alcuni timidi segnali di riconciliazione con Israele, come la recente telefonata tra i due presidenti, appaiono evidenti le profonde e permanenti divergenze riguardo la politica regionale dei due paesi. Anche l’Egitto ha invitato la Turchia a rispettare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, la quale prevede che i terreni di Varosha siano restituibili unicamente ai suoi legittimi proprietari greco-ciprioti.

Le forze armate turche rimangono tuttora impegnate in una campagna di antiterrorismo nelle regioni settentrionali dell’Iraq. Con l’ausilio dei peshmerga legati al Partito Democratico del Kurdistan, guidato dal presidente Barzani, i militari turchi portano avanti una campagna di rastrellamento e conflitto diretto contro le unità del PKK - organizzazione indipendentista curda di stampo marxista che viene considerata da Ankara una delle minacce prioritarie alla sicurezza nazionale. Tra giugno e luglio, alcuni militari turchi sono caduti a causa di attacchi riconducibili al PKK ed a quello che Ankara considera il suo principale alleato ideologico, l’Unità di Protezione Popolare dell’enclave curda della Siria settentrionale. La presenza dell’esercito turco sul suolo iracheno è considerata un fattore di instabilità che aumenta le tensioni tra la componente araba del paese e la regione autonoma curda. Gli avamposti dell’esercito di Ankara, nel lungo periodo, potrebbero esacerbare anche i rapporti interni alla stessa comunità curda, dato che l’altra fazione curda - l’Unione Patriottica del Kurdistan - risulta abbastanza ostile alla presenza turca nell’area.

Inoltre, Ankara mantiene una posizione ambigua riguardo il dossier libico. Pur augurandosi la pacificazione del paese, continua a mantenere in loco migliaia dei propri mercenari di origine siriana, minando quindi la riuscita del processo di transizione e le elezioni del prossimo dicembre.

A fronte delle recenti mosse del presidente tunisino, il quale ha sospeso il parlamento e rimosso diversi funzionari governativi dai propri incarichi, Ankara vede indebolito un suo importante alleato politico, il partito islamista Ennahda. Anche la decisione delle autorità di pubblica sicurezza di intervenire negli uffici di Al Jazeera può essere letta come un ulteriore tentativo di colpire quella che è considerata una quinta colonna mediatica filo-turca all’interno del paese.

Nel mentre, la potenza anatolica intensifica la propria cooperazione militare con due dei suoi principali alleati, Pakistan e Qatar. Con il primo mira a diventare un player fondamentale nello scacchiere afghano, anche se gli iniziali tentativi di corteggiamento dei talebani non sembrano aver portato frutti. L’organizzazione terroristica ha più volte intimato ad Ankara di ritirare il proprio contingente militare. Con il secondo è da anni principale sponsor dell’Islam Politico in Medio Oriente, ma con mire globali. Negli ultimi mesi, i Capi di Stato maggiore di Doha e Ankara hanno firmato un accordo di cooperazione tra le aviazioni che dovrebbe portare diversi velivoli qatarioti presso alcune basi turche per un quinquennio. In questo modo, l’esercito turco potrebbe approfondire la conoscenza dei MIRAGE 2000 e dei RAFALE, in dotazione anche all’aviazione ellenica. Inoltre, gli aerei militari di Doha potrebbero supportare le manovre logistiche dell’esercito turco dal Caucaso al Corno d’Africa.

Fonti consultate per il presente articolo:

https://www.al-monitor.com/ori...

https://ahvalnews.com/cyprus/h...

https://www.al-monitor.com/ori...

https://www.rid.it/shownews/42...

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Michele Magistretti

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Turchia