La situazione dei diritti umani in Kazakhstan e le proteste degli attivisti

  Articoli (Articles)
  Redazione
  02 aprile 2021
  4 minuti, 35 secondi

In Kazakhstan Nursultan Nazarbaev è stato Presidente dal 1991 fino al 2019, anno delle sue dimissioni. Questi anni hanno visto il formarsi di una Repubblica monopartitica presidenziale, di fatto una dittatura incentrata sulla figura di Nazarbaev.

Ma anche l’attuale situazione politico-sociale del paese è grave: dopo le dimissioni dell’ex Presidente, le elezioni sono state vinte, con una percentuale del 71%, da Kassym-Jomart Tokaev, braccio destro di Nazarbaev. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha dichiarato che le elezioni parlamentari hanno avuto luogo all’interno di un contesto di repressione di libertà politiche, in cui non solo mancavano delle reali alternative politiche da poter scegliere, ma anche dove chiunque decidesse di non votare per Tokaev subiva forti ripercussioni e minacce. Inoltre, Nazarbaev continua a controllare tutti gli apparati politici, mantenendo diverse posizioni strategiche e il titolo di Elbani, padre della patria.

Le principali Ong hanno riportato che, a seguito di queste elezioni, migliaia di persone sono scese nelle strade e hanno iniziato a protestare e a denunciare i brogli elettorali. I manifestanti sono stati quasi tutti prontamente arrestati: trattenuti senza poter aver accesso a viveri di prima necessità quali acqua o cibo e soprattutto vedendo violato il loro diritto di poter chiamare un avvocato o i familiari.

Tuttavia, dopo questi fatti, sono sempre più numerosi i gruppi di attivismo, che lottano per denunciare agli occhi dell’Europa e del mondo quello che sta succedendo in Kazakhstan. Tra questi, Dana Zhanay è una giovane autrice di un report dedicato al Kazakistan ed è inoltre la portavoce della Qaharman Human Rights Protection Foundation, nonché una dei suoi fondatori, un’associazione che si occupa di dei diritti umani del Paese. Moltissimi sono i giovani sotto i trent’anni che si sono mossi per creare dei fronti d’opposizione e manifestare contro il governo autoritario del paese; un altro esempio importante di un gruppo che sta acquisendo sempre più consenso è quello di Oyan Kazakhstan (Sveglia, Kazakhstan!). Il movimento ha affermato di non voler fare politica o di collaborare con partiti politici, le uniche preoccupazioni del gruppo riguardano le riforme politiche e i diritti fondamentali dell’uomo; tra gli obbiettivi principali si trovano la fine delle repressioni politiche e una libertà elettorale che prenda come modello gli standard delle democrazie europee.

In una Paese quindi in cui le libertà fondamentali sono costantemente represse e dove, come ha affermato OSCE, non sono mai esistite delle elezioni libere e pulite, significativo è il caso dell’attivista Dulat Agadil. Attivista per i diritti umani, Agadil ha lottato per decenni contro la dittatura del governo e per questo motivo è stato arrestato numerose volte; è stato inoltre un forte sostenitore del movimento di opposizione pacifico Koshe Partiyasy. A febbraio 2020 ha subito quello che però è diventato tragicamente il suo ultimo arresto: trascinato fuori e preso di forza mentre era disarmato nella propria macchina, Agadil è stato portato via senza che fosse detto nulla. A seguito di ripetute torture e negligenza medica, Agadil è morto d’infarto. Uno dei suoi figli, Zhanbolat, che era un testimone chiave dell'arresto del padre e seguiva le sue orme in quanto difensore dei diritti umani, è stato ucciso successivamente a novembre. Ora gli altri figli e la famiglia di Agadil sono in pericolo e sotto sorveglianza per aver denunciato all'UE la morte dei loro famigliari. Persecuzioni, repressioni e arresti sono ormai all’ordine del giorno: almeno 177 000 sostenitori di "Koshe Partiyasy" rischiano di essere perseguiti e vivono nella paura.

È in questo contesto difficile che sei donne attiviste hanno deciso di compiere un gesto simbolico per portare l’attenzione sui fatti che accadono nel loro paese. Queste donne hanno deciso di girare un video dove, guardando la telecamera con sguardo fermo e deciso, si sono rasate i capelli per protestare contro gli abusi e mostrare un Paese costantemente oppresso. Vogliono chiedere nuove leggi e riforme per tutelare la libertà di scelta dei cittadini kazaki e la scarcerazione e la fine delle persecuzioni dei prigionieri politici. Tra queste donne, Rakilja Beknazarova, fisioterapista di 42 anni, ha spiegato che il gesto di rasarsi i capelli non è solo simbolico, ma è un atto di ribellione ed emancipazione contro uno dei tanti divieti che vengono imposti alle donne kazake, ovvero quello di tagliarsi i capelli corti. Nel video Rakilja e le altre donne espongono anche le ragioni che le spingono a ribellarsi:

Vivo in una prigione chiamata Kazakhstan, in un Paese dove non c’è il diritto di scegliere, in un Paese dove non sono sicura del futuro, in un Paese dove la verità è considerata estremismo, in un Paese considerato lo zimbello del mondo. Farò questo passo, il cuore me lo chiede, per protestare contro le dittature. È il mio passo disperato. Chiedo giustizia per tutti. Chiedo che il Kazakhstan sia libero.”

Kazakhstan, l'attivista Rakilja Beknazarova: “Ho rasato i capelli perché il mio Paese oramai è una prigione” | Rep

Kazakhstan, la protesta delle donne: si rasano i capelli contro la repressione - la Repubblica

Kazakh Women Shave Heads To Demand Political Freedom And Democracy

Uccisioni politiche nella Repubblica del Kazakhstan

KAZAKISTAN: Cosa (non) è cambiato nel post-Nazarbayev - East Journal

Elezioni senza sorpresa in Kazakhstan: vince il partito al potere. Centinaia di arresti - la Repubblica

https://www.tenutefalezza.com/...


A cura di Elisa Capitani 

Condividi il post

L'Autore

Redazione

Tag

Kazakhstan agenda2030 Asia Centrale Geopolitica