La repressione delle manifestazioni in Colombia

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  Alice Stillone
  06 luglio 2021
  3 minuti, 48 secondi

Il 28 aprile di quest’anno, a seguito dell’annuncio del progetto di riforma fiscale promosso dal presidente Iván Duque, numerose manifestazioni hanno avuto inizio in Colombia.

Il progetto di riforma, noto come Legge di Solidarietà Sostenibile, mirava a fronteggiare la crisi dovuta alla pandemia e prevedeva un ampliamento della base dei contribuenti dovuto all’abbassamento della soglia minima al di sotto della quale i cittadini sono tenuti a pagare le tasse.

Tuttavia, questo allargamento della base dei contribuenti ha destato molte preoccupazioni tra la popolazione colombiana poiché, a causa della pandemia, il 42,5% dei cittadini (cioè 21 milioni di abitanti su 51) si sono trovati al di sotto della soglia di povertà, mentre 7 milioni al di sotto della soglia di povertà estrema.

Nonostante il progetto fosse stato accantonato, le proteste sono continuate contro le privatizzazioni del governo neoliberista e contro la riforma al sistema sanitario che, parallelamente alla riforma fiscale, era discussa in Parlamento. Infatti, secondo i manifestanti, questa avrebbe peggiorato le condizioni di lavoro del personale ospedaliero.

Le richieste delle piazze sono state diverse e le manifestazioni non si sono limitate a combattere l’approvazione dei precedenti progetti di legge, ma hanno costituito anche un’occasione per porre l’accento su questioni irrisolte da anni come la situazione economica penalizzante la maggior parte della popolazione, i movimenti femministi che richiedono la depenalizzazione dell’aborto e la richiesta del rispetto degli accordi di pace tra il governo e i guerriglieri Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia).

A seguito dell’inizio delle proteste, il presidente Iván Duque del partito di destra “Centro Democratico”, aveva annunciato il dispiegamento dell’esercito ammonendo coloro che mediante “atti di vandalismo e terrorismo cercano di mettere paura alla società”. Il governo ha pertanto risposto con la militarizzazione e la repressione perpetrata attraverso la ESMAD, squadra speciale anti sommossa, la quale, insieme al governo, secondo quanto riportato dalle organizzazioni per i diritti umani e da Amnesty International, sarebbe responsabile di pesanti violenze nei confronti dei manifestanti. Le rivolte, iniziate a Bogotá e successivamente diffusesi in tutto il territorio nazionale a macchia d’olio, stando alla Central Unitaria de Trabajadores della Colombia, hanno mobilitato solo il primo giorno di manifestazioni oltre 5 milioni di persone in 600 municipi.

La reazione del governo purtroppo non è tardata ad arrivare e stando alle informazioni forniteci da Amnesty, la polizia ha usato indiscriminatamente gas lacrimogeni, fucili e armi semiautomatiche sui manifestanti agendo contro il diritto internazionale. Secondo le organizzazioni della società civile colombiana, sino al 3 maggio la Polizia nazionale aveva ucciso 37 persone e feritone 222, eseguito 831 arresti arbitrari; si registravano inoltre 142 casi di maltrattamento, 10 di violenza sessuale e 65 di sparizioni di manifestanti.

Alcune testate giornalistiche italiane ed estere hanno riportato gravissime testimonianze di giovani donne vittime di abusi sessuali durante la detenzione a seguito dell’arresto per aver preso parte agli scioperi. Alcune donne addirittura di essere state costrette a denudarsi davanti a decine di agenti e di essere rimaste vittime di insulti, di minacce e infine di violenze sessuali successivamente certificate dai sanitari in ospedale.

La BBC riporta le stesse notizie circa le violenze sessuali subite dalle manifestanti e la Commissione Interamericana sui diritti umani (IACHR) ha inviato una squadra in Colombia per indagare sulle accuse di uso eccessivo della forza da parte della polizia durante le proteste.

Prima dell’arrivo della Commissione, il presidente Iván Duque ha proposto una serie di riforme della polizia tra cui la creazione di una direzione per i diritti umani guidata da un esperto internazionale col fine di dare seguito alle denunce dei cittadini, tuttavia per tali riforme, dovendo essere ancora accettate dal Congresso colombiano, la strada verso l’approvazione appare in salita. Inoltre le organizzazioni per i diritti umani hanno sottolineato che anche se le riforme passeranno, la polizia rimarrà sotto la giurisdizione del ministero della Difesa pertanto i casi di abusi continueranno ad essere giudicati dai tribunali militari che, con più probabilità, lasceranno impuniti i responsabili.

Nonostante l’ONU ed anche l’UE abbiano espresso pubblicamente la loro preoccupazione circa la situazione colombiana, i numeri delle vittime e la violenza perpetrata dalla polizia sui manifestanti non sembrano diminuire, ma al contrario aumentare. Pertanto la richiesta di Amnesty e di altre organizzazioni internazionali al presidente Duque è quella di garantire al popolo colombiano il diritto alla protesta pacifica e la fine del dispiegamento di forze di polizia e dell’ESMAD per reprimere le manifestazioni dei cittadini.

Fonti consultate per il presente articolo:

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America del Sud

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