La quarta guerra di Gaza: dottrine politiche e militari a confronto [Parte 1]

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  Redazione
  20 giugno 2021
  17 minuti, 2 secondi

A cura di Sara Oldani e Francesco Ancona

Tra il 10 e il 21 maggio si è svolta la “quarta guerra di Gaza”: lo Stato di Israele, con l’operazione “Guardiani delle Mura”, ha risposto al lancio di razzi provenienti da Hamas nella Striscia di Gaza, provocando una distruzione paragonabile solo alla precedente campagna militare del 2014. Lo scoppio delle ostilità, originatosi a Gerusalemme dopo un mese di violenze e instabilità, è l’ennesima scintilla che ha riportato l’attenzione della Comunità Internazionale sulla questione israelo-palestinese. La conflittualità tra Hamas e lo Stato ebraico non è cosa nuova: l’analisi in merito alle origini e agli sviluppo rispettivamente dell’ala armata del movimento palestinese e delle Israeli Defence Forces (IDF) ha l’obiettivo di mostrare quali sono le dottrine strategiche di ciascuno e le tecniche militari utilizzate.


Hamas: nascita, obiettivi ed evoluzione nel tempo

Il Movimento di Resistenza Islamica (Harakat al Muqawwama al-Islamiyya), da cui l’acronimo Hamas, nasce formalmente il 9 dicembre 1987 durante la riunione dell’ufficio politico dei Fratelli Musulmani presso la dimora dello skheikh Ahmed Yassin. Catalizzatore per la formazione del movimento è stato lo scoppio della Prima Intifada (detta “Intifada delle pietre”), la mobilitazione popolare palestinese contro l’occupazione israeliana. L’Intifada ha accelerato i tempi per la realizzazione di un progetto che però già veniva discusso dal 1983, cioè la creazione di una sezione operativa delle organizzazioni della Fratellanza musulmana già presenti nella Palestina storica fin dai tempi del mandato britannico [1].

Il legame tra quello che diventerà Hamas e l’islam politico è fondamentale per spiegare quali sono le ragioni per cui il movimento si è diffuso e radicato nella Striscia di Gaza ed è considerato come la contropartita dell’altro movimento nazionale palestinese, a carattere laico, cioè Fatah e prima ancora che venisse svuotato del suo ruolo, l’OLP.

L’islam infatti per i simpatizzanti di Hamas non è solo un fattore religioso, ma è unificante e ha un carattere fortemente identitario: non si tratta della religione di stampo “tradizionale”, del conservatorismo religioso che poteva essere diffuso nelle aree rurali della Palestina. Viene definita una religione “consapevole”, attiva e grandemente collegata all’aspetto nazionale. Questi elementi che caratterizzano il movimento radicale ancora oggi, si possono già intravedere nel giuramento degli allora islamisti di Gaza che recita: “Prometto di essere un buon musulmano nel difendere l’Islam e la perduta terra di Palestina. Prometto di essere un buon esempio per la comunità e per gli altri” [2].

Il tentativo di trovare una nuova identità è la tensione che vive la comunità di Gaza dal 1948, anno della Nakba (“catastrofe”) [3] per i palestinesi e anno nel quale il territorio intorno a Gaza è diventatola Striscia di Gaza. Si è trattato di un cambiamento radicale per il tessuto sociale-politico palestinese, spinto sempre più a sud verso l’Egitto e costituito per la maggior parte da profughi. Profughi che si sono trovati dal 1948 staccati dalla Palestina storica per finire sotto il controllo egiziano e dal 1967 sotto il controllo israeliano, riuniti, ma divisi da una distanza incolmabile con i palestinesi della Cisgiordania e di Gerusalemme Est che prima della Guerra dei Sei Giorni si trovavano sotto l’influenza giordana.

Il contesto storico e l’ulteriore massa di profughi generata dalla guerra del 1967, hanno reso ancora di più isolata la Striscia di Gaza. La strada verso l’islamismo politico è stata quasi “ovvia”, infatti i rifugiati palestinesi, alla ricerca di una propria identità si sono aggrappati alle associazioni e istituzioni della Fratellanza musulmana che garantivano protezione e welfare e che si erano schierate simbolicamente al loro fianco [4]. La Fratellanza musulmana però propugnava la non violenza, affermando che fosse necessario riformare gli usi e costumi, di tornare ad essere dei veri musulmani: secondo la loro prospettiva è proprio per questo che è avvenuta la Nakba, perché i palestinesi non essendo dei musulmani consapevoli, non hanno saputo difendere la propria terra [5].

Come si passa dalla non violenza alla resistenza? La resistenza, in arabo muqawwama, è uno dei perni dell’ideologia di Hamas [6]. Da una resistenza di stampo non violento si passa alle armi su pressione sia del contesto geopolitico dell’epoca sia per questioni interne, cioè la nuova generazione di rifugiati palestinesi, formata appunto da giovani e profughi. La Naksa prima [7], il fallimento del panarabismo di Nasser e conseguentemente il rafforzamento dell’islam politico e infine la fuga della direzione dell’OLP insieme a Yasser Arafat dal Libano nel 1982 [8], creano una forte disillusione in merito allo sviluppo del movimento di indipendenza palestinese. A causa dell’esilio forzato della leadership palestinese, avviene un ricambio dell’élite politica che parte dalle università: i profughi di Gaza infatti studiano sia in Egitto sia, da quando Israele permette la creazione di istituti di formazione superiore e altri centri culturali, nella Palestina occupata [9]. Proprio dall’università islamica di Gaza verranno fuori i primi militanti e ufficiali di Hamas.

Data dunque la situazione di crisi nel movimento palestinese e il continuo sviluppo di insediamenti di coloni israeliani nei territori grazie anche all’ascesa al governo israeliano del partito di destra Likud, la nuova élite politica di Gaza elabora il progetto che darà vita ad Hamas: l’idea di un braccio operativo dell’islam politico che agisse anche sul terreno, contro gli israeliani, solo all’interno dei Territori Palestinesi e non più all’estero. La resistenza doveva essere volta a garantire il diritto al ritorno dei palestinesi, tema fondamentale in quanto i protagonisti del movimento sono proprio i rifugiati. Inizialmente si cominciano a raccogliere armi alla luce del sole, dunque nelle case dei seguaci mentre le associazioni culturali vengono usate come centri di proselitismo. Israele se ne accorge, ma non interviene, anzi elargisce molti fondi (generando sgomento tra gli alti ranghi dell’esercito [10]) per contrastare l’altra militanza palestinese di stampo marxista o in generale di sinistra che all’epoca aveva riscosso molto successo, utilizzando la classica strategia del divide et impera. A parte qualche confisca di armi da parte dell’esercito israeliano, il nascente movimento di Hamas continua a strutturarsi clandestinamente indisturbato [11].

Oltre all’aspetto identitario, a cui Hamas dà una risposta, è attraente per un altro motivo: fin dalle origini si batte contro il clientelismo e la corruzione delle classi dirigenti palestinesi, specialmente dalla fondazione dell’Autorità Nazionale Palestinese con gli Accordi di Oslo del 1993 [12]. Il forte nesso tra Hamas e la lotta popolare è fondamentale per garantirne la sua legittimità - come affermato da Osama Hamdan, rappresentante di Hamas in Libano - “gli altri movimenti avevano il sostegno di singoli Paesi: Fatah, per esempio, riceveva supporto dall’Egitto. Dobbiamo costruire il nostro sostegno sulla gente. E noi la gente la conoscevamo”. È chiaro che si tratti di propaganda, in quanto anche Hamas riceve finanziamenti da Qatar, Turchia, Iran e i suoi proxies tra gli altri, ma la percezione è che Hamas agisca negli interessi del popolo palestinese (non tutti i palestinesi chiaramente si rivedono in Hamas, si sta cercando di spiegare la sua “forza attrattiva”) contrariamente a Fatah e all’ANP che dagli Accordi di Oslo in poi rappresentano le forze mainstream al potere, interessate solo a perseguire lo status quo.

Anche Hamas a modo suo non fa altro che perseguire lo status quo, agendo sempre all’interno del conflitto a bassa intensità con episodi a tratti più violenti che è la questione israelo-palestinese. La differenza con Fatah, competitor contemporaneo, è che ufficialmente non si piega al volere israeliano come invece avrebbe fatto il partito storico e il suo rappresentante Abu Mazen con la cooperazione in materia di sicurezza con Israele e con l’abbandono della resistenza armata [13].

La resistenza armata di Hamas inizialmente non è molto strutturata, nascono gruppi spontanei di giovani che imbracciano le armi per rappresaglia contro i coloni israeliani degli insediamenti nella Striscia [14]. A causa della disorganizzazione dei militanti, già si riscontrano i primi “martiri” (shahid) che avranno un ruolo centrale nell’ideologia di Hamas e diverranno oggetto di culto.

Per rendere più efficaci le azioni operative, nascono due sezioni (già in fase embrionale prima del 1987, ma segrete anche per la dirigenza centrale): il Majd, corpo di sicurezza con funzione di intelligence e di polizia e al-Mujahidun al-Filastiniyun per compiere gli attacchi ai militari e coloni israeliani nella Striscia. Quest’ultimo si svilupperà nell’ala armata di Hamas, le brigate Izz al-Din al-Qassam.

La dottrina militare di Hamas e la dottrina militare storica di Israele

Sin dal suo concepimento nel 1987, codificato poi all’interno del Covenant of the Islamic Resistance Movement [15], la dottrina politica, militare e strategica di Hamas ha posto come obiettivo principale quello dell’annientamento totale dello Stato di Israele attraverso una continua ed incessante resistenza nei confronti dell’occupazione israeliana. Secondo il Covenant, il fondamento principale di qualsiasi azione, politica o militare, del movimento è l’Islam, al quale “si fa riferimento per il giudizio di qualsiasi condotta”. Tuttavia, secondo Hamas, la resistenza e lo sforzo (jihad) nella lotta contro Israele non può essere limitato solamente ai palestinesi, ma deve coinvolgere tutto il mondo musulmano. Ogni individuo, palestinese e non, avrebbe quindi il dovere morale, religioso e nazionale di partecipare nella jihad contro Israele.

Partendo da questa base politico-ideologica, e alla luce del fatto che le capacità militari convenzionali di Hamas sono molto ridotte, la dottrina militare del movimento si fonda da sempre su una tipologia di confronto del tutto asimmetrica. Tuttavia, gli obiettivi nel mirino di Hamas non sono esclusivamente le truppe di difesa israeliane (IDF); la priorità del gruppo verte invece sul causare il numero maggiore di danni e vittime possibili all’interno dello stato sionista, tramite l’uso di attacchi esplosivi suicidi, il rapimento di persone, ed il bombardamento di centri urbani con razzi e bombe. Dal 2008 ad oggi, infatti, Hamas ha lanciato su Israele decine di migliaia di testate esplosive a breve, media e lunga gittata; tra razzi rudimentali, come i famosi Qassam (di breve gittata), e altri razzi con testate di lancio più sofisticate, come gli M302 siriani (di lunga gittata) e i Fajr-5 iraniani (di media gittata). Dal 2014, Hamas ha inoltre fatto un utilizzo sempre più strategico di tunnel scavati nel territorio di Gaza vicino al confine con Israele, tramite i quali combattenti e materiali possono infiltrarsi più in profondità e con più facilità all’interno del territorio di Israele.

Dal canto suo, la dottrina militare di Israele è diametralmente opposta a quella di Hamas. Come la maggior parte degli eserciti convenzionali a stampo occidentale, l’IDF ha un modus operandi di tipo semi-simmetrico, impiegando un cospicuo arsenale composto da diverse tipologie di armi, strumenti ed velivoli specializzati (racchiuso nel concetto di combined arms) all’interno del contesto di battaglie campali [16]. Da questo punto di vista, l’IDF ha a sua disposizione tecnologie militari altamente avanzate e sofisticate; basti pensare agli innumerevoli attacchi aerei effettuati dai cacciabombardieri F-16 israeliani contro edifici, tunnel e basi di Hamas dal 2014 ad oggi. Questo tipo di dottrina militare, nonostante abbia dimostrato di portare risultati tattici concreti e positivi (ad esempio le operazioni combinate terra-aria Inverno Caldo del 2008, e Piombo Fusodel 2009, portate avanti dall’ IDF hanno portato ad una considerevole riduzione del numero di razzi lanciati da Hamas su Tel Aviv [17]), da un punto di vista strategico-operativo di lungo periodo non è tuttavia sostenibile per Israele, non essendo mai riuscito a neutralizzare, o semplicemente a controllare, completamente le attività di Hamas nella striscia.

L’ assetto militare dell’IDF nel tempo

Nonostante ciò, la dottrina militare dell’IDF, diversamente dalle altre dottrine occidentali di simile stampo, ha subito una profonda evoluzione nel tempo, proprio per far fronte non più soltanto alla minaccia di guerra con gli eserciti convenzionali degli stati limitrofi (scomparsa successivamente all'accordo di pace di Camp David e l’inizio della normalizzazione dei rapporti con l’Egitto), ma anche alla minaccia proveniente sia da Libano sia dai Territori palestinesi.

L’Israeli Defence Force nasce nel 1948, successivamente alla formazione dello Stato di Israele, in pieno stato di guerra contro milizie arabe irregolari e truppe volontarie regolari (riuniti nell’Esercito Arabo di Liberazione) provenienti dagli stati limitrofi appartenenti alla Lega Araba [18]. Nata come un’organizzazione di milizie irregolari, inizialmente, l’IDF riuniva diversi dipartimenti di difesa Israeliani (come l’Haganah e Palmach [19]). Tuttavia, per il suo tipo di organizzazione, e per le sue capacità di combattimento, l’IDF era pressoché pari alle milizie arabe. Un fattore chiave che ha determinato in larga parte la superiorità militare israeliana è stato il commercio clandestino di armi con alcuni stati europei. In pochi mesi, infatti, l’IDF è riuscito non solo ad equipaggiarsi, ma addirittura a superare di lì a poco le milizie arabe in termini di armi, equipaggiamento pesante e organizzazione logistica, grazie alle quali il seppur piccolo IDF è riuscito non solo a sconfiggere le milizie arabe all’interno di Israele, ma addirittura ad invadere la Palestina (successivamente ad una serie di piccole ma importanti operazioni offensive al fine di distruggere infrastrutture sensibili, accerchiare truppe nemiche, e liberare importanti centri urbani [20]) e a forzare l’armistizio con Egitto, Giordania, Libano e Siria [21].

La superiorità militare nei confronti degli eserciti regolari arabi è stata confermata più volte da parte di Israele, nonostante si tratti comunque di un esercito di piccole dimensioni rispetto alle forze combinate degli eserciti arabi di allora. L’IDF ha da sempre preferito un assetto militare piccolo ma efficiente, capace di combattere quelle che alcuni autori hanno definito piccole guerre (small wars), ovvero guerre di natura molto più limitata rispetto alle operazioni di larga scala tipiche dei grandi eserciti [22]. A livello strategico, la dottrina IDF è puramente difensiva, mentre le sue tattiche (ovvero le azioni e decisioni che prende per perseguire il suo obiettivo strategico) sono di natura prettamente offensiva; ergo, se attaccata, Israele contrattacca rapidamente e in profondità, e ciò perché può permetterselo grazie alla sua superiorità qualitativa [23].

Il concetto di “piccole guerre”, tuttavia, non si esaurisce semplicemente con l’utilizzo dell’esercito regolare contro un esercito nemico. Infatti, per far fronte alle crescenti minacce, non più necessariamente derivanti dall’esterno - e aventi carattere decisamente non-convenzionale - parallelamente all’utilizzo dell’esercito come strumento di difesa dello Stato, l’IDF si è necessariamente dovuto evolvere al fine di ricercare soluzioni rapide, pratiche ed innovative per combatterle. Un primo tentativo a riguardo ci fu con la formazione negli anni 50’ dell'Unità 101: una piccola milizia commando con lo scopo di condurre azioni di rappresaglia contro militanti arabi che si infiltravano nel territorio israeliano (conosciuto come fedayeen). Curiosamente, il processo di formazione di questa unità non è avvenuto partendo dai vertici dell’IDF, bensì è dall’idea e creatività di giovani ufficiali ai quali è stata concessa un’enorme libertà nell’utilizzo delle risorse a loro disposizione e con grande autonomia di iniziativa [24]. Ed è proprio questa la caratteristica principale dell’evoluzione della dottrina militare israeliana, ovvero continua capacità dell’IDF di generare soluzioni e iniziative innovative, pratiche e di breve periodo nella lotta asimmetrica contro le milizie arabe prima, e gli attacchi non convenzionali successivamente.

Sempre in questo contesto, l’IDF ha tratto un’ulteriore lezione a seguito della guerriglia contro i combattenti del gruppo di Hezbollah, creando reparti specializzati nelle operazioni e tattiche di counter-insurgency (come ad esempio le unità della Egoz) [25]. Grazie all’esperienza sul campo acquisita nella lotta asimmetrica da parte di queste unità, l’IDF ha potuto sviluppare e istituzionalizzare un proprio know-how anti-insurrezionale, con il quale addestrare le proprie truppe.

Parallelamente a questa evoluzione, ne è avvenuta un’altra altrettanto importante, ovvero l’evoluzione tecnologica. Nel corso di diversi decenni, Israele ha puntato molto sulla ricerca e sviluppo di armamenti ed equipaggiamenti che potessero soddisfare le necessità operative dell’IDF. Motivo per il quale le forze di terra in particolare hanno in dotazione armi e veicoli progettati e costruiti localmente. Si pensi ad esempio al famoso carro armato Merkava, progettato dall’allora Israel Military Industries (oggi Elbit Systems Land) che, a differenza di altri MBTs (Main Battle Tanks), presenta delle caratteristiche uniche come un comparto interno nel retro del carro, pensato per essere utilizzato come piattaforma per trasporto truppe, evacuazione medica, o come stazione di comando avanzata.

Probabilmente l’arma più famosa presente nell’arsenale dell’IDF è il sistema di difesa antimissile autonomo Iron Dome. Progettato dall’industria di difesa israeliana RAFAEL, Iron Dome è stato concepito per fare fronte ad un’ennesima nuova minaccia per Israele, ovvero il lancio di razzi non guidati, di diversa gittata, sui centri urbani da parte delle milizie di Hezbollah, dal 2006, e successivamente anche da Hamas, dal 2008. Dopo diversi test, il sistema è entrato ufficialmente in servizio nel 2011, dove si è dimostrato da subito estremamente efficace, avendo abbattuto ad oggi migliaia razzi di diversa taglia con una percentuale di successo del 90% [26]. Recentemente, Israele ha fatto inoltre un uso esteso di droni e di sistemi IA (intelligenza artificiale) per il monitoraggio dati e per la raccolta di informazioni per conto delle unità del corpo di intelligence dell’IDF, con lo scopo ufficiale di identificare e successivamente colpire obiettivi militari e personale di alto profilo di Hamas [27].

Nonostante queste evoluzioni operative e tecnologiche, il modus operandi dell’IDF, consistente in una dottrina militare a carattere difensivo ma con l’utilizzo di tattiche offensive, non è mai cambiata dal 1949 [28].

Fonti consultate:

[1] P. Caridi, Hamas: che cos’è e cosa vuole il movimento radicale palestinese, Feltrinelli, 2009

[2] Ibidem

[3] La Nakba rappresenta l’esodo forzato tra il 1946 e il 1948 di circa 750.000 palestinesi (alcune stime parlano di quasi un milione), a seguito dell’incursione delle milizie paramilitari sioniste che contribuirono alla creazione dello Stato di Israele nel 1948

[4] B. Milton-Edwards, Islamic Politics in Palestine, Tauris Academic Studies, 1999

[5] P. Caridi, Hamas: che cos’è e cosa vuole il movimento radicale palestinese, Feltrinelli, 2009

[6] È interessante rilevare che la muqawwama è tema centrale anche per le milizie di Hezbollah, le quali considerano Israele come nemico e anch’esse si sono strutturate per mimesi antagonistica con le forze allora considerate mainstream al potere.

[7] La Naksa (“ricaduta”) rappresenta la seconda diaspora palestinese, ancora più tragica della precedente, a seguito della Guerra dei Sei giorni del 1967 e dell’occupazione israeliana della Striscia di Gaza e della Cisgiordania compresa Gerusalemme Est.

[8] L’esilio forzato della direzione dell’OLP, che dai quartieri di Beirut si sposterà a Tunisi, avviene successivamente all’invasione israeliana del Libano con l’Operazione Pace in Galilea nel 1982.

[9] S. Mishal-Avraham Sela, The Palestinian Hamas, Vision, Violence and Coexistence, Columbia University Press, 2000

[10] Il generale di brigata Yithak Sager, in un’intervista all’International Herald Tribune del 1981, affermò che il governo israeliano gli aveva dato un fondo e che il governatorato militare lo aveva dato alle moschee allo scopo di rafforzare un soggetto che contrastava quelli della sinistra favorevoli all’OLP.

[11] Z. Abu Amr, Islamic Fundamentalism in the West Bank and Gaza, Indiana University Press, 1995

[12] Z.Tahhan, Al-Jazeera, Hamas and Fatah: How are the two groups different?, https://www.aljazeera.com/features/2017/10/12/hamas-and-fatah-how-are-the-two-groups-different, 12/10/2017

[13] Ibidem

[14] Il primo caso si verifica con lo scoppio della Prima Intifada, in cui tre palestinesi del campo profughi di Jabalia restano uccisi durante un incidente d’auto in cui dei guidatori israeliani, non si sa se volontariamente o meno, urtano il loro furgone.

[15] The Covenant of the Islamic Resistance Movement, https://avalon.law.yale.edu/20th_century/hamas.asp, 18/08/1988

[16] Dizionario di “Internazionale”: scontro tra due eserciti in campo aperto

[17] Israeli Minister of Foreign Affairs, The Hamas terror war against Israel, https://www.mfa.gov.il/mfa/foreignpolicy/terrorism/pages/missile%20fire%20from%20gaza%20on%20israeli%20civilian%20targets%20aug%202007.aspx

[18] Y. Gelber, Israel Studies, an Anthology: the Israeli-Arab War of 1948, https://www.jewishvirtuallibrary.org/israel-studies-an-anthology-war-of-1948, 2009

[19] Jewish Virtual Library, Israel Defense Forces: the founding of the IDF, 2001

[20] Si vedano ad esempio le operazioni “Yoav”, “Yiftach” e “Nachshon”

[21] Ibidem

[22] Gil-li Vardi, ‘Pounding Their Feet’: Israeli Military Culture as Reflected in Early IDF Combat History, in Journal of Strategic Studies, 31:2, 295-324, 2008

[23] Jewish Virtual Library, IDF: History & Overview, https://www.jewishvirtuallibrary.org/history-and-overview-of-the-israel-defense-forces

[24] Raphael D. Marcus Military Innovation and Tactical Adaptation in the Israel–Hizbullah Conflict: The Institutionalization of Lesson-Learning in the IDF, in Journal of Strategic Studies, 38:4, 500-528, 2015

[25] Ibidem

[26] D. Hambling, Forbes, Under The Iron Dome: The Problem With Israel’s Rocket Shield, https://www.forbes.com/sites/davidhambling/2021/05/12/under-the-iron-dome-the-problem-with-israels-rocket-shield/?sh=2a9e4c059b83, 12/05/2021

[27] A. Ahronheim, The Jerusalem Post, Israel's operation against Hamas was the world's first AI war, https://www.jpost.com/arab-israeli-conflict/gaza-news/guardian-of-the-walls-the-first-ai-war-669371?fbclid=IwAR1V5dBoqNP29mWZRwthismzqLtj9ZjezvmeSXm4PloZwYsl-Xpa3upmkH4, 27/05/2021

[28] Vedi anche le opinioni di Martin van Creveld e Francesco Tosato: https://www.cesi-italia.org/eventi/724/israele-e-le-sue-forze-armate-quale-il-segreto-della-loro-potenza. Se si dà uno sguardo alla maggior parte delle operazioni condotte dall IDF negli ultimi 30 anni, la loro configurazione è sempre la medesima. Per una lista dettagliata si veda “Israeli Defense Forces: Wars & Operations”: https://www.jewishvirtuallibrary.org/israel-s-wars-and-operations

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