La nuova rivoluzione iraniana passa attraverso lo sport

Nuove eroine sportive cercano di superare le tradizionali discriminazioni del paese persiano

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  Redazione
  04 giugno 2019
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Sadaf Khadem, la prima boxeur iraniana a prendere parte per il suo paese a un match di pugilato, è ricercata dalle autorità di Teheran. Infatti, l’atleta, pur avendo ottenuto una storica vittoria sportiva, non ha ottenuto un adeguato riconoscimento in patria ma, anzi, è stata pesantemente accusata di blasfemia per non aver indossato il velo. Così facendo, la Khadem ha violato una serie di obblighi imposti dallo stato iraniano. Oltre al mancato uso del velo, è stata accusata anche di praticare uno sport solo maschile e di avere come allenatore un uomo. A seguito di queste accuse, probabilmente, Sadaf sarà costretta a chiedere asilo in Francia. La Francia ha visto legittimata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo la propria posizione in merito al divieto assoluto di indossare il velo hijab in luoghi pubblici. In base alla legge francese, la palestra viene considerata un luogo pubblico e quindi, come tale, vige questo divieto. Durante la competizione, Sadaf ha preferito indossare pantaloncini e t-shirt, rispettando la legge transalpina e violando quella del suo paese. In Iran, la legge prevede che le donne di età superiore ai nove anni debbano obbligatoriamente indossare il velo in pubblico. In caso contrario, possono finire in carcere con l’accusa di blasfemia per un periodo compreso tra i 10 giorni e i 2 mesi. Nonostante queste differenti posizioni, a livello dei campionati pugilistici, valgono le regole dell’AIBA, l’International Boxing Association. Questa federazione ha recentemente modificato la sua legislazione permettendo alle atlete di indossare l’hijab o un uniforme completo durante i match, in ossequio al rispetto delle tradizioni religiose. La posizione dell’AIBA era stata precedentemente condivisa anche dal Comitato Olimpico Internazionale alle Olimpiadi di Rio, quando la nazionale femminile egiziana scese in campo con il velo nei match di beach volley contro Italia e Germania. In quell’occasione molti finirono per commentare maggiormente l’eccessiva tenuta sportiva delle atlete egiziane rispetto alle loro doti pallavolistiche. Differenze tra sport femminili e maschili nella nostra società dovrebbero essere superate. In tal senso, la Fifa sta finanziando in Iran un progetto per l’emancipazione femminile attraverso il calcio. Il calcio, analogamente alla boxe, nasceva come sport praticato solo dal genere maschile. In seguito all’avvio di questo progetto, le donne hanno iniziato ad avvicinarsi al calcio. Memorabile, in tal senso, è l’impresa di Kat Khosrowyar, la prima donna iraniana a ottenere il patentino da allenatore A. È intervenuto nel dibattito anche il presidente Rouhani, che ha sostenuto la loro presenza allo stadio, andando contro le presunte accuse del procuratore generale; quest’ultimo ha intravisto nella presenza delle donne negli stadi una minaccia alle tradizioni consolidate del paese. Nel 2016, si è inoltre formata la nuova nazionale femminile iraniana, scioltasi nel periodo contrassegnato dalla rivoluzione di Khomeini. La nazionale, dopo diversi anni di attesa, ha potuto giocare la sua prima partita ufficiale contro la rappresentativa russa presso il grande stadio di Teheran. Questa evoluzione ha permesso anche all’Iran maschile di ottenere maggiori riconoscimenti a livello mondiale, culminati con la partecipazione della selezione al mondiale di Russia. Durante questo evento, sono stati esposti numerosi striscioni a supporto delle donne e inneggiando il loro diritto di poter assistere alle partite. Particolarmente significativa, in tal senso, è stata la campagna mediatica portata avanti da Massoud Shojaie, capitano della rappresentativa maschile. Queste iniziative seppur positive, però, non hanno messo a tacere i persiani più tradizionalisti, che hanno colto l’occasione per criticare l’abbigliamento poco ortodosso delle loro connazionali presenti negli stadi russi. Nonostante questi grandi passi in avanti, le donne, ad oggi, non hanno il diritto di praticare sport considerati maschili a causa di motivazioni religiose. Eppure, valorose donne iraniane continuano a lottare per permettere alle proprie figlie di poter avere in futuro una realtà migliore, garantendo ad esse la possibilità di prendere parte ai mondiali di calcio femminili, così come alle competizioni sportive tradizionalmente maschili. A livello sportivo, il sentimento patriottico è molto forte quando gioca la nazionale di calcio o nel momento delle olimpiadi. Proibire la partecipazione sportiva in alcune discipline al genere femminile per motivi etici, religiosi o razziali, è sbagliato e rimanda a tempi bui. La posizione dello stato iraniano pone degli interrogativi molto seri sul bilanciamento dei diritti umani e accerta come, ancora oggi, la donna in alcune culture sia discriminata in merito a convinzioni religiose consolidate che non hanno più ragione di essere. La speranza è che lo sport aiuti l’Iran a superare questa diatriba che ha portato milioni di donne a manifestare il proprio dissenso.

A cura di Domenico Barbato

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