La discriminazione verso i capelli afro nel mondo del lavoro

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  Redazione
  11 dicembre 2020
  9 minuti, 13 secondi

A cura di Marwa Fichera

Negli ultimi decenni, sono stati riportati numerosi casi di donne nere discriminate nell’ambiente lavorativo per i loro capelli afro naturali o per acconciature come le treccine, in quanto considerati “non professionali”.

Nel 2015, laureata all’Università di Bournemouth, Lara Odoffin ricevette questa mail dopo un colloquio: "Sfortunatamente, non possiamo accettare le treccine - fa semplicemente parte dei requisiti di presentazione che riceviamo dai nostri clienti. Se non potrai rimuoverle, purtroppo non potrò offrirti alcun lavoro". Nello stesso anno, a Simone Powderly, una donna inglese, fu chiesto in un colloquio di cambiare acconciatura per essere assunta, poiché le sue treccine non erano “adatte” per la vendita di prodotti di alta qualità. Nel 2016, fu riportato che una datrice di lavoro, presso il grande magazzino londinese di alta moda Harrods, bersagliava dipendenti nere, richiedendo lo stiraggio chimico dei loro capelli per continuare a lavorare. Sebbene questi eventi trattino principalmente di capelli, le motivazioni per questi gesti si legano alla marginalizzazione razziale, la quale include discriminazioni sia culturali che sulla base di tratti fisici, come il colore della pelle e i capelli.

Parmer (2004) spiega che la bellezza fisica è un fattore molto importante, in quanto influenza le relazioni sociali, la scelta del partner e le opportunità di lavoro delle persone. Per le donne, la gerarchia della bellezza mette al primo posto i capelli lisci, lunghi e preferibilmente biondi, assieme a pelle ed occhi chiari. Le donne con queste qualità, o che si adeguano a questi standard, vengono definite conventionally attractive, ovvero convenzionalmente belle. Nonostante i capelli siano simbolo di bellezza femminile, questa gerarchia vede i capelli ricci e afro come “non curati” o “brutti” e di conseguenza non idonei per molti contesti sociali dove regna la “bellezza convenzionale”. Ovviamente, il problema non è avere o volere capelli lisci e lunghi, ma un sistema che, innanzitutto, basa il valore delle donne sulla loro bellezza e che, in secondo luogo, usa un solo tipo di bellezza come riferimento.

Bisogna riconoscere che per le donne nere, l'“hairstyle dilemma” - il problema dell'acconciatura – non è solamente fine a se stesso, ma si lega a questioni sia di razza che di genere. Per quanto riguarda la questione della razza, gli ideali di bellezza vedono le donne nere come meno attraenti, poiché il loro aspetto non coincide con la bellezza attribuita alla pelle chiara, ai nasi sottili ed ai capelli lisci, che fanno parte dell'estetica caucasica. Inoltre, esse sono spesso etichettate come dure o "toste", considerate in possesso di attributi che gli uomini tipicamente avrebbero, arrivando a parlare così di "defemminizzazione" delle donne nere.

Tali definizioni e considerazioni hanno forti conseguenze sulle opportunità lavorative a loro riservate. Nel 2019, uno studio della marca Dove ha riportato che le donne nere hanno l’80% di probabilità in più, rispetto alle donne bianche, di modificare i loro capelli naturali per soddisfare le norme sociali o le aspettative sul lavoro. Inoltre, lo studio dichiara che il 50% di esse ha riportato di essere stata mandata a casa dal datore di lavoro per via dei propri capelli o di conoscere almeno una donna nera che ha subito un simile trattamento. Difatti, in molte sentono la pressione di dover trovare alternative per essere considerate professionali, come indossare parrucche, stirarsi i capelli o usare stiraggi chimici, noti come relaxers, i quali hanno un alto rischio di danno al cuoio capelluto e alla pelle. Tuttavia, è anche importante menzionare che molte donne scelgono di usare queste alternative per essere al passo con la moda, per comodità o per altre scelte personali, e non a causa di motivi esterni o sensi di inferiorità.

Purtroppo, storie come quelle elencate in precedenza non accadono solo sul posto di lavoro. Infatti, molte donne si ritrovano in casi di discriminazione sin da giovani. Nel 2018, ha fatto scalpore il caso di Ruby Williams, una giovane ragazza inglese rimandata a casa più volte dalla sua scuola a East London, perché i suoi capelli afro erano “too big” – troppo folti. Esistono anche altri casi di scuole in Jamaica e Sudafrica che hanno vietato l’uso di acconciature afro agli studenti. Questi messaggi sono altamente dannosi per l’autostima e il body image delle più giovani. Non è difficile trovare prodotti di stiraggio chimico dei capelli per le bambine nere, le quali vengono sottoposte a trattamenti periodici sin da piccole, per apparire più “ordinate”. Mentre Raperonzolo, Cenerentola, la Bella Addormentata e Barbie fanno parte di una realtà sicura per le bambine bianche, le bambine nere imparano che la “bellezza bianca” equivale alla felicità.

La gestione dei capelli afro richiede una particolare cura, poiché una eccessiva manipolazione e stiraggio dei ricci può provocare effetti negativi come lo spezzamento del capello, oltre che dolori alla cute. Inoltre, la loro crescita impiega un maggior tempo, in quanto i follicoli sono più propensi a rimanere nella fase telogen – ovvero lo stadio di riposo – più a lungo. Per questo, usare metodi come treccine, locks, twists e knots, chiamati anche protective hairstyles – acconciature protettive – non significa solo essere trendy, ma aiuta a mantenere capelli sani e forti. Tornando indietro nel tempo, i capelli afro hanno una storia molto ricca. In Africa, sono nate diverse acconciature e ornamenti che variano tra culture e paesi e che hanno spesso rappresentato importanti significati sociali e religiosi per le comunità. Durante la tratta degli schiavi africani, le donne nascondevano semi, riso e legumi dentro ai cornrows – una fila di trecce attaccate lungo la testa. Questo tipo di trecce veniva anche usato come vere e proprie mappe di fuga dalle piantagioni. Negli Stati Uniti, con il Black Power Movement degli anni '50, la famosa acconciatura afro degli attivisti afroamericani, nota come "the natural", era parte del black pride – orgoglio nero – e collegato ai cambiamenti politici dell’epoca.

Nel dicembre 2017, la rivista ELLE ha pubblicato sulla piattaforma YouTube un documentario intitolato Braided: an American Hair Story, con la partecipazione dell’attrice Lupita Nyong'o, della scrittrice Ayana Byrd e di altre celebrità e stilisti di origini africane e afro-caraibiche. Nel documentario viene discussa la questione dell'appropriazione delle acconciature africane nei media mainstream e tra le celebrità non nere, come il personaggio dei reality Kim Kardashian West. Quando una persona non nera adotta acconciature di origini africane, lo stile viene percepito come un accessorio di moda, in quanto l’individuo vive l'acconciatura in un contesto di whiteness privilege – privilegio razziale. Qui nasce il concetto di cultural appropriation – appropriazione culturale, quando gli usi e i costumi di certe comunità diventano parte della cultura popolare come “prodotti” da consumare. Il video mostra la disapprovazione provata nei confronti del “whitewashing” – imbiancamento – di molte acconciature provenienti da popolazioni nere. Un esempio sone le trecce cornrows, ribattezzate "trecce Kim Kardashian" o "trecce boxer" dopo che la Kardashian West e le donne combattenti UFC le hanno rese popolari tra i gruppi non neri. Tuttavia, l’uso di acconciature afro da parte delle donne nere continua ad essere fonte di discriminazione. Invece, quando una donna nera cambia il proprio aspetto per essere considerata una persona “rispettabile”, “intelligente” e “di buon gusto”, essa viene sempre e comunque percepita come una donna nera.

Negli ultimi anni, c’è stato un aumento di donne nere che hanno iniziato a sentirsi libere di scegliere il loro stile, che optano per capelli lisci o acconciature africane tradizionali per sentirsi belle e professionali in egual modo. Le acconciature afro sono ora adottate da molte donne nere, anche di successo e altamente istruite, che decidono di mettere in mostra la loro bellezza naturale, trasmettendo sicurezza in se stesse e andando contro gli standard, sia intenzionalmente che involontariamente. Inoltre, un calo nell’uso degli stiraggi chimici è stato attribuito alla consapevolezza dei risultati negativi di questi trattamenti e ad un numero di influencer sui social e di video su YouTube, i quali mostrano diversi modi per prendersi cura dei capelli afro naturali.


Nel 2019, in California è stato approvato il CROWN Act (Creating a Respectful and Open Workplace for Natural hair). Presentata dalla senatrice Holly J. Mitchell, questa legge è stata istituita per contrastare la discriminazione razziale contro determinate acconciature e per sfidare il concetto di "capelli professionali". Da allora, altri sei Stati americani hanno approvato la legge. Tuttavia, si spera che una legislazione simile venga introdotta in tutto il resto del mondo, in quanto, nel 2020, le donne nere possono ancora essere licenziate o non essere assunte per i loro capelli.

Fonti consultate per il presente articolo:

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ELLE, (2017). Braided: An American Hair Story. Youtube. Available from: https://www.youtube.com/watch?v=yFGwmUCH9aI

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