Inflazione parte 2: il caso libanese fra crisi migratorie e finanziarie

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  Davide Bertot
  19 maggio 2021
  5 minuti, 51 secondi

Il Libano, piccolo paese affacciato sul Mediterraneo e un tempo definito “la Svizzera del Medio Oriente”, soffre da due anni della peggiore crisi economica della sua storia recente: i prezzi dei beni alimentari sono cinque volte più alti rispetto al 2019, la lira libanese ha perso circa il 90% del suo valore e più della metà della popolazione vive ufficialmente sotto la soglia di povertà a causa dell’inflazione. In più, da quasi un anno le forze politiche discutono senza riuscire a formare un governo per rispondere a questa crisi senza precedenti.

Ma come ha fatto il Libano a finire così? Di chi è la colpa? E quali sono le conseguenze per i libanesi?

La scommessa libanese

Nel 1997, terminata da pochi anni una sanguinosa guerra civile nel Paese, il direttore della banca centrale libanese, Riad Salameh, aveva fissato il tasso di cambio col dollaro a circa 1.500 lire libanesi. Questo ha consentito alla popolazione di mantenere nel tempo il proprio potere d’acquisto e di potersi permettere uno stile di vita simile a quello dell'occidente. Tuttavia, il Libano ha da sempre un grosso problema: importa circa l’80% dei propri beni di consumo, mentre non esporta praticamente nulla. In un Paese che vive di servizi e il cui deficit commerciale ammonta a circa un terzo del PIL, un tasso di cambio fisso è insostenibile, perché si basa sulla quantità di valuta estera posseduta (che tende a fuoriuscire dal Paese per via delle alte importazioni).

La soluzione per mantenere un tale cambio per due decenni è stata attirare capitali dall’estero: offrendo alle banche alti interessi sui depositi in dollari, la banca centrale ha convinto molti risparmiatori stranieri a creare depositi di valuta in Libano, venendo ripagati con un tasso d’interesse di oltre il 10% annuo. Tuttavia, questi alti interessi venivano pagati con l’arrivo di nuovi capitali, non con i guadagni dall’investimento di quelli già presenti, quindi questo sistema poteva resistere solo finché la fiducia internazionale nel Paese fosse rimasta abbastanza alta da invogliare investimenti esteri in Libano. Ma una crisi si profilava all’orizzonte.


La crisi umanitaria

Se ancora nel 2011 il dinamico settore bancario privato, su cui si reggeva l’intera economia libanese, finanziava buona parte del già altissimo debito di governo (pari al 130% del PIL), tutto questo non poteva durare, in particolare dopo lo scoppio della guerra nella vicina Siria. Un milione e mezzo di profughi siriani si è riversato in Libano, le cui strutture e infrastrutture, già provate dal costante deficit di bilancio, non hanno retto (anche perché il Libano è un paese molto piccolo, di circa sette milioni di abitanti, quindi con l’immigrazione siriana è diventato il Paese col più alto rapporto al mondo di rifugiati per abitante).

Questo non ha immediatamente causato il tracollo dell’economia, che nel 2018 era ancora stabile. Tuttavia, le evidenti falle strutturali del sistema, unite ad un debito sempre più ingombrante ed una corruzione endemica, hanno eroso la fiducia degli investitori nel Paese e i depositi bancari hanno iniziato ad assottigliarsi, così come le riserve di valuta estera possedute dalla banca centrale.

La crisi finanziaria

I capitali hanno cessato di affluire dall’estero, mentre il debito toccava lo spaventoso record del 170% del PIL. Le banche, preoccupate di fallire senza fondi con cui pagare gli interessi, hanno iniziato a limitare i prelievi e i pagamenti con carte e ad impedire la conversione di lire libanesi in dollari. Questo ha messo ulteriore pressione sul tasso di cambio che, sebbene ufficialmente sia rimasto quello deciso nel 1997, nella realtà ha ceduto, facendo pesantemente svalutare la lira: esistono ormai diversi tassi alternativi, fra cui quello di 3.900 lire per dollaro stabilito per l’importazione di beni non essenziali e persino quello, aggiornato a marzo 2021, di 15.000 lire per dollaro nel mercato nero (ormai diventato il tasso di cambio di riferimento per la popolazione).

Ma, poiché le importazioni sono una parte così importante dell’economia libanese, questo aumento dei prezzi dei beni esteri ha causato un aumento terribile dell’inflazione, che a marzo 2021 era stimata al 157,9% (ma alcuni analisti stimano persino che sia arrivata al 250%). E per molti prodotti è ancora peggio: il prezzo dei beni alimentari è aumentato del 400% fra 2019 e 2020, quindi quintuplicato in un anno. I libanesi si sono riscoperti poveri, con un potere d’acquisto decimato e stipendi crollati da circa 1.420 a circa 170 dollari al mese.

Le conseguenze

Circa metà della popolazione del Libano vive ormai sotto la soglia di povertà, e fare la spesa sembra essere diventato un lusso. In più, le riserve di valuta estera della banca centrale si stanno riducendo pericolosamente, intaccate al ritmo di 600 milioni al mese, cosa che ha costretto il governo a tagliare i sussidi, aggravando ulteriormente la situazione della popolazione.

A peggiorare il tutto, da nove mesi il Libano è colpito dalla mancanza di un esecutivo che possa operare riforme e tentare di risollevare il Paese. I principali schieramenti sono bloccati in negoziati interminabili, con il presidente Michel Aoun e il primo ministro ad interim Saad Hariri che concorrono al mantenimento della situazione di stallo, rendendo improbabile una risoluzione nel prossimo futuro.

Con un Paese sull’orlo del collasso economico e politico e un governo immobile che già nel 2020 ha dichiarato default per 1,2 miliardi di dollari in Eurobond, il naturale senso di frustrazione e disperazione della popolazione è sfociato in una serie di scioperi e proteste via via più partecipate e violente, che denunciano l’incompetenza e la corruzione della classe politica e chiedono almeno una soluzione alla crisi di governo. Manifestazioni indette da sindacati avvengono tutte le settimane ormai da molti mesi, e la polizia tenta risoluzioni diplomatiche ma la situazione è molto tesa.

Anche nel contesto internazionale, la mancanza di un governo impedisce una collaborazione: dopo un negoziato fallimentare con il Fondo Monetario Internazionale nel 2020, sembra che un aiuto finanziario della comunità internazionale possa venire soltanto a condizione della formazione di un governo che implementi riforme strutturali e ponga un freno alla crescita di prezzi e debito.

Il Libano, dunque, si trova in una situazione molto difficile, perché l’inflazione è eccessivamente alta e la produzione non riesce a coprire i costi dell’aumento dei prezzi. Se è vero che molti osservatori mettono in guardia contro facili allarmismi e sostengono che la situazione è ancora recuperabile, le somiglianze con un altro Paese dalla pessima gestione economica e dall’inflazione galoppante, il Venezuela di Nicolas Maduro, si moltiplicano. Inoltre, l’esplosione avvenuta a Beirut nell’agosto 2020 e le restrizioni imposte a causa del Covid-19 hanno ulteriormente deteriorato la condizione libanese, già in bilico e sull’orlo dell’iperinflazione e del collasso. La prospettiva di un governo operativo sembra ancora lontana all’orizzonte.

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Davide Bertot

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