Immunità di gregge: utopia o possibilità concreta?

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  Redazione
  06 luglio 2022
  5 minuti, 28 secondi

A cura del Dott. Pierpaolo Piras, membro del Comitato per lo Sviluppo di Mondo Internazionale APS

In tutto il mondo occidentale, a fronte dell’aumento consistente dei contagi da coronavirus che causano ansie e confusione sociale, una delle domande più frequenti riguarda la cosiddetta “immunità di gregge. Dov’è finita?

A tale proposito il mondo scientifico si era già espresso nel primo anno dell’epidemia sul fatto che avremmo dovuto convivere con il virus per diversi anni. Ovvero in un decorso epidemiologico nel quale la presenza del Coronavirus nel corpo sociale non sarebbe né aumentata né diminuita. Odiernamente si nota grande stanchezza sociale alla quale peraltro si devono associare molte altre crisi politico-economiche e climatiche contro cui lottare.

Questa pandemia è in corso dall'inizio del 2020 e uno stato di iper-vigilanza nelle misure di profilassi dovrà ancora essere mantenuto. Il "bisogna conviverci" a molti sembra una ricetta troppo semplice o se vogliamo semplicistica ma attualmente non praticabile con successo per via dell'emergere delle sotto-varianti Omicron BA.4 e BA.5.

Secondo alcuni studi, recentemente pubblicati anche su Science, il Regno Unito ha intercettato più di mezzo milione di nuove infezioni da Covid nell'ultima settimana. Un numero elevato – che però sale comprendendo anche i casi non censititi – che investe tra il 3% e il 4% della intera popolazione inglese. Molti casi gravi provengono dall’esterno dei luoghi di lavoro o dalla scuola, con le relative interruzioni dell'istruzione, per l'assistenza sanitaria e l’assenza dagli altri servizi vitali.

Queste infezioni si aggiungeranno inevitabilmente anche al bilancio dei casi a lungo decorso di Covid (long Covid). Secondo i dati OMS, le ondate presumibilmente "miti" di Omicron durante il 2022 hanno portato più di 619.000 nuovi casi censiti di Covid “lunghi” facendo presagire un decorso troppo lungo.

Piuttosto che un muro rappresentato dalla immunità sociale derivante dalle vaccinazioni e infezioni precedenti, stiamo assistendo odiernamente a un'ondata dopo l'altra di nuovi casi e un’incidenza in rapida crescita di tale patologia a lungo termine.

Che cosa sta succedendo?

Le ultime ricerche scientifiche hanno dato per ora alcune risposte.

Nei mesi di maggio e giugno 2022 due nuove varianti, BA.4 e BA.5, hanno progressivamente sostituito la precedente sotto-variante Omicron, BA.2. Esse sono ancora più trasmissibili e immunogenetiche?

In un recente studio scientifico su Science, esaminando in modo profondo ed accurato l'immunità generata dalla famiglia delle varianti Omicron, sia nelle persone triplo vaccinate che in quelle che hanno poi sofferto di infezioni anomale durante la prima ondata Omicron, viene studiata la possibilità, come alcuni speravano, che il vaccino si limitasse ad essere un richiamo naturale benigno per uno scontato beneficio della nostra immunità anti Covid. Si scopre invece che è così solo in parte.

Sono stati considerati molti aspetti relativi alla funzione immunitaria e in particolare agli anticorpi maggiormente implicati nella protezione dell’organismo umano (anticorpi neutralizzanti), così come la cosiddetta "memoria immunitaria protettiva” insita nelle complesse funzioni dei globuli bianchi. I risultati di tali studi scientifici non rivelano alcuna sorpresa sul fatto che le ultime infezioni fossero in realtà così comuni. La maggior parte delle persone – anche quando vaccinate tre volte – aveva una risposta anticorpale neutralizzante alcune volte inferiore contro l’Omicron rispetto al ceppo iniziale del virus "Wuhan".

È importante sottolineare che l'infezione da Omicron è uno scarso richiamo dell'immunità a ulteriori infezioni da Omicron. Insomma, anche avendo avuto l’infezione da questa variante, non siamo ancora ben protetti come vorremmo da successive infezioni. Inoltre, da aggiungere a tale mix assai complesso sta l’"immune imprinting". Questa scoperta rivela che la nostra risposta immunitaria al Covid è modellata in maniera differente essendo condizionata dalle nostre precedenti esposizioni con l’infezione avvenuta in una certa ondata anziché a un'altra, più le modalità e natura delle vaccinazioni.

Ancora, coloro che erano stati infettati nella prima ondata virale e poi di nuovo con la successiva variante Omicron avevano risposte meno soddisfacenti da parte dei linfociti T e scarso aumento del tasso anticorpale ematico. Contrariamente all’opinione che ci vede scivolare verso una controllabile relazione evolutiva con un virus simile al mixovirus influenzale dei nostri inverni, sarà in parte necessario prendere atto che nel coronavirus c’è davvero ben poco di amichevole.

Infatti, non è tanto rasserenante vedere una parte sensibile della forza lavoro della nostra società che si assenta per durate considerevoli dalle proprie occupazioni e si sente depressa perché viene reinfettata più e più volte, anche a breve distanza. E questo senza considerare il rischio di un “lungo” Covid. Siamo parzialmente rassicurati in quanto ora è dimostrato che il rischio di Covid di lunga durata è in qualche modo ridotto in coloro che si infettano dopo la vaccinazione, e anche meno in quelli dell'Omicron rispetto all'onda Delta, ma i numeri assoluti restano comunque preoccupanti.

Non avere avuto il lungo Covid dopo una precedente infezione nelle ondate precedenti offre una parziale garanzia immunitaria contro il suo ottenimento nell’infezione successiva. Resta ancora sconcertante che questa persistente malattia trovi sempre un modo per continuare a recare grande danno ad una società che in gran parte è vaccinata.

Resta poi una coorte sempre crescente di persone piuttosto disperate, molte delle quali sono tuttora colpite dal virus da oltre due anni, che iniziano ad avere difficili rapporti legali sul pensionamento anticipato sotto il profilo sanitario e sul supporto al pagamento dell'indipendenza economica personale.

Per la formulazione di una verità epidemiologica non bisogna dimenticare i milioni di persone che hanno osteggiato e non praticato il vaccino – ovvero i no-vax – che restano come una mina vagante tuttora privi di una sola vaccinazione. Esse sono prive di alcuna immunità verso questo pericolosissimo microrganismo e sono capaci di diffonderlo per ogni dove come portatori asintomatici.

I Pan-coronavirus

C'è una massiccia attività nei centri di ricerca per sviluppare vaccini di seconda generazione che potranno fare meglio e di più, compresi quelli specifici per le principali varianti virali. Per essi è stato coniato il termine di "pan-coronavirus". Mentre ci sono promettenti studi di laboratorio su tali presidi di profilassi, mancano le imponenti risorse economiche paragonabili agli studi eseguiti all’esordio del virus che hanno ispirato forza, efficacia scientifica e incrollabile fiducia durante il 2020.

Oggi condurre prove di evidenza scientifica è diventato più arduo mentre lottiamo per tenere il passo con l'emergere delle nuove sotto-varianti. Questa lotta è tutt'altro che finita. Imparare a farcela è e sarà un processo attivo che richiederà uno sforzo considerevole e una grande dose di ingegnosità. Ma al termine vincerà la Scienza, come è accaduto finora.

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Salute e Benessere

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