Il Tribunale Costituzionale polacco sfida il primato del diritto dell'Unione

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  Irene Boggio
  15 novembre 2021
  5 minuti, 49 secondi

Nelle ultime settimane si è molto discusso delle ripercussioni che la sentenza pronunciata il 7 ottobre scorso dal Tribunale Costituzionale polacco potrebbe avere sui rapporti, già gravemente compromessi, tra il paese e le istituzioni comunitarie. Della sentenza si è detto, più volte, che poggia sul mancato riconoscimento – anzi, il rinnegamento – del principio del primato del diritto europeo sui diritti nazionali degli Stati membri e che rappresenterebbe un primo passo verso il recesso della Polonia dall'Unione Europea (la cosiddetta “Polexit”).

Il principio del primato del diritto europeo, in effetti, costituisce un caposaldo dell'ordinamento giuridico dell'Unione, nonché un tassello essenziale della costruzione europea. Il fatto che il Tribunale Costituzionale polacco non lo riconosca alimenta seri dubbi riguardo alla possibilità che il conflitto tra il paese e le istituzioni europee – di cui le violazioni dello stato di diritto perpetrate dal governo polacco rappresentano solo una delle cause – possa in qualche modo rientrare. Al contrario, quel che ci si attende è un suo ulteriore e grave inasprimento (anche se l'uscita della Polonia dall'UE resta una prospettiva piuttosto remota).

Se molto si è discusso delle possibili conseguenze della suddetta sentenza per la Polonia e l'Unione tutta, il suo effettivo contenuto ha ricevuto minori attenzioni. Cosa ha stabilito, precisamente, il Tribunale Costituzionale polacco? E in che senso ha dimostrato di non riconoscere il principio del primato del diritto europeo? Ma soprattutto, in cosa consiste tale primato?

Innanzitutto, il Tribunale Costituzionale polacco ha pronunciato la tanto discussa sentenza del 7 ottobre perché adito dal Primo Ministro Mateusz Morawiecki, del partito Diritto e Giustizia (PiS). Egli ha rivolto alla corte un quesito relativo alla compatibilità di alcuni fondamentali articoli del Trattato sull'Unione Europea (TUE) con la Costituzione polacca. Oggetto d'esame sono stati, in particolare, l'art. 1 TUE (primo e secondo paragrafo), in combinazione con l'art. 4.3 TUE, e l'art. 19.1 TUE (secondo paragrafo) in combinazione con l'articolo 2 TUE.

Degli stessi, il Tribunale ha dichiarato l'incompatibilità con alcune specifiche disposizioni della Costituzione polacca, per poi aggiungere – in evidente violazione del principio del primato del diritto europeo – che il conflitto non può che essere risolto in favore del dettato costituzionale, ovvero che a essere disapplicate devono essere le suddette disposizioni del Trattato sull'Unione Europea. Al contrario, il principio del primato del diritto europeo prevede che, in caso di contrasto tra una norma di diritto europeo (primario o derivato) e una norma scaturente da un atto giuridico di livello nazionale (inclusa la Costituzione), proprio la seconda debba essere disapplicata in favore della prima. Solo così, infatti, è possibile garantire un'uniforme applicazione del diritto europeo sul territorio dell'Unione – e dunque anche un'uniforme tutela di ogni cittadino europeo, indipendentemente dallo Stato in cui risiede. Proprio queste esigenze hanno spinto la Corte di Giustizia dell'Unione a introdurre, attraverso la propria giurisprudenza (si pensi, in particolare, al caso Costa vs. Enel del 1964), il principio del primato. Quest'ultimo, infatti, non si trova enunciato formalmente all'interno dei Trattati, ma è riconosciuto come principio fondamentale del diritto comunitario dalla dichiarazione allegata al Trattato di Lisbona n. 17.

Le motivazioni della sentenza suonano quasi incredibili, se scandite ad alta voce. Riguardo all'art. 1 TUE, per esempio, il Tribunale Costituzionale ha stabilito che il suo primo e secondo paragrafo – che sanciscono l'istituzione tra le parti contraenti di un'Unione cui “gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni”, e che si vorrebbe progressivamente “sempre più stretta” – sono da ritenersi incompatibili con la Costituzione polacca se considerati in combinazione con l'art. 4.3, che introduce il principio della leale collaborazione tra l'Unione e gli Stati membri nell'adempimento degli obblighi derivanti dai Trattati. Il motivo? “L'Unione Europea [...] crea un'unione sempre più stretta tra i popoli europei, la cui integrazione – che si produce sulla base del diritto europeo e attraverso la sua interpretazione da parte della Corte di Giustizia dell'UE – è entrata in una nuova fase in cui: a) le autorità dell'Unione Europea agiscono al di fuori dell'ambito delle competenze loro conferite dalla Repubblica di Polonia nei Trattati; b) la Costituzione non è la legge suprema della Repubblica di Polonia; c) la Repubblica di Polonia non può funzionare come Stato sovrano e democratico. Simili posizioni non possono essere interpretate che come attacchi frontali all'Unione Europea (se non al progetto d'integrazione in sé), che rendono una ricomposizione della rottura intervenuta tra il Paese e le istituzioni europee sempre più difficile da immaginare.

È poi nella giustificazione del giudizio di incompatibilità con la Costituzione polacca dell'art. 19.1 TUE che si scorge (o almeno si intuisce) il reale motivo dell'appello di Morawiecki al Tribunale Costituzionale. L'art. 19.1 TUE (secondo paragrafo) incarica gli Stati membri di stabilire “i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell'Unione”. Secondo il Tribunale Costituzionale adito da Morawiecki, questa disposizione sarebbe in contrasto con la Costituzione polacca perché, sulla sua base agli organi giurisdizionali nazionali, sarebbe riconosciuta la facoltà di ignorare, in corso di giudizio, le disposizioni della Costituzione o di pronunciarsi sulla base di disposizioni non vincolanti, perché abrogate dal Sejm (la camera bassa del Parlamento polacco) e/o giudicate incostituzionali dal Tribunale Costituzionale. Non solo: in combinazione con l'art. 2 TUE, che enuncia i principi e i valori su cui poggia l'Unione Europea, l'art. 19.1 TUE fungerebbe da fondamento giuridico per il riconoscimento agli organi giurisdizionali nazionali della facoltà di esaminare la legalità della procedura di nomina di un giudice. Dunque, le autorità giudiziarie polacche avrebbero facoltà di sottoporre a scrutinio tanto la risoluzione del National Council of the Judiciary (il corrispettivo, si potrebbe dire, dell'italiano Consiglio Superiore della Magistratura) attraverso cui esso è tenuto, in base all'art. 179 della Costituzione polacca, a richiedere al Presidente della Repubblica la nomina di un giudice, quanto l'atto di nomina da questi siglato. In caso di irregolarità, avrebbero anche il potere di non riconoscere il giudice così nominato.

Pare che ad animare il giudizio espresso dal Tribunale Costituzionale sia la volontà politica di impedire che nel diritto dell'Unione possa essere individuato uno strumento di salvaguardia dell'indipendenza dei giudici polacchi. Aspetto che le riforme del sistema giudiziario implementate dal governo Morawiecki stanno gravemente compromettendo, come già attestato dalla Corte di Giustizia dell'UE con due sentenze del marzo e dell'ottobre 2021. A questo, a ben vedere, parrebbero essere finalizzati la dichiarazione di incompatibilità degli articoli summenzionati del TUE con la Costituzione del Paese e il sovvertimento del principio del primato del diritto dell'Unione.

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Irene Boggio

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