Il Tagikistan e la crisi del debito

  Articoli (Articles)
  Redazione
  03 febbraio 2021
  4 minuti, 42 secondi

Il Tagikistan ha richiesto di poter aderire al G20 Debt Service Suspension Initiative (DSSI), come molti altri Paesi in via di sviluppo, offerta dalla Banca Mondiale. Oltre al Tagikistan, anche gli altri Stati della regione dell’Asia Centrale hanno aderito all’iniziativa. L’obiettivo è quello di ammorbidire la crisi economica che non ha risparmiato Paesi che già prima non brillavano per le condizioni economiche. Il primo campanello di allarme ha suonato a settembre 2020 quando il debito esterno ha raggiunto la soglia psicologica del 40% del PIL, soglia raggiunta prima solo nel 2017 e subito lasciata grazie alla forte crescita del PIL. La fortuna del Tagikistan, se così si può dire, è che il 60% del debito è stato contratto con prestiti bilaterali, molto più semplici da rinegoziare e ristrutturare di quelli multilaterali.

Per capire l’impatto del Covid-19 bisogna prima fare una breve considerazione sullo status dell’economia nazionale in tempi normali, pre-pandemia. Il Tagikistan ha un PIL che si aggira sugli 8 miliardi di dollari americani e la sua economia, fortemente influenzata dall’orografia del Paese, si basa soprattutto sul settore minerario e sull’estrazione di metalli, anche preziosi, che sono la principale voce delle esportazioni. Al contrario, le importazioni si concentrano su macchinari, petrolio raffinato, prodotti chimici, ossia prodotti ad alto valore aggiunto. Ciò rende l’immagine di un’economia poco complessa e poco articolata e che si limita alle attività estrattive. La fase di raffinazione non si svolge sul suolo nazionale, la catena dal valore si completa all’estero dal momento che mancano le capacità e le risorse necessarie. Insomma, il quadro generale è quello di un Paese povero con davanti a sé ancora molta strada per giungere al pieno sviluppo. Ciò comporta una particolare sensibilità non solo alla crisi di consumi interna, ma anche al calo dei consumi nei Paesi di destinazione.

A prima vista l’impatto della pandemia non sembra essere stato così negativo. Secondo la Banca Mondiale, nei primi nove mesi del 2020 la crescita è stata del 4.2%. Questa dato però deve essere confrontato con quello del 2019 del 7.2%. La crescita ha comunque subito un forte rallentamento che ha messo sotto pressione l’intera economia nazionale, che come abbiamo visto è strettamente dipendente dall’export. Secondo le stime della Banca Mondiale il PIL continuerà a crescere: +3.5% nel 2021 e +5.5% nel 2022. Ma il danno è stato fatto ed è stato tremendo. Il bilancio ha subito un fortissimo deficit a causa del Covid-19 e anche le rimesse degli emigrati, spesso occupati nei settori più esposti alla crisi, hanno subito un forte calo. Questo comporta una grave difficoltà nella bilancia dei pagamenti. Le rimesse permettono l’ingresso di valuta straniera di qualità che viene usata per sostenere le ingenti importazioni, che superano il 2.5 miliardi USD.

Subito la Cina ha acconsentito a sospendere i pagamenti. La decisione ha un peso non indifferente dal momento che Pechino detiene 1.2 miliardi di dollari dei 3.2 $ di debito totale del Paese tramite Eximbank. Ignota per adesso la nuova scadenza dei pagamenti, ma non sarà rimandata troppo a lungo: probabilmente i pagamenti dovranno riprendere entro il terzo trimestre del 2021. L’approccio morbido e gentile di Beijing è dovuto alla posizione geografica del Tagikistan, a cavallo del massiccio montuoso del Pamir, che divide lo Xinjiang dalle pianure del Turkmenistan fino al Mar Caspio, ricco di giacimenti petroliferi. Su questi ha posto gli occhi la Cina che ha già avviato i progetti di costruzione di un oleodotto: Line D. Rimane infatti il dubbio sulla ripresa economica data la provata inaffidabilità dei dati forniti dal governo di Dušanbe.

Altri creditori internazionali sono andati incontro al Paese. Il Fondo Monetario Internazionale ha ristrutturato i pagamenti fin da maggio 2019 per aiutare il Tagikistan a raggiungere i propri obiettivi di bilancia dei pagamenti. Oltre alla sospensione dei pagamenti, aiuti sono arrivati sotto forma di prestiti in particolare dalla Banca dello Sviluppo Eurasiatico su spinta di Russia e Kazakistan – questo è stato l’unico Paese dell’Asia Centrale a non aderire all’iniziatica della Banca Mondiale – per un totale di 50 milioni di dollari. Anche la Banca per lo Sviluppo Asiatico ha soccorso il Paese con un prestito a fondo perduto del valore di 105 milioni: questi soldi sono stati vincolati al sostegno del settore energetico, nello specifico al progetto della centrale idroelettrica di Roghun.

Nonostante le difficoltà economiche il governo ha deciso di procedere con la celebrazione dei trenta anni di indipendenza, che coincide con la festa dell’equinozio di primavera. Ciò porterà decine di migliaia di persone a riversarsi nella capitale e saranno "mantenute" per tutta la festa a spese dello Stato, senza contare il rischio di diffusione del virus. Le prospettive non sono rosee per il Tagikistan. Tre sono le possibilità: la più ottimista è che la ripresa economica sia abbastanza veloce da risollevare le sorti del debito. Le altre due sono pessimiste, ma secondo vari esperti, più probabili: il default e la trappola del debito. Con il primo, il Paese dichiara di non poter ripagare i debiti e di conseguenza deve svendere il proprio patrimonio dagli immobili alle risorse naturali e alle infrastrutture. La seconda, invece, comporta una situazione in cui il Paese, per ripagare parte o solo gli interessi sul debito esistente, contrae nuovo debito e così via fino a creare un circolo vizioso senza fine.

a cura di Lorenzo Bonaguro 

Condividi il post

L'Autore

Redazione

Categorie

Tag

Crisi