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Il Park Hotel e la rigida politica migratoria australiana

La politica migratoria dell’Australia si è, col passare degli anni, chiusa sempre di più. Qualcuno ricorderà la campagna “No Way“ che ha sconcertato il mondo intero poco meno di una decina di anni fa, o, più recentemente, avrà sentito le polemiche che hanno interessato il famoso tennista Novak Djokovic. Al di là del preoccupante negazionismo in tempo di COVID – da non sottovalutare –, è interessante notare come la politica migratoria e la vicenda di Djokovic siano più correlate che mai, con un punto fondamentale di interconnessione: il Park Hotel. Per comprendere meglio la situazione, analizziamo con ordine la posizione del governo australiano nei confronti dei flussi migratori.

Nel 2013, sotto il governo del conservatore Tony Abbott, nasce Sovereign Borders (OSB), un’operazione di protezione dei confini guidata dall’Australian Defence Force, finalizzata a fermare gli arrivi via mare in Australia di richiedenti asilo. Un’operazione che da subito ha implementato la politica di “tolleranza zero” nei confronti degli arrivi illegali. La campagna elettorale che precedette la vittoria di Abbott fu colma di promesse in ambito di protezione dei confini, assicurando ai cittadini che, attraverso una meticolosa operazione, avrebbe fermato gli arrivi. Così è stato: lanciò la Sovereign Borders e il ministro dell’Immigrazione venne rinominato ministro dell’Immigrazione e della Protezione delle Frontiere. In tempo di elezioni, le proposte politiche di Abbott si basarono su due fondamenti: il Regional Deterrence Framework (un quadro di deterrenza regionale, fattore chiave della OSB) e la campagna di comunicazione. Il programma RDF puntava a coinvolgere Paesi terzi (in particolar modo l’Indonesia) per impedire alle barche di richiedenti asilo di partire verso l’Australia. Tra le proposte che dovevano essere contenute nel programma di coinvolgimento della comunità indonesiana, ad esempio, troviamo campagne di sensibilizzazione con messaggio ben chiaro: il traffico di persone è un’attività criminale. Di conseguenza, sono stati stipulati dei programmi di riacquisto di barche, finalizzati a spingere, tramite incentivi, i proprietari di barche malridotte a venderle a funzionari governativi piuttosto che ai trafficanti (piano che è stato ridicolizzato e non ha registrato l’acquisto di una singola barca) ed è stato introdotto un sostegno economico per guardiani e custodi, i quali avrebbero dovuto fornire informazioni alla polizia nazionale indonesiana sul traffico di essere umani. Il governo australiano ha inoltre condotto una campagna di comunicazione piuttosto dispendiosa in termini monetari (solo nei primi cinque mesi del 2015 sono stati spesi oltre 750mila dollari australiani) per annunci tradotti in numerose lingue e diffusi su tutti i mezzi di comunicazione. I dati hanno reso chiaro che le promesse fatte in campagna elettorale sono state mantenute fin da subito: nella prima metà del 2014, soltanto una barca di migranti riuscì ad attraccare sulle coste australiane.

L’operazione Sovereign Borders è stata inoltre accompagnata dallo spot “No Way“: si tratta di un video della durata di un minuto scarso in cui si vede il comandante dell’operazione in divisa, Angus Campbell, che recita un messaggio ben chiaro, affermando che “il governo ha introdotto le misure per il controllo delle frontiere più dure di sempre, non faremo eccezioni; le regole si applicano a chiunque senza eccezioni: a famiglie, bambini, bambini non accompagnati, educati, qualificati; non farete dell’Australia la vostra casa“.


Il Park Hotel e il caso Djokovic

Il modello australiano, apprezzato e predicato da Salvini proprio quando in Italia affrontava il caso Diciotti, prevede sostanzialmente che i profughi vengano intercettati in mare e trasferiti su altre isole, in strutture molto simili al Park Hotel in cui ha soggiornato Djokovic. Quando entrano in queste strutture, i richiedenti asilo non sanno quando potranno uscire, e gli agenti governativi non si rivolgono a loro con il loro nome, ma con un codice. ANA020 è Mehdi Ali, arrivato in Australia dall’Iran a 15 anni, è stato rinchiuso otto anni senza l’ombra dei diritti fondamentali e per di più non era un migrante irregolare. Successivamente, il governo australiano ha accettato le prove che davano diritto ai documenti di Mehdi, sebbene non prima che passassero quegli otto anni.

Gli Australian Open 2022 si tengono dal 17 al 30 gennaio, e riuniscono in questo evento i migliori tennisti del mondo; tra di loro, la stella del tennis maschile Novak Djokovic, che non ha mai nascosto al pubblico la sua posizione negazionista nei confronti della pandemia. Già nel 2020 il tennista aveva scatenato polemiche quando, in una delle fasi più acute nella diffusione dei contagi da COVID, organizzò un torneo commerciale durante il quale gran parte dei partecipanti – e degli spettatori – contrasse il virus, Djokovic compreso. Per entrare nel Paese e partecipare agli Australian Open, il tennista avrebbe dovuto presentare una certificazione che accertasse la doppia vaccinazione. L’Australia, che come abbiamo visto ha una politica molto rigida in termini di ingressi alle frontiere nazionali e conta continue crescite di contagi, non permette di entrare nel Paese nemmeno a chi è stato positivo ed è guarito dal virus negli ultimi 6 mesi: le uniche eccezioni sono la presentazione di una documentazione medica valida che attesti la patologia che impedisca la vaccinazione, documentazione che viene analizzata e discussa da una squadra di medici; in alternativa, è obbligatorio fare 14 giorni di quarantena in hotel, sorte a cui è stato destinato anche Djokovic, la cui esenzione non è stata inizialmente considerata valida dal governo australiano e ha dovuto quindi alloggiare al Park Hotel, come tutti gli altri.

Il Park Hotel si trova a Melbourne e all’occhio sembra una struttura qualsiasi di altri tempi. Al suo interno, però, racchiude le storie di tantissime persone e famiglie che, per un motivo o per l’altro, sono entrate nell’hotel e non sono più potute uscirne. In Italia numerosi hotel sono stati adibiti all’isolamento per persone contagiate da COVID, e questa soluzione è stata sfruttata anche all’estero. In Australia diversi gestori, in tempo di crisi, hanno preferito reindirizzare l’utilizzo delle camere una volta riservate ai turisti per farle affittare al governo e rinchiudervi coloro che hanno sintomi da COVID o non sono vaccinati, così come anche tutte quelle persone che non hanno i documenti per poter circolare legalmente e cercano asilo. Il Park Hotel è proprio uno di questi.

Questo hotel ebbe un’eco mediatica già lo scorso anno, quando al suo interno scoppiò un focolaio e i contagi nella città aumentarono vertiginosamente. Le condizioni della struttura, d’altronde, hanno indubbiamente facilitato la diffusione del virus: nell’hotel le finestre si aprono di pochi centimetri, le pietanze servite non rispettano le norme igieniche, e non è consentito uscire dalla struttura (nemmeno in caso d’incendio, e ne sono scoppiati diversi solo il dicembre scorso).

In tempo di elezioni (in Australia si vota il prossimo maggio), le azioni dei politici vengono meticolosamente pesate dagli elettori: il primo ministro australiano Scott Morrison, all’inizio del caso Djokovic, aveva promesso che non sarebbe stata contemplata eccezione alcuna; ebbene, Novak Djokovic è stato la deroga che il governo australiano non contemplava: un tribunale di Melbourne ha accettato come valida l’esenzione medica del tennista, dandogli quindi diritto a un visto. L’opinione pubblica, forse già cosciente del probabile verdetto, nei giorni precedenti aveva già iniziato a farsi sentire, soprattutto vicino all’hotel in questione. A fomentare le proteste, una promessa che il premier aveva fatto ai cittadini: nel momento in cui la popolazione fosse stata vaccinata doppiamente per almeno il 70%, solo allora le persone rinchiuse sarebbero potute finalmente uscire, promessa che ovviamente, di fronte al caso Djokovic, si è sgretolata.


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  • L'Autore

    Chiara Calabria

    Chiara Calabria vive a Palazzolo sull'Oglio, in provincia di Brescia. Ha conseguito la laurea triennale in Scienze Linguistiche e Letterature Straniere, curriculum Esperto linguistico per le Relazioni Internazionali presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia.

    I suoi studi le hanno permesso di sviluppare un ampio interesse per le relazioni internazionali, la geopolitica e culture politiche. Al contempo ha potuto approfondire le competenze di lingue straniere, potenziate tramite il programma Erasmus a Tilburg, in Olanda.

    In Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autrice per l'area tematica Legge e Società.


    Chiara Calabria lives in Palazzolo sull'Oglio, a city in the province of Brescia. She obtained a Bachelor Degree in Linguistic Sciences and Foreign Literatures, curriculum International Relations Language Specialist at Catholic University of the Sacred Heart in Brescia.

    During her studies, she developed a strong interest for international relations, geopolitics and political cultures. She also had the chance to deepen her expertise in foreign languages, consolidated during an Exchange program in Tilburg, Netherlands.

    Within Mondo Internazionale, she is an Author for the thematic area of "Legge e Società".

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Dal Mondo Oceania Temi Società


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Australia Melbourne Park Hotel Novak Djokovic Australian Open Immigrazione

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