Nel mondo la popolazione indigena è pari a 300 milioni di individui, sparsi nelle diverse aree del pianeta. La maggior parte di questi vive nel continente latino-americano, tuttavia esiste anche una piccola comunità indigena in Europa: il popolo scandinavo dei Sami. I Sami sono nomadi dell’area limitrofa al circolo polare artico, vivono di pastorizia e di allevamento delle renne in condizioni climatiche proibitive. La loro esistenza, oggi, è a forte rischio, non soltanto per il cambiamento climatico, ma anche per le pressioni derivanti dagli interessi dei governi scandinavi e delle multinazionali che da sempre operano sul loro territorio. Questa situazione coinvolge maggiormente la comunità Sami residente in Finlandia, dove, diversamente dagli altri stati scandinavi, i Sami non sono titolari delle garanzie e dei diritti definiti dalla Convenzione ILO 169. A tal proposito, la Svezia e la Norvegia hanno riconosciuto ai Sami speciali diritti economici, garantiti dalla stessa convenzione. Al contrario, la Finlandia non ha alcuna intenzione di ratificare tale convenzione relativa ai diritti indigeni, confermando le preoccupazioni del popolo Sami di scomparire definitivamente. Tali preoccupazioni si sono accentuate a seguito delle recenti decisioni prese dalla Corte Suprema Finlandese in merito all'allargamento della composizione del parlamento Sami a 97 rappresentanti scelti da Helsinki, ma non condivisi dagli stessi Sami. Gli indigeni, infatti, si ritengono violati nel loro diritto di autodeterminazione e nel loro diritto ad essere consultati in merito alle decisioni relative al loro territorio. Un principio, questo, che sembra richiamare il concetto del consenso previo ed informato, al centro di diverse sentenze di fronte alla Corte Interamericana dei Diritti Umani. Queste sentenze, molto comuni nel continente latinoamericano, costituiscono una rarità per quello europeo e fanno riferimento a un tema controverso, sul quale si sono espressi diversi organi internazionali. La Convenzione ILO 169, ad oggi, è stata ratificata solo da pochi stati nel mondo. Questa, che dovrebbe essere uno strumento vincolante in materia di protezione dei diritti umani, rimane oggetto di raccomandazioni e pareri degli organismi internazionali per la tutela dei diritti umani. Tali organi, pur svolgendo un ruolo ispettivo sulle violazioni, non emettono sentenze vincolanti e, pertanto, non obbligano gli stati coinvolti nel rispetto di tali diritti. Emblematico è il caso del Suriname, stato membro del sistema dell’Organizzazione degli Stati Americani, che ha deciso di non ratificare tale convenzione, aprendo il paese agli investimenti della compagnia cinese Jin Shen, favorendo, così, l’attività di disboscamento e costringendo parte della popolazione indigena Saramaka ad emigrare verso altre terre. I Saramaka, sentendosi violati nel loro diritto di autodeterminazione, hanno deciso di intentare una causa contro il Suriname di fronte agli organi OSA.
Il processo si è concluso con una sconfitta dello stato surinamese che ha subito la condanna, in ultima istanza, della Corte Interamericana dei Diritti Umani per le continue violazioni dei diritti indigeni garantiti dalla Convenzione ILO 169. Non essendo tale condanna vincolante, il governo surinamese di Panamaribo continua imperterrito a non rispettare tale Convenzione e le relative tutele, mantenendo il Domain Land Act, atto promulgato nel 1982 e che sancisce l’intera titolarità statale sul demanio pubblico. Il Suriname, infatti, è l’unico stato dell’America Latina a non aver concesso terre alle popolazioni indigene. La loro condizione sembra essersi aggravata anche alla luce delle concessioni minerarie effettuate dal governo surinamese al Brasile. L’Unione Europea ha sostenuto la causa dei Saramaka attraverso la premiazione dell’associazione dei capi villaggio dei Saramaka, che aveva iniziato la causa nei confronti del governo del Suriname. Analogamente, nel caso del popolo Sami, l’Unione Europea ha appoggiato le rivendicazioni del popolo indigeno, chiedendo al nuovo governo finlandese di rivedere le proprie posizioni in merito alla questione. Sami e Saramaka, pur essendo geograficamente così distanti, sono quindi accomunati da un medesimo destino, in quanto le loro terre ancestrali sono date in concessione a multinazionali interessate solo allo sfruttamento di tali aree. Le politiche economiche del Suriname e della Finlandia sono del tutto analoghe, mostrando uno scarso interesse verso il settore primario, a scapito di un terziario fortemente sviluppato ed in mano a multinazionali, come la Nokia in Finlandia e l’Alcoa in Suriname.
Con il caso dei Sami, per la prima volta, la questione indigena entra nello scenario europeo e nella sua agenda politica.
A cura di Domenico Barbato
Redazione