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Il diritto di essere dimenticato

Provate ad immaginarvi tra cinque o dieci anni seduti davanti alla scrivania del responsabile delle risorse umane dell’azienda per cui avete sempre sognato di lavorare, il colloquio è andato bene, avete tutti i requisiti che l’azienda cerca, avete superato anche il colloquio in lingua straniera quando sempre lo stesso responsabile delle risorse umane, che è anche responsabile per il vostro futuro, vi dice che siete bravi e che vi richiameranno di sicuro. Tornate a casa e ricevete la fatidica chiamata, solo che invece che dirvi che siete stati presi, venite scartati e quando chiedete perché loro vi rispondono che hanno trovato notizie e foto risalenti ai vostri anni di gioventù spensierata e continua giustificando, che loro cercano una persona più professionale e voi che avete visto buttare all’aria il colloquio della vostra vita pensavate di avere cancellato quelle foto dal vostro profilo internet…. Ma giriamo la medaglia, ora siamo noi a digitare il nostro nome sul motore di ricerca Google anche solo per vedere cosa si potrebbe trovare.

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Questo è quello che è effettivamente successo al Sig.Mario Costeja Gonzàle. I fatti risalgono al 1998 quando in Spagna quest’uomo veniva citato da un quotidiano della sua zona “La Vanguardia”, in due annunci per la vendita all’asta di proprietà sequestrate al Sig. Gonzàle a causa dei debiti. Anni dopo egli scrivendo così per curiosità come spesso capita di fare a tutti, il suo nome sul motore di ricerca Google, con grande sorpresa, ritrova quegli annunci di molti anni prima perché il quotidiano che li aveva pubblicati anche sulla sua pagina di Internet, aveva pubblicato anche il nome e il cognome della persona interessata. Siamo nel 2009 e Gonzàle scrive al quotidiano “La Vanguardia” per chiedere la rimozione dei suoi dati personali da Internet ma riceve una risposta negativa giustificata dal fatto che gli annunci erano stati voluti dal Ministero del Lavoro spagnolo per fare pubblicità all’asta. Inizia così l’odissea dell’uomo che scrive anche a Google Spain alla quale però fa capo Google Inc. con sede in California. Anche questo senza successo decide quindi di fare ricorso al Tribunale nazionale di Spagna arrivando fino alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che deve così pronunciarsi in merito all’interpretazione della direttiva europea 95/46/CE relativa al trattamento dei dati personali degli utenti. Arrivare alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stato di grande importanza poiché questa sentenza serviva a chiarire vari punti riguardanti la tutela dei diritti internazionali e primo per tutti il diritto alla privacy. La sentenza della Corte Europea è stata formulata nel maggio del 2014 e afferma due cose: per prima cosa nonostante Google Spain sia solo una filiale di Google è allo stesso modo colpevole poiché rappresenta in ogni caso Google in un Paese dell’UE. La Corte di Giustizia ha stabilito quindi, che è sufficiente avere una sede di rappresentanza in un Paese Europeo affinché tutti i grandi siti web siano soggetti alla legislazione del Paese del caso preciso per ciò che riguarda la materia di protezione dei dati personali. Inoltre la sentenza non ha precedenti nella storia poiché afferma la nascita e l’importanza del Diritto all’oblio, ovvero la richiesta di poter sparire da Internet richiedendolo direttamente al motore di ricerca.

Ma il caso Google Spain non è il solo, è balzata alle cronache infatti la battaglia di un attivista austriaco impegnatosi per difendere il diritto alla privacy di tutti nei confronti del motore di ricerca ma questa volta in Austria. L’idea nasce quando anni fa, Max Schrems passa un periodo di studio nell’Università di Santa Clara ubicata proprio nella patria di Facebook, la Silicon Valley. Durante un seminario tenutosi dall’avvocato della compagnia Facebook, egli si rende conto di quanto poco gli americani conoscano la legislazione europea riguardante la Privacy e di come il Gigante dei Social network custodisca informazioni di utenti privati anche dopo la loro disconnessione per sempre da Facebook. Tornato in Austria decide di formare un gruppo di attivisti chiamato “Europe VS. Facebook” pubblicando allo stesso tempo, tutti i risultati delle sue ricerche online. Il lavoro di Schrems ha attirato l’attenzione del Direttore europeo per la privacy di Facebook e delle stesse Istituzioni europee. L’attivista infatti denunciava il fatto che nonostante esista effettivamente un accordo fra Stati Uniti e Europa, il “Safe Harbor”, riguardante il trasferimento delle informazioni personali da un Continente ad un altro esso viene violato continuamente e a riprova di ciò che Schrems affermava, uscirono, nello stesso periodo le affermazioni di Edward Snowden che anch’egli dichiarava la colpevolezza degli Stati Uniti a “frugare nei panni sporchi ma anche in quelli puliti di tutti”. La sentenza della Corte europea riguardante il Caso Schrems ha posto ulteriori limiti oltre a quelli del Patto Safe Harbor per ciò che riguarda il trattamento dei dati degli utenti europei, infatti la legislazione per questa materia ora deve essere creata dai singoli Stati.

Ci sono molte persone anche in Italia che hanno visto andare in fumo le loro carriere e i loro lavori per la mania di pubblicare qualsiasi cosa sui Social Network come è il caso del comandante della polizia locale di Biassono (MB) che pubblicando una foto su Facebook con indosso una divisa delle SS e con l’affermazione :“basterebbe una compagnia di questi per sistemare alcune cose” ha perso il lavoro ed ha scatenato le reazioni della rete portando alla rimozione immediata della foto. Altro caso balzato alle cronache e per il quale è stata chiesta anche un’interrogazione parlamentare per apologia al fascismo e razzismo, è quello della professoressa in provincia di Venezia che sempre su Facebook si è lasciata andare a commenti pesanti su immigrati e profughi sperando che “bruciassero e morissero tutti” e che secondo lei: “sarebbe meglio eliminare tutti i bambini musulmani perché poi diventeranno tutti delinquenti”. Insomma ai tempi di oggi bisogna stare attenti a quel che si dice direttamente e soprattutto a quel che si dichiara sui Social Network, specchio ormai delle nostre personalità e vite private.


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