background

Il diritto all'aborto - Parte I

La storia del diritto all'aborto negli Stati Uniti

A cura di Greta Thierry e Giorgio Giardino


Il 24 Giugno 2022, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha posto fine alla tutela del diritto all’aborto, protetto a livello federale dalla sentenza Roe v. Wade fin dal 1973.

Il 22 Gennaio 1973, infatti, con la sentenza della Corte Suprema Roe v. Wade, l’aborto passò dall’essere vietato da metà degli Stati – e severamente limitato in quasi tutti gli altri – all’essere riconosciuto quale diritto in tutti gli Stati Uniti.

Come si è arrivati a tale fondamentale risultato e al triste sviluppo del mese scorso?

Uno sguardo alla storia dell’interruzione di gravidanza negli USA.

Nel 1916, in un periodo storico in cui negli Stati Uniti - così come pressoché in tutto il resto del mondo - lavoro produttivo e riproduttivo erano ben separati e visti come il compito, o addirittura l’obiettivo, rispettivamente degli uomini e delle donne, Margaret Sanger aprì insieme alla sorella Ethel Byrne la prima clinica specializzata in contraccezione e informazione sulla salute riproduttiva negli Stati Uniti. Il dibattito che seguì, sul ruolo delle donne – o meglio, il ruolo imposto alle donne – e sulla loro autonomia, nelle scelte e rispetto al proprio corpo, sarebbe durato fino ai giorni nostri.

Facendo un salto in avanti di alcuni decenni - non certo privi di battaglie per una maggiore libertà delle donne nella società americana - si arriva agli anni ’60: gli Stati Uniti sono testimoni – dalla East alla West-coast, da Nord a Sud – della seconda ondata del femminismo americano. Raggiunto l’obiettivo del diritto di voto con il XIX Emendamento alla Costituzione nel primo dopo-guerra, la prima ondata, quella caratterizzata dalle lotte delle suffragists, si spense per lasciare spazio a nuovi movimenti e a nuovi obiettivi. Tra gli anni ’60 e ’70, gli Stati Uniti vissero come mai prima le battaglie del movimento femminista – e quelle del movimento anti-femminista: proteste, manifestazioni e assemblee locali e nazionali, per chiedere leggi, tutele, diritti, autonomie, nonché – e anzi, soprattutto – per mettere un punto fine alla limitata e rigida visione della donna solo come moglie e madre. La ribellione nei confronti di un tale ruolo imposto, passò anche e soprattutto, attraverso la lotta per il diritto all’aborto.

Una lotta che condusse a risultati fondamentali, e allo stesso tempo ad una profonda frattura nella società americana. Gli anni ’70 divennero di fatto il decennio della divisione rispetto ai diritti delle donne, all’uguaglianza e ai valori familiari, tanto che le battaglie per il riconoscimento del Equal Rights Amendment (la proposta di emendamento che riconoscerebbe l’uguaglianza tra uomo e donna a livello costituzionale – perché sì, nella Costituzione americana non è ancora presente questo riconoscimento – e pertanto l’incostituzionalità di qualsiasi discriminazione sulla base del sesso o del genere) e per i diritti riproduttivi, diedero origine ad una frattura che non si vedeva nella società americana dai tempi del dibattito sulla schiavitù.

Si arriva dunque al 1973 e ad una delle più importanti decisioni della Corte Suprema per quanto concerne i diritti e le libertà delle donne: Roe v. Wade.

Nel 1970, Jane Roe – nome fittizio utilizzato per proteggere l’identità della querelante – intentò una causa contro il procuratore distrettuale della contea di Dallas, Henry Wade, per sfidare una legge texana che stabiliva l’illegalità dell’aborto, tranne che nel caso di rischio per la salute fisica della gestante. La Corte Suprema, al tempo composta nella sua interezza da uomini, riconobbe la legge texana come incostituzionale. La sentenza non si basò su principi di uguaglianza, autonomia o libertà, piuttosto sul diritto alla privacy. Infatti, basandosi sul precedente di Griswold v. Connecticut, la Corte riconobbe il diritto alla privacy – considerato inerente alla clausola del giusto processo del XIV Emendamento – e di conseguenza il diritto di una donna di abortire senza intrusioni da parte del governo statale o federale.

Lo stesso giorno, la Corte Suprema ribaltò anche un’altra legge sull’aborto, quella in vigore al tempo in Georgia, con il caso Doe v. Bolton. Il principio alla base della sentenza fu lo stesso: il diritto all’aborto ricade sotto il diritto alla privacy.

Il 22 Gennaio 1973, quindi, l’aborto venne riconosciuto quale diritto costituzionale e la sentenza stabilì l’impossibilità per i singoli stati di vietare l’accesso all’interruzione di gravidanza prima della vitalità fetale.

Il dibattito tuttavia non si placò, anzi. Roe v. Wade rappresentò un fondamentale passo in avanti, una piccola-grande rivoluzione, un incredibile risultato nella lotta per la libertà e l’uguaglianza delle donne americane; al tempo stesso essa rappresentò il punto di frattura, una delle principali ragioni della polarizzazione politica americana.

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da continui scontri sul tema che, insieme a quello delle armi, è divenuto di fatto il punto di divisione maggiore tra i partiti e, in generale, nella società americana. Ne sono chiari esempi le frequenti manifestazioni pro-life e pro-choice, e gli scontri politici.

Il persistere negli Stati Uniti di una profonda disuguaglianza di genere, pertanto il mancato riconoscimento costituzionale di eguali diritti e libertà per le donne, ha reso l’accesso all’aborto sempre più complesso, visto che, nonostante la sentenza Roe v. Wade, numerosi Stati hanno promulgato leggi con drastiche restrizioni, come nei casi di Mississipi, Missouri, Alabama e Texas.

Il Senate Bill 8 del Texas proibisce l’aborto dopo le prime sei settimane di gravidanza - prima ancora che la maggior parte delle donne si renda conto della gravidanza stessa – anche nei casi di stupro, incesto o anomalia letale del feto, e permette di – anzi, invita a – denunciare la donna che sceglie di interrompere la gravidanza e chiunque la aiuti.

La Alabama Human Life Protection Act, invece, permette l’aborto solo nei casi di anomalie letali del feto o seri rischi per la salute della donna, non considerando lo stupro o l’incesto come ragioni valide per l’accesso all’aborto. Tale legge – che prevede, inoltre, l’incriminazione del medico coinvolto in interruzioni di gravidanza per un reato di classe A, punibile con l’ergastolo (o la pena di morte) – potrebbe entrare in vigore da qui a poco.

La sentenza del 24 Giugno, infine, ha avuto origine in Mississippi. Il 19 Marzo 2018, infatti, il governatore repubblicano dello Stato nel profondo Sud, Phil Bryant, firmò la legge “per la salvezza dei bambini non ancora nati”, dichiarante l’illegalità dell’aborto dopo le 15 settimane di gravidanza (Roe v. Wade stabiliva il limite per vitalità fetale a 24 settimane).

La sentenza del 24 Giugno 2022: l’ennesimo limite alla libertà e ai diritti delle donne.

La Corte Suprema, composta dai giudici John Roberts, Clarence Thomas, Stephen Breyer, Samuel Alito, Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett, si è trovata a decidere sulla costituzionalità della legge del Mississippi, ascoltando le parti di Dobbs v. Jackson Women's Health Organization a Dicembre 2021 e emettendo la triste sentenza il 24 Giugno 2022. Roe v. Wade è stato ribaltato, il diritto costituzionale all’aborto cancellato.

Il rovesciamento di Roe v. Wade ha sancito di fatto la fine dell’aborto sicuro e legale in gran parte degli Stati Uniti, permettendo ai singoli Stati di regolare autonomamente il diritto all’interruzione di gravidanza.

Ad oggi, solo 14 Stati e il Distretto della Columbia hanno leggi che proteggono il diritto all’aborto: più della metà delle donne che potrebbero potenzialmente rimanere incinte vivono in Stati in cui l’aborto è illegale o severamente limitato.

Con la sentenza Dobbs, la Corte Suprema ha privato le donne americane della loro privacy, della possibilità di scegliere per sé stesse, di avere autonomia sul proprio corpo e sulla propria vita, di avere accesso a cure sicure. Le leggi anti-aborto, oltre a rappresentare l’ennesimo limite alla libertà e ai diritti delle donne, pertanto una questione di genere, sono fortemente discriminatorie per quanto concerne provenienza sociale, razza e situazione economica. Permettendo l’aborto legale e sicuro – di fatto – solo a chi ha le risorse necessarie per raggiungere le cliniche disponibili o un altro Stato, la sentenza Dobbs e gli abortion bans, discriminano le donne in generale, oltre alle donne e le famiglie con situazioni personali, sociali ed economiche critiche.

Nel prossimo articolo, per avere una panoramica sui diversi approcci rispetto al diritto all'aborto, verranno presentati altri tre casi: Italia, Colombia e Malta. 


Fonti per la redazione del presente articolo:

https://pixabay.com/it/photos/...

M. J. Spruill, Divided We Stand (2017)

J. Lepore, These Truths, A History of the United States (2018)

www.oyez.org/cases/1971/70-18

https://legiscan.com/AL/text/HB314/2019

https://www.oyez.org/cases/202...


Condividi il post

  • L'Autore

    Redazione

Categorie

Temi Diritti Umani


Tag

Diritti umani aborto Libertà Stati Uniti d'America

Potrebbero interessarti

Image

Framing The World, Numero XLX

Redazione
Image

Framing The World, XLVI numero

Redazione
Image

La Sars in Nigeria

Alice Stillone
Accedi al tuo account di Mondo Internazionale
Password dimenticata? Recuperala qui