Il conflitto del Tigray in Etiopia

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  Alice Stillone
  19 luglio 2021
  5 minuti, 3 secondi

Il Tigray è una regione della Repubblica federale democratica dell'Etiopia, situata a nord lungo il confine con l’Eritrea e abitata principalmente da persone di etnia tigrè e tigrina.

Il conflitto, che ha assunto una dimensione non solo sociale ma anche regionale, vede come principali protagonisti il governo di Addis Abeba con il suo primo ministro Abiy Ahmed, il Fronte popolare di liberazione del Tigrè (TPLF) - di ispirazione marxista e socialista e membro della coalizione del Fronte Democratico Rivoluzionario del popolo etiope - e, infine, il governo dittatoriale eritreo di Isaias Afewerki, alleato dell’Etiopia.

Nel 2018, l’ascesa di Abiy Ahmed aveva acceso le speranze per un cambiamento principalmente testimoniato dalle riforme profonde e dal raggiungimento della pace con la vicina Eritrea, con la quale l’Etiopia era in un conflitto ventennale (per l’accordo raggiunto, infatti, il primo ministro venne insignito del premio Nobel per la pace nel 2019). Tuttavia, egli non riuscì a placare le tensioni tra le diverse comunità etniche che si riaccesero ben presto, specialmente riguardo gli abitanti del Tigray.

Il 2 novembre 2020 l’Eritrea, in accordo con il governo di Addis Abeba, ha lanciato un’offensiva nei territori del Tigray occupando una vasta fascia di territorio, dal centro abitato di Humera sino alla città di Adigrat, dando di fatto inizio agli scontri.

Per comprendere l’origine del conflitto, è necessario tenere in considerazione il fatto che nel 2018 il TPLF ha rifiutato la prospettiva di un partito unico a livello nazionale proposta dal Primo Ministro Abiy. Quest’ultimo, in veste di premier, aveva avviato lo smantellamento del Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope per creare un nuovo movimento noto come il Partito della Prosperità.

La situazione peggiorò quando il primo ministro Abiy decise di rimandare le elezioni federali previste per l’agosto 2020 a causa della pandemia da Covid-19. Ciò fece scalpore perché tali elezioni avrebbero dovuto misurare la reale forza delle componenti etnico politiche dell’Etiopia, dopo l’arrivo del primo ministro attuale. A seguito di ciò pertanto il TPLF, contestando la presa di posizione del premier, decise, appellandosi all’autonomia regionale, di tenere comunque in settembre le elezioni per l’assemblea del Tigray, le quali diedero un risultato nettamente a favore del TPLF.

Il casus belli, che avrebbe poi causato la controffensiva da parte del governo federale supportato da quello eritreo, è stato l’attacco delle truppe del TPLF al comando dei reparti militari federali stanziati nel Tigray che avrebbe rappresentato, per il governo di Addis Abeba, la prova della volontà del TPLF di smantellare la nazione e dichiarare la secessione del Tigray dalla Federazione d'Etiopia.

Il conflitto che ne è derivato ha assunto pertanto i caratteri di una guerra civile, ma anche regionale, visto il coinvolgimento delle truppe eritree; per queste sue caratteristiche, ha un impatto umanitario molto significativo.

Il 27 novembre cadeva la capitale della regione (Macallè), la giunta del TPLF veniva sostituita con un’amministrazione ad interim e il primo ministro prometteva che la guerra si sarebbe conclusa in poche settimane senza che il Paese sprofondasse nel caos.

Nonostante le dichiarazioni del premier, la regione sta ancora oggi attraversando una crisi umanitaria enorme davanti all’incapacità della comunità internazionale di agire. Il conflitto ha provocato, infatti, lo sfollamento interno di migliaia di persone, la fuga di oltre 63 mila tigrini nelle regioni confinanti del Sudan Orientale, e l’ONU ha confermato che i militari stanno bloccando le vie di comunicazione per l’accesso alla regione, impedendo così la distribuzione di cibo e di aiuti umanitari.

Secondo quanto riportato da Save the Children, a causa del conflitto, l’Etiopia è caratterizzata da una grave emergenza umanitaria alla quale si sommano le conseguenze della pandemia da Covid-19.

Inoltre, ad aggravare ulteriormente la situazione concorrono lo strumento dello stupro come vera e propria arma di guerra e gli arresti ai danni dei giornalisti che riportano quanto sta accadendo.

Le violenze sessuali su donne e bambini, poiché si stanno consumando nella cornice di una totale inosservanza del diritto umanitario, sono considerati stupri etnici di massa che potrebbero dunque far pensare a un genocidio nei confronti della popolazione della regione.

Tuttavia, la fattispecie giuridica del genocidio, per essere riscontrata, necessita di essere composta da alcuni elementi che non è detto che siano presenti nella situazione del Tigray. Secondo la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948-art.2, per genocidio si intendono alcuni atti, elencati nell’articolo in questione, “commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Pertanto, per poter parlare di genocidio, bisognerebbe provare l’intenzionalità delle truppe federali e dell’Eritrea di eliminare la popolazione del Tigray in quanto gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.

Storicamente, dati gli strumenti fornitici dalla Convenzione, constatare l’avvenuto genocidio è un compito complesso per la Corte penale internazionale o per i più recenti tribunali ad hoc pertanto, prima di poter parlare di genocidio, è necessario provare l’esistenza dell’intenzionalità a commettere il suddetto crimine internazionale.

Indipendentemente dal fatto che la guerra in Etiopia contro la regione del Tigray sia aggravata dal crimine di genocidio o meno, è evidente che la crisi umanitaria derivata da tale conflitto abbia assunto caratteri molto preoccupanti.

Il CdS delle Nazioni Unite in data 22 aprile 2021, ha rilasciato una prima e tardiva dichiarazione sulla crisi del Tigray (Security Council press statement on Ethiopia) in cui esprime preoccupazione per la crisi umanitaria in corso, per le violazioni dei diritti umani (incluse le violenze sessuali ai danni di donne e bambine), e infine auspica il rispetto del diritto internazionale e, più specificatamente, dei diritti umani.

Evidentemente, ciò non basta a porre fine alla crisi umanitaria in corso nella regione dell’Etiopia e, pertanto, auspichiamo un maggiore e più incisivo coinvolgimento delle Nazioni Unite nella risoluzione della crisi.

Fonti utilizzate per il presente articolo:

-Security Council Press Statement on Ethiopia. SC/14501, 22 APRIL 2021.

-Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948-ONU.

- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/etiopia-tigray-la-guerra-che-il-mondo-non-vuole-vedere-30457

- https://www.leurispes.it/il-conflitto-del-tigrai-e-una-guerra-civile-e-regionale-che-rischia-di-estendersi/

- https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/etiopia-la-dimensione-regionale-del-conflitto-tigray-28291

- https://www.savethechildren.it/blog-notizie/etiopia-il-conflitto-tigray-e-la-situazione-oggi

- https://www.corriere.it/sette/editoriali/21_luglio_02/popolazione-tigray-fugge-perde-tutto-rischia-fame-c-qualcosa-che-io-posso-fare-adf3ac30-d8fc-11eb-8266-a744dc7bc2d8.shtml?fbclid=IwAR2yaTH5z5kQKgUvMgFkOyLG4oP0ox6qkDswnGcinUnK5b5m6F7akXSdrqw

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