Il cibo in una visione antropologica

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  Redazione
  20 febbraio 2019
  2 minuti, 34 secondi

Il cibo non è qualcosa di “naturale” e basta, ma quello che arriva sul piatto è frutto di una trasformazione culturale.

Le varie culture sono diverse anche per il cibo e la cucina, due elementi molto importanti per caratterizzare un popolo e le relazioni esistenti in esso, in quanto le relazioni tra le persone cambiano quando condividono il cibo.

Un esempio può essere rappresentato dal rituale di corteggiamento, in cui si invita una persona a cena a lume di candela: è più impegnativo di un caffè e quindi è più difficile retrocedere.

L’uso che facciamo dei cibi e delle bevande non dipende solo da regole convenzionali, ognuno attribuisce un significato diverso ad un particolare alimento in un determinato contesto.

Ad esempio i cibi solidi, rispetto ai liquidi, entrano in gioco in relazioni più solide ed impegnative.

Oppure la costruzione di relazioni può ruotare attorno al gesto del dono nel momento in cui si offre un determinato alimento.

È così che il cibo diventa espressione, cioè è uno dei linguaggi principali con cui noi parliamo di noi stessi.

Si pensi ad esempio all’espressione “mangiare con gli occhi”; il linguaggio sessuale fa spesso riferimento al cibo.

Oppure la celebre frase “noi siamo quello che mangiamo”, indica il fatto che ciò che mangiamo ci distingue dagli altri.

Nel corso del tempo le abitudini cambiano, si evolvono, e la società moderna è più sregolata rispetto al passato.

Un tempo la tavola era il luogo dove la famiglia si riuniva e si mangiava primo e secondo rigorosamente.

Ad oggi, ognuno mangia individualmente e quindi le relazioni alimentari sono meno ritualizzate. Entrano in gioco più fluidi e così anche le relazioni sociali sono più libere (meno matrimoni, ci si lascia ripetutamente).

Un tempo il cibo era prodotto in casa e tutta la famiglia era occupata nella sua produzione. Ora il cibo è un prodotto di altri. Mangiare diventa un’attività del tempo libero, in cui si cucina per piacere e non per necessità.

Per quanto riguarda il gusto, i condizionamenti iniziano nella vita intrauterina. Esso è legato ad una componente biologica: i dolci sono amati perché apportano energia, mentre l’amaro spesso è evitato perché si associa ad un qualcosa di pericoloso.

Le culture però rimodellano questi meccanismi innati e li fanno propri, come se attraverso il cibo si identificassero (ad esempio in Nigeria si servono salse amare all’ospite sgradito per farglielo capire).

La relazione che abbiamo con il cibo non è di tipo ideologico ma comportamentale, di attrazione o repulsione. In nessuna cultura gli esseri umani mangiano tutto ciò che è commestibile e gli antropologi cercano proprio di capire perché un cibo diventa tale.

Niente nella nostra società nasce come cibo ma lo diventa, per scelta o per cultura.

A cura di Maria Parisi

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Salute e Benessere

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Food