Il caso Khashoggi: fine della partita?

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  Matteo Gabutti
  25 aprile 2022
  7 minuti, 42 secondi

Lo scorso 7 aprile, la corte turca impegnata nel processo in contumacia di 26 imputati in relazione alla scomparsa di Jamal Khashoggi ha deliberato di sospendere il caso, e di trasferirlo in Arabia Saudita. Il gesto s’inserisce nel più ampio piano di riavvicinamento tra Ankara e Riad, ma rischia seriamente di precludere un verdetto che renda giustizia alla vicenda. Khashoggi era probabilmente il più celebre giornalista del mondo arabo. Essendo divenuto molto critico nei confronti del principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, per sicurezza personale era stato costretto a lasciare il Paese per gli Stati Uniti, prima, e la Turchia, poi, lavorando per il Washington Post. Nel 2018, è sparito per sempre dopo essersi recato al consolato saudita di Istanbul, attirando lo sdegno internazionale sul governo di Riad, sospettato di essere il mandante di un omicidio malamente insabbiato.



Una misteriosa scomparsa

Il 2 ottobre 2018, Jamal Khashoggi si reca all’ufficio consolare saudita di Istanbul accompagnato dalla propria fidanzata, Hatice Cengiz, per ritirare un documento necessario per sposarla. Prima di entrare la rassicura che niente di male potrà accadergli, ma in ogni caso la intima a chiamare un consulente del Presidente Erdogan qualora non faccia ritorno. Lei rimane ad attenderlo per più di dieci ore, per poi ritornare al consolato il mattino seguente. Nessuno vede uscire dall’edificio sulle proprie gambe il giornalista saudita, il cui corpo, ad oggi, non è ancora stato rinvenuto.

Come prima reazione l’Arabia Saudita decide di negare tutto, dichiarando che Khashoggi abbia lasciato il consolato in pochi minuti. Questa versione, tuttavia, non regge a lungo, e già dal 20 ottobre il Regno saudita deve cambiarla descrivendo la faccenda come un’operazione clandestina, risultata accidentalmente nell’omicidio di Khashoggi, e di cui il principe Mohammad era all’oscuro.

Indagini e processi

Questa è la narrativa sostenuta ad oltranza dal pubblico ministero saudita nel corso del processo celebrato a porte chiuse nei confronti di undici ignoti individui a Riad. Il verdetto, pronunciato a dicembre 2019, condannava a morte cinque imputati per aver commesso e partecipato direttamente all’omicidio, ed al carcere altri tre per averlo coperto. In seguito al perdono del figlio di Khashoggi, la pena capitale venne commutata in anni di prigionia, ma a settembre 2020 i nomi degli otto condannati non sono ancora stati resi noti, e non vi sono prove che le pene siano state implementate. Human Rights Watch ha denunciato l’insufficienza del processo di fronte agli standard internazionali, mentre la dottoressa Cengiz lo ha definito una “totale parodia della giustizia.”

D’altro canto, la Turchia ha avuto una reazione diametralmente opposta. Già a fine ottobre 2018, infatti, il procuratore generale di Istanbul dichiarava che Khashoggi era stato soffocato subito dopo aver varcato l’ingresso del consolato, per poi essere smembrato e fatto scomparire. Il Presidente Erdogan in persona si espose sul Washington Post, affermando che senza dubbio l’omicidio fosse stato non solo premeditato, ma addirittura ordinato dai più alti livelli del governo saudita. In seguito, nel luglio 2020, dopo il rifiuto di Riad ad estradare gli imputati, Istanbul divenne teatro di un processo in contumacia nei confronti di venti uomini – a cui se ne aggiungeranno altri sei –, inclusi Saad al-Qahtani e Ahmad Asiri, uomini vicini al principe Mohammad.

L’investigazione più autorevole ed imparziale, tuttavia, è quella condotta da Agnes Callamard, relatrice speciale delle Nazioni Unite, descritta in un report pubblicato a luglio 2019. Avendo avuto accesso alle registrazioni audio fornite dall’intelligence turca di quanto avvenuto nel consolato ­­­– senza però poterne fare una copia – la dottoressa Callamard concluse che quello di Khashoggi fosse “un omicidio extragiudiziale per il quale lo Stato dell’Arabia Saudita è responsabile.” Lo definì dunque come una violazione del diritto alla vita del giornalista consacrato nell’Art. 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, per di più in contravvenzione alla Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari, alla proibizione dell’uso extraterritoriale della forza in tempo di pace, e alla protezione della libertà d’espressione. Inoltre, denunciò il fatto che sia l’investigazione saudita sia quella turca non rispettassero gli standard internazionali, nonostante la risolutezza, almeno apparente, mostrata dalle autorità di Istanbul.

Tale risolutezza, infatti, si è drasticamente ridimensionata nell’ultimo periodo. Lo scorso mese, il pubblico ministero turco ha proposto di esaudire la richiesta saudita di trasferire il processo da Istanbul in Arabia, ed il Ministro della giustizia di Ankara ha acconsentito. Così, il 7 aprile, lo spostamento è avvenuto, nonostante le ferme proteste di gruppi di difesa dei diritti umani, della dottoressa Cengiz e dei suoi avvocati. Sebbene il trasferimento non comporti la rinuncia alla giurisdizione sul caso da parte della corte turca, che ufficialmente aspetterà di vedere le condanne saudite prima di abbandonarlo del tutto, questa mossa segnerà verosimilmente la fine del processo. Infatti, le autorità saudite hanno più volte fatto intendere che considerano il loro processo a porte chiuse come la parola conclusiva sulla vicenda.


Giustizia e Realpolitik

Se può sembrare illogico “consegnare l’agnello nelle mani del lupo,” nelle parole dell’avvocato Ali Ceylan, dobbiamo considerare che quella di Jamal Khashoggi non è mai stata una mera vicenda giudiziaria. La scomparsa del più importante giornalista arabo, assurta agli onori della cronaca internazionale come violazione esemplare della libertà di espressione, avvenuta in uno Stato pieno di contraddizioni, la Turchia, e che proietta ombre inquietanti su uno dei principali alleati statunitensi, l’Arabia Saudita, ha assunto fin da subito un valore intrinsecamente politico. E politica e strategica è stata anche la gestione del caso da parte di Istanbul.

Nel 2018, infatti, la Turchia considerava l’Arabia Saudita come un diretto rivale per la leadership nel mondo sunnita e nel Medio Oriente. La scomparsa di Khashoggi, dunque, rappresentava un’occasione unica per Erdogan per screditare il governo saudita ed incensare la Turchia, nonostante l’atteggiamento non integerrimo del Paese verso i diritti umani. Pertanto, non stupiscono i dettagli fatti trapelare dalle autorità turche per mettere pressione all’Arabia e mantenere il caso al centro dell’attenzione globale. Lo stesso Presidente dichiarò di aver condiviso con il Regno saudita, Francia, Germania, Regno Unito e Stati Uniti le registrazioni audio dell’uccisione del giornalista.

Con il tempo, tuttavia, l’attivismo giudiziario di Istanbul ha comportato delle ripercussioni economiche sul Paese. L’Arabia Saudita ed i suoi alleati arabi hanno infatti esercitato un boicottaggio non dichiarato nei confronti degli esportatori turchi. La recente crisi finanziaria e la conseguente svalutazione della lira turca hanno spinto Erdogan a cercare di riallacciare i rapporti con gli Al Saud. Così, l’anno scorso, il Ministro degli esteri turco ha visitato l’Arabia per la prima volta dalla scomparsa di Khashoggi, e un mese fa si sono compiuti i primi passi che hanno portato al trasferimento del processo a Riad. L’approvazione automatica delle decisioni del governo turco da parte della corte criminale di Istanbul - prova dell’asservimento del sistema giudiziario alle logiche della Realpolitik di Ankara - è stata fermamente condannata da Human Rights Watch. Secondo il suo vicedirettore per il Medio Oriente, Michael Page, questo gesto precluderà ogni possibilità di giustizia sul caso Khashoggi.

Fonti consultate per il presente articolo

Al Jazeera, ‘Turkey Eyes Jamal Khashoggi Murder Trial Move to Saudi Arabia’ (Al Jazeera1 April 2022) <https://www.aljazeera.com/news/2022/4/1/turkey-to-ok-khashoggi-murder-trials-move-to-saudi-arabia> accessed 14 September 2022

BBC, ‘Jamal Khashoggi: All You Need to Know about Saudi Journalist’s Death’ BBC News (11 December 2018) <https://www.bbc.com/news/world-europe-45812399> accessed 14 September 2022

Bucci L, ‘La Crisi Economica Turca: Problemi Strutturali E Scelte Non Convenzionali – OSMED’ (OSMED30 March 2022) <https://www.osmed.it/2022/03/30/la-crisi-economica-turca-problemi-strutturali-e-scelte-non-convenzionali/> accessed 14 September 2022

Fahim K and Karatas Z, ‘Turkish Court Transfers Khashoggi Murder Case to Saudi Arabia’ Washington Post (7 April 2022) <https://www.washingtonpost.com/world/2022/04/07/khashoggi-turkey-erdogan-mbs/> accessed 14 September 2022

Fahim K and Loveluck L, ‘Erdogan Says Order to Kill Khashoggi “Came from the Highest Levels of the Saudi Government.”’ Washington Post (2 November 2018) <https://www.washingtonpost.com/world/netanyahu-condemns-khashoggi-killing-ashorrendous-but-says-iran-is-the-bigger-threat/2018/11/02/fcb19f82-de02-11e8-8bac-bfe01fcdc3a6_story.html> accessed 14 September 2022

Human Rights Watch, ‘The High Cost of Change. Repression under Saudi Crown Prince Tarnishes Reforms’ (2019) <https://www.hrw.org/report/2019/11/04/high-cost-change/repression-under-saudi-crown-prince-tarnishes-reforms> accessed 14 September 2022

——, ‘Turkey’ (2022) <https://www.hrw.org/europe/central-asia/turkey> accessed 14 September 2022

——, ‘Turkey: Don’t Transfer Khashoggi Trial to Saudi Arabia’ (Human Rights Watch6 April 2022) <https://www.hrw.org/news/2022/04/06/turkey-dont-transfer-khashoggi-trial-saudi-arabia> accessed 14 September 2022

Morris L, Loveluck L and Mekhennen S, ‘Erdogan Says Audio of Khashoggi Killing Has Been given to U.S., Saudis, Europeans’ Washington Post (10 November 2018) <https://www.washingtonpost.com/world/tape-of-khashoggis-killing-has-been-given-to-us-saudi-europeans-erdogan-says/2018/11/10/bb21ab5e-e4e0-11e8-ab2c-b31dcd53ca6b_story.html> accessed 14 September 2022

Timur S and Hubbard B, ‘Turkey Transfers Khashoggi Murder Trial to Saudi Arabia’ The New York Times (7 April 2022) <https://www.nytimes.com/2022/04/07/world/middleeast/khashoggi-murder-trial-turkey-saudi-arabia.html> accessed 14 September 2022

United Nations, Human Rights Council and Special Rapporteur on Extrajudicial, Summary or Arbitrary Executions, ‘Investigation Of, Accountability for and Prevention of Intentional State Killings of Human Rights Defenders, Journalists and Prominent Dissidents ’: [2019] digitallibrary.un.org <https://digitallibrary.un.org/record/3853356> accessed 14 September 2022

Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari 1963

Patto internazionale sui diritti civili e politici 1996

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L'Autore

Matteo Gabutti

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Matteo Gabutti è uno studente classe 2000 originario della provincia di Torino. Nel capoluogo piemontese ha frequentato il Liceo classico Massimo D'Azeglio, per poi conseguire anche il diploma di scuola superiore statunitense presso la prestigiosa Phillips Academy di Andover (Massachusetts). Dopo aver conseguito la laurea in International Relations and Diplomatic Affairs presso l'Università di Bologna, al momento sta conseguendo il master in International Governance and Diplomacy offerto alla Paris School of International Affairs di SciencesPo. All'interno di Mondo Internazionale ricopre il ruolo di autore per l'area tematica Legge e Società, oltre a contribuire frequentemente alla stesura di articoli per il periodico geopolitico Kosmos.

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Matteo Gabutti is a graduate student born in 2000 in the province of Turin. In the Piedmont capital he has attended Liceo Massimo D'Azeglio, a secondary school specializing in classical studies, after which he also graduated from Phillips Academy Andover (MA), one of the most prestigious preparatory schools in the U.S. After his bachelor's in International Relations and Diplomatic Affairs at the University of Bologna, he is currently pursuing a master's in International Governance and Diplomacy at SciencesPo's Paris School of International Affairs. He works with Mondo Internazionale as an author for the thematic area of Law and Society, and he is a frequent contributor for the geopolitical journal Kosmos.

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