Il blocco alle indagini sui crimini di guerra in Yemen

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  Sara Scarano
  14 novembre 2021
  4 minuti, 31 secondi

A marzo 2022 saranno ufficialmente trascorsi sette anni dallo scoppio del conflitto che ha devastato lo Yemen, ma le sue radici scavano ancor più in profondità. Nel 2011, durante il periodo delle primavere arabe, una rivolta ha costretto il presidente di lunga data, Ali Abdullah Saleh, a cedere il potere al suo vice, Abdrabbuh Mansour Hadi. Una tale transizione politica avrebbe dovuto condurre il Paese alla stabilità, tuttavia la situazione precipitò velocemente: il nuovo presidente si trovò ad affrontare una moltitudine di problematiche, tra cui sempre più frequenti attacchi da parte delle forze militari fedeli all’ex leader Saleh, una crescente insicurezza alimentare, corruzione, disoccupazione ed una crisi economica dilagante.

La guerra civile iniziò nel 2014, quando gli Houthi, un gruppo di ribelli sciiti legati all’Iran, assunsero il controllo della capitale Sana’a ed iniziarono la conquista della parte sud del Paese, avanzando richieste di creazione di un nuovo governo ed abbassamento del prezzo della benzina. Nel marzo 2015 gli Houthi, unitisi alle forze di sicurezza fedeli all’ex leader Saleh, tentarono di assumere il controllo dell’intero Stato, spingendo il Presidente Hadi alla fuga e suscitando la reazione di una coalizione formata dagli stati sunniti del Golfo Persico guidati dall’Arabia Saudita. Con il supporto delle forze statunitensi, tale coalizione avviò una campagna di isolamento economico e raid aerei mirata ad abbattere la resistenza degli Houthi e restaurare il governo Hadi. Nel corso degli anni anche i militanti di al-Qaeda nella penisola arabica (AQAP) e l'affiliato locale del gruppo ad esso rivale, Stato islamico (IS), approfittarono dell'instabilità per compiere attacchi mortali, occasionalmente sottraendo al governo territori a sud.

Ad inizio 2021, il neoeletto presidente Biden ha annunciato la fine del supporto americano alle operazioni della coalizione saudita in Yemen, senza tuttavia specificare quale tipo di supporto – compresi trasferimenti di armi, di fondi ed il supporto logistico e di intelligence – andrà a cessare. Nel mentre, i combattimenti tra la coalizione ed i ribelli Houthi sostenuti dall'Iran continuano a danneggiare i civili, a guidare gli sfollamenti nella regione e a limitare l'aiuto umanitario.

L'intervento di potenze come l'Iran e gli stati del Golfo guidati dall'Arabia Saudita, nel conflitto, minaccia di trascinare il Paese in una più ampia divisione sunnita-sciita, mentre la crisi umanitaria si amplifica esponenzialmente con il passare degli anni. Le Nazioni Unite stimano che circa 131.000 delle 233.000 morti occorse dal 2015 siano il risultato di cause indirette come l'insicurezza alimentare e la mancanza di accesso ai servizi sanitari. Quattro milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle loro case e quasi il 71% della popolazione ha bisogno di una qualche forma di assistenza. Inoltre, cinque milioni di yemeniti sono a rischio di carestia e la popolazione è sempre più soggetta allo scoppio di epidemie quali colera e polio. Con solo la metà delle 3.500 strutture mediche del paese pienamente funzionanti e il 20% dei distretti senza medici, quasi 20 milioni di persone non hanno accesso a un’adeguata assistenza sanitaria e la situazione è resa ancor più disperata dal dilagare della pandemia. Il governo aveva registrato 9.800 casi confermati e 1.880 decessi a fine ottobre 2021, ma si ritiene che le cifre effettive siano molto più alte a causa dei test limitati, dei ritardi nella ricerca di cure e dell'incapacità degli Houthi di segnalare casi e morti nelle aree sotto il loro controllo da maggio 2020.

Alla luce degli eventi, numerosi esperti delle Nazioni Unite hanno ripetutamente affermato che tutte le parti del conflitto hanno, in qualche modo, violato i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Tuttavia, risale al 7 ottobre 2021 la decisione da parte del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite di non rinnovare il mandato di monitoraggio del Gruppo di eminenti esperti sullo Yemen (GEE), l'unico meccanismo internazionale per esaminare le violazioni dei diritti umani e altre atrocità commesse nello Yemen.

A seguito di una votazione di 21 paesi contrari e 18 favorevoli – con 7 astenuti e l’assenza dell’Ucraina –, il Consiglio pone fine al mandato dei suoi investigatori indipendenti per la prosecuzione, per altri due anni, dell’indagine sui crimini di guerra commessi dalle parti coinvolte nel conflitto. Proprio pochi giorni prima, Mwatana for Human Rights, organizzazione yemenita indipendente, aveva rilasciato una dichiarazione chiedendo alle Nazioni Unite di non abbandonare il popolo yemenita e di consentire che il mandato venisse esteso per altri due anni. L’organizzazione ha anche aspramente accusato l'Arabia Saudita e i suoi alleati di aver aumentato gli sforzi di lobbying nelle capitali di tutto il mondo nel tentativo di minare il sostegno alla risoluzione. Lo stesso giorno delle votazioni, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet ha esplicitato che “lo Yemen rimane la peggiore crisi umanitaria del mondo, con oltre 20 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria e protezione, più di 12 milioni di loro in grave stato di necessità”, denunciando come, in questo modo, “le parti in conflitto continuano a commettere esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie, torture, reclutamento di minori e sfollamenti forzati, tra le altre violazioni e abusi dei diritti umani internazionali e del diritto umanitario”.

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Sara Scarano

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