I Tatari di Crimea

Cenni storici su una minoranza in lotta per la propria terra

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  Michela Rivellino
  06 dicembre 2021
  5 minuti, 53 secondi

A seguito dell’occupazione della Crimea da parte della Federazione Russa nel 2014, i riflettori del mondo hanno evidenziato una serie di violazioni contro la piccola comunità dei Tartari di Crimea, minoranza autoctona della penisola, caratterizzate principalmente da arresti illeciti, soppressione della libertà di stampa ed altre forme di repressione perpetrate dalle autorità russe. Prima di discutere della politica aggressiva adottata dalla Russia in Crimea e delle ripetute violazioni esercitate contro i tartari di Crimea, argomenti che verranno approfonditi in un secondo articolo, è bene fare un passo indietro e comprendere le origini e la storia di questa piccola comunità.

I Tatari (o Tartari) di Crimea, rappresentano la comunità autoctona della penisola, situata sul Mar Nero a sud dell’Ucraina. Ad oggi, i Tatari sono poco più di 200.000 e occupano il 12% della popolazione totale, prevalentemente russofona. La popolazione dei Tatari è il risultato dell’incontro di numerosi popoli che si stanziarono in Crimea in diverse epoche, tra cui Tauri, Sciti, Greci, Romani, Circassi, Turchi e Mongoli. Furono proprio questi ultimi due popoli però, a determinare il consolidamento dell’identità dei Tatari di Crimea.

Nel XIII secolo, la Crimea entrò a far parte del grande possedimento mongolo conosciuto come Orda d’Oro, insieme a Kazakistan, Ucraina e gran parte della Russia centrale e meridionale. Tutti gli abitanti dell’Orda d’Oro vennero presto denominati Tatari, sia quelli di origine mongola, che quelli appartenenti alle tribù conquistate, designando così una popolazione incredibilmente ampia ed eterogenea. Nel corso del XV secolo e in concomitanza con i primi segni di disgregazione dell’Orda d’Oro, la dinastia dei Giray, discendente di Gengis Khan, diede vita al Khanato di Crimea, un grande Stato concentratosi nella parte settentrionale del Mar Nero. Il Khanato di Crimea fu fortemente influenzato dall’Impero Ottomano, con il quale stabilì numerosi patti di alleanza e permise alla Crimea di vivere un periodo di forte stabilità e sicurezza. All’inizio del XVI secolo la presenza degli ottomani in Crimea si consolidò, specialmente lungo il territorio meridionale della penisola ove stabilirono una provincia ottomana, Eyalet of Kefe. Nonostante l’Impero Ottomano contribuisse significativamente alla prosperità e la sicurezza dei Tatari di Crimea, sarebbe sbagliato considerare questi ultimi alla totale dipendenza del Sultano. Al contrario, ai Tatari di Crimea erano concessi una serie di diritti e privilegi, nonché di libertà religiose, politiche e diplomatiche che permisero al Khanato di mantenere una significativa indipendenza e allo stesso tempo arricchirsi di multiple influenze culturali e politiche, quali la legge islamica, quella tatara e al contempo la divisione in clan familiari tipica del khanato tradizionale.

Tuttavia, l’inizio dell’espansione russa verso oriente causò l’indebolimento dell’Impero Ottomano e, conseguentemente, quello del Khanato di Crimea, che non riuscì ad affrontare autonomamente il più vasto rivale. Il processo culminò nel 1783, anno in cui l’Impero Ottomano fu definitivamente sconfitto e la Crimea annessa alla Russia. Da quel momento la Russia poté non solo sfruttare la Crimea per la sua posizione strategica dal punto di vista economico e militare, ma procedette inoltre con la colonizzazione della penisola, riducendo significativamente i diritti e le libertà di cui avevano a lungo goduto i Tatari. Questo processo coincise con l’inizio di un’epoca che i Tatari di Crimea definiscono “il secolo nero”, periodo durante il quale gran parte di essi, in maggioranza mussulmani turcofoni, abbandonarono la propria terra. Alla fine dell’Ottocento la politica russa nei confronti dei Tatari di Crimea si inasprì ulteriormente, specialmente a seguito della Guerra di Crimea che vide i Tatari costretti a combattere contro i loro storici alleati etnici e religiosi, appartenenti all’impero ottomano. La fine della Guerra di Crimea nel 1856 scatenò l’ennesima campagna di emigrazione tatara dal territorio, lasciando ancor più isolata e vulnerabile quella minoranza di popolazione tatara che scelse di rimanere nella penisola.

Il 1917 segnò la fine dell’impero zarista ma, non pose fine alla repressione dei Tatari di Crimea che, al contrario, dovettero scontare alcuni dei più duri soprusi. Approfittando del complesso e rivoluzionario periodo di transizione politica, che culminò nel 1922 con la creazione dell’URSS, i Tatari riuscirono a creare il primo movimento rivoluzionario, fondato dal partito nazionale Milli Firka che proclamò la creazione di uno Stato indipendente di Crimea, basato sul principio di autodeterminazione dei popoli, inizialmente promosso e riconosciuto dagli stessi bolscevichi. Nonostante fosse forte il desiderio dei Tatari di affermare la propria identità ed autonomia, il processo si rivelò presto irrealizzabile e nel 1921 fu istituita la Repubblica Socialista Sovietica Autonoma di Crimea. Negli anni tra il 1920 ed il 1930, Mosca riconobbe i Tatari di Crimea come popolazione indigena della Repubblica Autonoma, garantendo alla minoranza un margine di libertà culturali e riconoscendo inoltre la lingua tatara e quella russa come due lingue ufficiali. Tuttavia, il brusco cambio di rotta della politica sovietica si rivelò già dagli anni ’30, che videro, tra le molte etnie, la minoranza tatara ulteriormente decimata nel periodo conosciuto come le Grandi Purghe staliniane, caratterizzato da repressioni, deportazioni di massa, uccisioni, nonché un duro processo di russificazione forzata della cultura tatara. Il passaggio più controverso nella storia dei Tatari di Crimea però, coincide con la Seconda guerra mondiale, in particolare con l’invasione tedesca della Crimea nel 1941. Nella convinzione che i tedeschi di Hitler, decisi a rimuovere l’odiato regime sovietico, potessero rappresentare la liberazione per i Tatari di Crimea, essi intrapresero una collaborazione con il regime nazista. Fu sotto questa accusa che a partire dal 1944, tutta la popolazione tatara di Crimea, fu deportata in Uzbekistan. La maggior parte di essa non sopravvisse all’interno dei campi di prigionia, o durante gli interminabili viaggi a causa di malattie e carestie. Successivamente, nel 1954 e in occasione del trecentesimo anniversario dell’annessione ucraina a Mosca, quest’ultima decise di premiare la Repubblica Sovietica Ucraina donando ad essa la Crimea. Nonostante ciò, e a differenza di numerosi altri popoli, ai Tatari di Crimea non fu concesso il diritto di ritornare nella propria terra fino al 1989.

A seguito del crollo dell’Unione Sovietica, un referendum del 1991 determinò l’indipendenza dell’Ucraina e la Repubblica Autonoma di Crimea come parte dello stato ucraino. Nonostante il tanto desiderato riconoscimento dell’autonomia e dell’identità culturale dei tatari, i gravi eventi del XX secolo che li hanno visti protagonisti e vittime, hanno reso molto difficile il loro ritorno ad una reale stabilità. In questi ultimi anni i Tatari hanno infatti dovuto fronteggiare problemi di disoccupazione, disuguaglianza sociale e discriminazione. Ad aggravare questo scenario, dal 2014 la Crimea è diventata una regione russa, a seguito di un’occupazione non riconosciuta dall’intera comunità internazionale. Nel prossimo articolo si cercherà di discutere l’attuale delicata situazione che ha colpito, una volta ancora, la piccola comunità dei Tatari di Crimea.

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Michela Rivellino

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