I migranti di Lipa: una sconfitta umanitaria

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  Redazione
  07 marzo 2021
  4 minuti, 13 secondi

Ci troviamo a Bihac, città bosniaca situata nel cuore del parco nazionale Una, a 16 km dal confine con la Croazia. Dopo le atrocità delle guerre jugoslave, la comunità ha visto un progressivo aumento del turismo e una rinascita economica. Parallelamente si è visto però aumentare anche il numero dei migranti in questa città, provenienti per lo più da Afghanistan, Pakistan e Bangladesh, per i quali infatti il confine bosniaco-croato è uno dei più recenti gateaways per raggiungere l’Europa: nel 2019 si è assistito all’arrivo di circa 29 000 migranti in Bosnia, nel 2020 invece di 17 000. Ma nell’ultimo periodo il fallimento nell’accoglierli ha portato ad una crisi ben peggiore degli anni precedenti e ha intensificato l’ostilità della popolazione locale.

Negli ultimi anni l’associazione dei datori di lavoro della Bosnia ritiene che la presenza dei migranti sia nociva al settore turistico, gli abitanti si lamentano sempre di più della loro presenza e lo stesso sindaco di Bihac, Suhret Fazlic, si rifiuta di intervenire per migliorare la situazione.

Dopo che la prima rotta balcanica (Grecia, Macedonia, Serbia ed Ungheria) fu chiusa nel 2016 con un accordo tra Bruxelles e Ankara, altri percorsi si aprirono ai rifugiati che venivano da paesi in guerra o a rischio. Ed è così che attraverso Grecia, Macedonia e Serbia oppure attraverso Grecia, Albania e Montenegro, i migranti arrivano in Bosnia, dove rimangono però bloccati al confine con la Croazia. La polizia croata commette difatti torture indicibili contro chi di loro provi a superare il confine. I militari croati infieriscono pesantemente su questi uomini indifesi, togliendo loro vestiti, scarpe, telefoni e borse riempite degli ultimi ricordi dei loro paesi d’origine.

Un gran numero (circa 1500) di questi migranti di Bihac è stato portato al campo di Lipa, che si trova su una collina a circa 20 km dalla città ed è circondato dalle montagne. Il campo è stato costruito a inizio 2020 in risposta al sovraffollamento di altri rifugi limitrofi ed è stato pensato come rifugio temporaneo a causa del Covid-19. Ma questo campo non è assolutamente in grado di accogliere delle persone; è sprovvisto infatti di elettricità, acqua calda e riscaldamento. Molti rifugiati hanno rischiato di morire per le temperature rigidissime, che arrivano fino anche ai -13 gradi. Le immagini che girano sui social riprendono alcune persone che cercano di coprirsi dal freddo come meglio possono, altre che ai piedi non hanno che delle ciabatte, immerse nella neve. Le condizioni igieniche sono inoltre scarsissime, se non inesistenti, dal momento che non ci sono WC e docce. Alcuni dei migranti hanno perciò preferito rifugiarsi in mezzo ai boschi, dove tentano di ripararsi dal freddo in case o edifici diroccati, per poi spostarsi verso la città e tentare il “game”, ovvero il superamento della frontiera. Altri invece si sono spostati nelle ex zone industriali, dove hanno improvvisato delle baracche abitate da circa 5/6 persone l’una, le quali versano in condizioni disastrose.

Lo scorso dicembre però il campo è stato giudicato non sicuro e soprattutto non attrezzato per l’inverno dall’International Organization for Migration (IOM), organizzazione dell’ONU mandata sul posto per intervenire. Il 23 dello stesso mese è stato quindi abbandonato. Pochi minuti dopo la partenza, al campo è scoppiato un incendio che ha distrutto tutti gli alloggi, impedendo quindi un possibile ritorno dei migranti.

Il problema principale che rischia di compromettere i diritti umani fondamentali e la dignità dei rifugiati, risiede nei dissapori che ci sono tra le autorità locali, l’OIM e i politici nazionali di Sarajevo. I bosniaci, in particolare in questo caso gli abitanti di Bihac, non vogliono che i migranti stiano in città: da anni ormai le autorità locali di Bihac protestano contro il governo di Sarajevo e spingono per creare centri d’accoglienza in luoghi più lontani, come ad esempio Lipa.

L’OIM d’altro canto spiega che non può distribuire i migranti che arrivano in Bosnia fra gli Stati Membri dell’UE, così facendo la Bosnia diventerebbe difatti l’obbiettivo principale di tutti i migranti che vogliono raggiungere l’Europa.

Il governo di Sarajevo spinto dall’EU ha insistito affinché, dopo la chiusura del campo di Lipa, il consiglio comunale di Bihac riaprisse un ex centro d’accoglienza in città, noto con il nome di Bira, chiuso a settembre 2020. La popolazione locale ha allora iniziato a manifestare e fare dei picchetti fuori da Bira, per protestare contro un eventuale riapertura.

I migranti, che fino ad oggi hanno vissuto in condizioni disumane, sono ospitati adesso in delle tende militari riscaldate, allestite nei pressi del campo di Lipa. Dopo l’incendio, le organizzazioni locali ed internazionali stanno lavorando per convertire la struttura in un campo profughi permanente, attrezzato per l’inverno e provvisto di ciò che serve a preservare la dignità e i diritti dei migranti.


a cura di Elisa Capitani 

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