Ali è un pittore disabile, non può camminare. Il suo unico sogno è quello di raccontare la bellezza dei colori al suo amico cieco: un gigante buono che lo porta in spalla ovunque per le strade della sua città.
Necdet, il regista di questo film ha voluto mandarci questa intervista, che è stata tradotta rimanendo il più possibile fedele ai concetti chiave del suo racconto.
Quasi cento chilometri a sud di Diyarbakir c’è Mardin, città multiculturale dove la lingua comunemente parlata è l’arabo. Curdi, Assiri e Arabi comvivomo in un centro storico che è visitato da viaggiatori e turisti. La presunta pericolosità della regione, insieme alla scarsa promozione internazionale, impedisce ai suoi edifici storici di essere ancora più visitati. "Questa è la Mesopotamia!", esclama Necdet Yigit, regista di cinema di 24 anni e autore di DARK, nato a Kiziltepe, la città più grande della regione di Mardin. A Kiziltepe, la polvere rende l’aria quasi irrespirabile. Laggiù passa la Via della Seta, ricoperta di pulviscoli e sempre in costruzione a causa dell’attività commerciale più importante della regione: la produzione di calcestruzzo. L’unica via d'uscita dalle fabbriche per i giovani è quella dei camion. «Qui ognuno è un camionista o lavora nell'edilizia. Io non volevo, volevo fare film ”, ha detto dopo aver riconosciuto che ha lavorato per due anni presso la Kosar Beton (azienda di calcestruzzo) per aiutare alla sua famiglia.
Un anno fa, nonostante l'opposizione della famiglia, ha formato con diversi amici l’Agenzia Mesopotamia, dedicata al cinema e agli spettacoli circensi. La principale fonte di reddito sono i figuranti per le centinaia di film e serie girati sulle colline della regione di Mardin. «L'inverno è sempre un po' peggio, ma con la guerra molti progetti si sono fermati. Prima c'era sempre da lavorare con TRT - televisione di stato turca - mentre ora è impossibile" afferma Nedcet, ribadendo che "Mardin è il cinema”. Ryan Doyle, un corridore libero che ha girato un video per Red Bull nella sua città vecchia, ha riconosciuto che “è una delle location più epiche che abbia mai visto. È come un film”. Necdet, che ha diretto diversi cortometraggi, ha appena finito un film realizzato con l'aiuto di Yilmaz Erdogan, uno dei maggiori esponenti dell’arte audiovisiva in Anatolia. Erdogan - quello del cinema, non il presidente - gli ha regalato una macchina fotografica professionale, obiettivi, un treppiede, faretti.
«È curdo, come noi, e vuole che crediamo all'arte, per sviluppare il talento che ha la nostra città. Questo è uno dei miei obiettivi perché voglio vivere in Kurdistan accanto la mia famiglia e il mio popolo». Così come molti altri curdi, il regista vuole un futuro all'interno di questi confini immaginari: ciò comprende parlare di corsi all'estero, di Europa e, ovviamente, di calcio. “Riconosco che mi piacerebbe viaggiare, magari andare a studiare ad Hollywood, ma sempre per poi tornare qui, dove sono le mie radici.”
Ribadisce che la sua vita è il cinema, seppur la sua famiglia è ancora restia ad accettarlo. Ora, con la guerra, la sua sfida è un po' più difficile «Devi pagare le cose, mandare soldi a casa per i tuoi fratelli. Ma continueremo a combattere. Potrei sempre tornare a lavorare nel settore edile», dice. Di questi tempi molti commercianti hanno chiuso per il coprifuoco. Tante piccole aziende hanno dovuto serrare completamente. Nella città di Diyarbakir i sindacati locali sostengono che l'impatto dei due mesi di accerchiamento hanno creato migliaia di sfollati, ed anche alcuni hotel hanno dovuto chiudere. 10.000 curdi sono tuttora senza lavoro, mentre nel 2014, secondo i dati di governo, il numero di turisti stranieri che ha visitato Diyarbakir è raddoppiato. Ma quest'anno, il conflitto causerà una caduta drastica: pacchetti turistici nel Kurdistan settentrionale vengono cancellati e gli hotel stimano che l'occupazione passerà dall'85% al 30% in soli 5 anni. "È una tragedia per tutti", lamenta Necdet. Per mesi, l’attività bellica mpedisce ai turisti di godersi il tramonto dai punti panoramici delle mura della città fortificata di Diyarbakir, qualificata l'anno scorso come patrimonio dell'umanità. Una roccaforte abbracciata da 5.800 metri di pietre sovrapposte in perfetto stato di conservazione, strutturata in strade contorte con architetture di tipi diversi: Romaniche, Elleniche, Sassanide, Armene, Turche e Curde. A Mardin, i monasteri di Gabriel Mor e Deyrülzafaran ricordano il passato Assiro della regione e la moschea Ulu Cami simboleggia il primato dell'Islam. È la Mesopotamia di Necdet la culla della civiltà che - sottolinea - non abbandonerà nonostante il conflitto continui.
A cura di Luca Casartelli



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