Gravidanza a seguito di fecondazione assistita e discriminazione sul luogo di lavoro: la CEDU si pronuncia

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  Redazione
  16 marzo 2021
  4 minuti, 29 secondi

E’ di pochi giorni fa la notizia di una giocatrice professionista di pallavolo citata per danni dalla propria ex squadra per non aver comunicato la propria intenzione di rimanere incinta.

Che poi sia stata la stessa società a invitarla ad interrompere il rapporto di lavoro proprio a seguito della gravidanza, ed eventualmente ad abortire garantendole che sarebbe potuta rimanere almeno in panchina, pare non essere condotta censurabile secondo i tecnici del team.

In ogni caso, sarà interessante seguire gli sviluppi della vicenda anche alla luce della recente pronuncia della Corte europea dei Diritti dell’Uomo proprio in tema di discriminazione di genere sul luogo di lavoro.

Il caso riguarda una donna di cittadinanza croata rimasta incinta a seguito di fecondazione in vitro, la quale si è vista negare il suo status di lavoratrice assicurata e il conseguente diritto a percepire l’indennità perché accusata di aver agito in frode allo Stato.

La donna, infatti, qualche giorno dopo il trattamento aveva affrontato un colloquio di lavoro a seguito del quale è stata assunta, e solo successivamente ha scoperto di essere in stato interessante. Per il Tribunale, tuttavia, la donna avrebbe dovuto astenersi dal sostenere colloqui e dal cercare un lavoro sino alla eventuale conferma della sua gravidanza poiché una persona incinta risulta medicalmente inadatta ad eseguire le proprie mansioni.

Una statuizione molto forte, che nonostante ciò è stata ribadita in ogni grado di giudizio dal Giudice croato e ha costretto la donna a rivolgersi alla CEDU al fine di accertare di essere stata discriminata in contrasto con l'articolo 14 della Convenzione EDU in combinato disposto con l'articolo 1 del protocollo n. 1.

Articolo 14:

"Il godimento dei diritti e delle libertà enunciati nella [Convenzione] deve essere assicurato senza alcuna discriminazione per ragioni di sesso, razza, colore, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, origine nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, proprietà, nascita o altra condizione."

Articolo 1 del Protocollo n. 1

"Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al pacifico godimento dei suoi beni. Nessuno può essere privato dei suoi beni se non nel pubblico interesse e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non pregiudicano tuttavia in alcun modo il diritto di uno Stato di applicare le leggi che ritenga necessarie per controllare l'uso della proprietà in conformità dell'interesse generale o per assicurare il pagamento di imposte o altri contributi o sanzioni."


La Corte di Strasburgo si è detta innanzitutto preoccupata dell’atteggiamento delle autorità nazionali, in aperto contrasto con lo stesso diritto interno croato che prevede il divieto per il datore di lavoro di porre domande in merito alla volontà di una dipendente di diventare madre, e il divieto di rifiutare di assumere una candidata per il solo fatto che sia incinta.

Poi, la Corte si è pronunciata nel merito, scandagliando sia le accuse di contratto di lavoro fittizio stipulato per solo scopo di copertura assicurativa che soprattutto le statuizioni circa l’asserita incapacità lavorativa di qualsiasi donna che sia in stato interessante.

In primis, viene rilevato come il Giudice croato abbia sbagliato ad accogliere le tesi accusatorie mosse dal fondo pensionistico poiché sprovviste di alcuna valenza probatoria su come la ricorrente avrebbe potuto stipulare consapevolmente un contratto di lavoro fraudolento, senza nemmeno sapere se sarebbe effettivamente rimasta incinta o meno.

Inoltre, la ricorrente non aveva alcun obbligo legale di segnalare il fatto di essersi sottoposta a fecondazione in vitro o che poteva essere incinta al momento della conclusione del suo contratto di lavoro.

Vieppiù, la donna aveva versato tutti i contributi dovuti per i 14 anni antecedenti durante il periodo di lavoro svolto presso una diversa azienda, i quali già da soli risultano sufficienti ad accedere alla copertura assicurativa statale richiesta.

Ancora, la Corte è chiara nel rilevare che la gravidanza di una donna in quanto tale non può essere considerata un comportamento fraudolento. Gli obblighi finanziari imposti allo Stato durante la gravidanza di una donna non possono certo costituire di per sé motivi sufficientemente importanti per giustificare una differenza di trattamento sulla base del sesso.

Secondariamente, la Corte si sofferma su un importante principio: anche quando la disponibilità di una lavoratrice è una condizione preliminare per la buona esecuzione di un contratto di lavoro, la protezione accordata ad una donna durante la gravidanza non può dipendere dal fatto che la sua presenza al lavoro durante la maternità sia indispensabile al buon funzionamento dell'azienda o dal fatto che essa sia temporaneamente impedita a svolgere il lavoro per il quale è stata assunta.

Inoltre, la Corte ribadisce che l'introduzione di misure di protezione della maternità sia essenziale per sostenere il principio della parità di trattamento tra uomini e donne nel lavoro, compiendo un ulteriore passo in avanti verso la parità di genere.

Di certo, i risvolti della vicenda italiana non sono prevedibili, ma la pronuncia dello scorso febbraio apre alla speranza di molte donne di tutelare maggiormente i propri diritti di lavoratrici e di madri pur in un contesto ancora fortemente diffidente e discriminatorio nei loro confronti.

Fonti: CEDU, sez. I, sent. 4 febbraio 2021, ric. n. 54711/15

https://dirittifondamentali.it/2021/02/23/la-cedu-su-fecondazione-in-vitro-tutela-della-maternita-e-discriminazioni-di-genere-cedu-sez-i-sent-4-febbraio-2021-ric-n-54711-15/

https://www.repubblica.it/sport/volley/2021/03/09/news/volley_giocatrice_citata_per_danni_per_essere_rimasta_incinta-291329987/

https://unsplash.com/it/foto/_...


a cura di Giorgia Corvasce 

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L'Autore

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