Gli ultimi attentati in Europa, tra vecchie e nuove sfide

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  Redazione
  25 novembre 2020
  6 minuti, 41 secondi

A cura di Laura Morreale

Il terrorismo di matrice islamista è tornato a colpire l’Europa, con gli attentati in Francia tra settembre e ottobre e quello di Vienna, il 2 novembre scorso. Nonostante la vicinanza temporale degli episodi violenti, gli eventi francesi presentano alcuni importanti elementi di discontinuità con la maggior parte degli attentati cui abbiamo assistito negli ultimi anni sul territorio europeo, rispetto ai quali invece l’attacco di Vienna si pone in continuità. In questo articolo, cerchiamo di analizzare sinteticamente il perché gli attacchi francesi possono essere considerati particolari, prendendo in considerazione le informazioni attualmente note e i pareri di alcuni analisti che si sono espressi in merito alle vicende.

Il carattere sui generis degli attacchi francesi

Nel giro di un mese, in Francia si sono verificati tre attacchi violenti – l’accoltellamento di due persone di fronte all’ex sede di Charlie Hebdo, la decapitazione di Samuel Paty e l’uccisione di tre persone nella cattedrale di Nizza – legati alla vicenda delle vignette satiriche sul profeta dell’Islam. Oltre ad aver innescato un acceso dibattito di portata mondiale sul significato della libertà di espressione, della sensibilità religiosa e dello status delle minoranze musulmane in Europa, i recenti attacchi hanno spinto alcuni analisti a riflettere sulla loro peculiarità nell’ambito del terrorismo jihadista, e di conseguenza sulle loro implicazioni rispetto alle strategie di contrasto e prevenzione.

Il primo dato significativo è l’assenza di rivendicazioni di questi atti da parte di gruppi terroristici. Le dichiarazioni pubblicate sui canali di comunicazione di varie formazioni jihadiste si felicitano per gli attacchi, incitando a colpire nuovamente la Francia, ma non rivendicano il patrocinio degli attentati come è successo per molti altri casi. Ciò potrebbe essere interpretato, innanzitutto, come un effetto della ridotta capacità da parte di grandi organizzazioni terroristiche di coordinare o supportare materialmente degli attentati in Europa.

In realtà, gli esperti segnalano questo trend già da qualche anno, attribuendolo agli sforzi militari nella lotta al terrorismo internazionale e all’aumento delle capacità di monitoraggio delle intelligence. Dopo gli episodi di Parigi e Bruxelles tra il 2015 e il 2016, molti attentati recenti non hanno assunto la forma di operazioni coordinate: l’azione individuale, spesso condotta con armi di immediata reperibilità come coltelli e mezzi di trasporto, è stata il pattern più frequente del jihadismo in Europa.

Tutto questo, però, assume una connotazione nuova se rapportato anche all’assenza di dichiarazioni, da parte degli attentatori, della propria affiliazione a un determinato gruppo terroristico. Secondo quanto reso noto da Jean-Charles Brisard, direttore di un’importante agenzia anti-terrorismo francese, nessuno di loro era noto alle intelligence per aver militato attivamente in un’organizzazione terroristica o per aver espresso supporto a gruppi radicali.

Apparentemente, queste azioni hanno avuto come unico movente quello di “vendicare” il profeta per le vignette considerate blasfeme, a prescindere da una dimensione di militanza. Secondo Wassim Nasr, giornalista francese ed esperto di jihadismo, la specificità di questi attacchi risiede proprio nella loro natura apolitica, slegata da istanze che solitamente vengono indicate come moventi da parte dei movimenti jihadisti.

In diversi episodi di terrorismo è emerso, dalle ricostruzioni successive, l’appartenenza a una rete reale o virtuale di militanti, nonché dichiarazioni espresse prima o durante le violenze che indicano un’affiliazione o delle istanze definite. Se questa dimensione è venuta a mancare, nei recenti avvenimenti francesi, ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso rispetto a ciò che comunemente indichiamo come “jihadismo”. Più che dei militanti in senso stretto, i tre attentatori sembrano essere degli individui motivati principalmente da fanatismo religioso, sicuramente influenzati dai discorsi portati avanti da determinati ambienti estremisti, ma non parte attiva di essi.

Potrebbe sembrare una differenza sottile, "ma non lo è", spiega Nasr. Il fanatismo religioso può includere potenzialmente uno spettro molto più ampio della militanza jihadista, poiché si basa su concetti che possono avere una presa maggiore rispetto a quelli proposti da gruppi come AQ e IS, i cui discorsi sono invece considerati settari e “non ortodossi” dalla maggioranza dei musulmani. Molti hanno espresso indignazione per la scelta di pubblicare le vignette, considerate blasfeme e offensive: ciò non significa ovviamente che queste persone condividano la violenza seguitane, ma sicuramente rende difficile, per le attività di monitoraggio e contrasto al terrorismo, individuare tra le espressioni pubbliche di contrarietà la presenza di segnali indicanti la volontà di perpetrare un attacco violento.

In questo senso, le misure di contrasto e prevenzione della radicalizzazione previste dalle legislazioni europee potrebbero essere inadeguate a prevenire questo tipo di atti, essendo esse basate sulla ricerca di indizi che denotano interazione con gruppi estremisti militanti. D’altra parte, essendo questi tre atti scaturiti dall’istanza specifica legata alle vignette di Charlie Hebdo, episodi di questo tipo potrebbero rivelarsi in realtà occasionali e non raggiungere livelli di diffusione capillari.

La “prima volta” di Vienna: luogo nuovo, vecchie dinamiche

L’attacco di Vienna, il primo di matrice islamista a colpire l’Austria, presenta invece caratteristiche già note. L’attentatore, Kujtim Fejzulai, ventenne dalla doppia nazionalità austriaca-macedone, era un simpatizzante dell’IS. Era stato arrestato nel 2019 per aver tentato di raggiungere la Siria, condannato a 22 mesi di carcere e poi inserito in un programma di deradicalizzazione. Si era dichiarato pentito e aveva presentato, secondo le autorità competenti, buoni segnali di reinserimento sociale. Prima di compiere l’attacco, aveva pubblicato un video in cui dichiarava il suo supporto all’IS, armato di un fucile d’assalto, una pistola e un machete.

Vari studi sul fenomeno dei foreign terrorist fighters hanno sottolineato come alcuni aspiranti jihadisti, non riuscendo a raggiungere i territori di guerra, riadattino le proprie intenzioni e decidano di effettuare un attentato in Europa. In alcuni casi, le intelligence e le forze dell’ordine sono riuscite a prevenire attacchi da questa categoria di persone; in altri, i programmi di deradicalizzazione potrebbero aver avuto successo nel dissuadere gli aspiranti terroristi. Ma il monitoraggio di questi individui, anche se apparentemente rispondenti alle aspettative dei programmi di deradicalizzazione in cui eventualmente vengono inseriti, resta fondamentale.

Dopo l’attacco, infatti, la polizia austriaca ha ricostruito la rete di contatti di Fejzulai, e sospetta che alcuni individui potrebbero essere stati, a vari livelli, complici dell’attacco. Si sta cercando di stabilire anche come l’attentatore, che non aveva un porto d’armi, si sia procurato le armi da fuoco. Secondo le ricostruzioni, si sarebbe recato in Slovacchia a luglio per acquistare delle munizioni: la polizia slovacca aveva segnalato alle autorità austriache la sua attività sospetta. Inoltre, si pensa che abbia incontrato, sempre nei mesi precedenti, degli altri militanti tedeschi e svizzeri. A questo proposito, la polizia tedesca ha avviato delle indagini su quattro persone residenti in Germania, già note come islamisti radicali, che potrebbero far parte della rete con cui l’attentatore viennese era in contatto.

Sebbene sia troppo facile dire, a fatti compiuti, che era possibile prevenire l’attentato, è pur vero che questi indizi suggeriscono che è possibile migliorare qualcosa nei sistemi di contrasto al terrorismo. In Europa, tali sistemi non sono omogenei tra i vari paesi, ma rispondono sia a disposizioni previste dalle istituzioni europee che alle varie legislazioni nazionali in materia. In generale, gli elementi che sembrano garantire una maggiore efficacia nel contrasto sono lo scambio di informazioni tra i singoli Stati, la rapidità nel processarle e l’efficace collaborazione tra forze di polizia e agenzie di sicurezza.

Anche se nel tempo queste pratiche sono sensibilmente migliorate – lo si evince anche dal maggior numero di attacchi sventati – si può ancora lavorare su un loro ulteriore potenziamento. E, soprattutto, è necessario lavorare su strategie preventive efficaci: ciò significa non solo agire in modo più funzionale sugli individui già radicalizzati, ma anche sviluppare piani di prevenzione più lungimiranti, capaci di individuare le “aree” (in senso fisico e non) in cui l’estremismo sembra in grado di attecchire meglio, per fornire alternative valide.

Fonti consultate per il presente articolo:

Immagine: https://unsplash.com/photos/rAXH_8R91xc

https://www.lopinion.fr/edition/international/mutation-terrorisme-islamiste-qui-elargit-spectre-menace-227893?utm_source=twitter&utm_medium=social&utm_campaign=barre-partage-site

https://twitter.com/OpexNews/status/1323571268642312192

https://www.lejdd.fr/Societe/sur-internet-une-djihadosphere-de-plus-en-plus-disparate-et-imprevisible-4000900

https://www.nytimes.com/2020/11/06/world/europe/france-attacks-beheading-terrorism.html

https://www.dw.com/en/vienna-terror-attack-police-investigating-21-potential-accomplices/a-55593954

https://icct.nl/app/uploads/2016/03/ICCT-Report_Foreign-Fighters-Phenomenon-in-the-EU_1-April-2016_including-AnnexesLinks.pdf

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