Gli Stati Uniti si trovano ad affrontare le ripercussioni che i numerosi cambiamenti nello scenario politico-economico internazionale stanno avendo sul quadro strategico mediorientale. I policy maker, alla Casa Bianca, si trovano a dover riformulare le proprie linee di politica regionale in un contesto di pulsioni interne per il disengagement, necessità di contenere il principale attore revisionista - la repubblica islamica iraniana - e i rapporti complessi con molti dei propri storici partner locali.
Vediamo quindi lo stato dei rapporti tra l’egemone americano e i suoi partner regionali, provando ad evidenziare le discrepanze tra gli obbiettivi del primo e l’azione dei secondi.
Gli USA e i suoi alleati: un rapporto complesso in un tetris geostrategico
Dallo scoppio del conflitto russo-ucraino è apparso ancora più evidente lo iato tra le considerazioni e le priorità di natura strategica degli Stati Uniti e molti dei propri partner regionali.
La reazione statunitense, quella turca, israeliana e della maggior parte dei Paesi arabi del Golfo ha evidenziato le differenti posture di molti alleati regionali di Washington nei confronti di Mosca. Tra gli esempi più evidenti vi sono gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia. I primi non hanno condannato l’aggressione russa in nessuna istituzione internazionale e hanno dato asilo a numerosi oligarchi. La seconda si è fatta promotrice dell’equidistanza tra il blocco occidentale e Mosca, tentando di monopolizzare il processo di negoziazione a proprio favore. I Paesi del Golfo, tranne il Qatar, non hanno voluto soddisfare le richieste degli alleati occidentali riguardo una maggior produzione di petrolio, sia per aumentare le proprie entrate sia per salvaguardare i rapporti con la Federazione russa.
La maggior parte dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) ha voluto capitalizzare i profitti derivati dal momento contingente di rialzo dei prezzi di petrolio e gas per migliorare la condizione delle proprie finanze, provate da due anni di pandemia. Inoltre, da alcuni anni ormai cercano di promuovere una diplomazia multi-vettoriale, cercando di approfondire i legami economici con Mosca e Pechino, a cui sono legate per interessi commerciali e per la definizione dei prezzi degli idrocarburi.
Anche Israele si trova disallineato dai desiderata di Washington. Pur non osteggiando categoricamente il processo di dialogo per un nuovo accordo sul nucleare iraniano, lamenta la mancanza di attenzione riguardo i propri interessi da parte statunitense. Inoltre, come altri alleati, percependo un parziale disinteresse o incoerenza nella politica regionale degli USA, prova a costruire una nuova architettura securitaria con diversi partner arabi, senza pretendere l’avvallo o aspettare la spinta propulsiva da Washington.
Con Ankara i rapporti rimangono ancora tesi. La Turchia continua a promuovere un atteggiamento aggressivo nei confronti del vicino ellenico. Inoltre, il Paese anatolico prosegue la propria strategia da free rider all’interno del blocco occidentale. Secondo alcuni analisti è rilevante la recente opposizione all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO. Oltre ad una battaglia da rivendicare all’opinione pubblica interna riguardo la questione curda, potrebbe essere un nuovo e rischioso escamotage diplomatico del presidente turco al fine di favorire indirettamente Mosca, la quale a sua volta potrebbe mostrare una maggiore tolleranza nei confronti di nuove avventure militari turche nella Siria settentrionale.
Pur essendo positivo per la regione, il miglioramento dei rapporti intra-CCG tra alcuni dei suoi membri ed Ankara e tra questa ed Israele rischia di avvantaggiare Russia e Cina la mancanza di coerenza tra l’azione di questi e quella dell’alleato americano, indebolendone l’influenza nella regione. In un nuovo scenario internazionale sempre più polarizzato, l’ambiguità strategica assunta da numerosi partner degli Stati Uniti potrebbe pagare nel breve periodo ma rischiando di rivelarsi controproducente nel lungo. Le tentazioni neutraliste delle monarchie arabe del golfo e degli altri alleati, pur comprensibili, potrebbero minare la strategia di containment promossa dalla Casa Bianca nei confronti di Mosca e Pechino. A loro volta i policy maker statunitensi sembrano mostrare alcune difficoltà nell'armonizzare in modo mutuamente proficuo i rapporti con i vecchi partner.
Fonti consultate per il presente articolo:
Michele Magistretti
Mi chiamo Michele Magistretti, classe 1997, nato a Milano ma residente a Buccinasco.
Dopo aver ottenuto il diploma di maturità linguista al liceo civico Alessandro Manzoni, ho conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche presso l'Università Statale di Milano dove attualmente frequento il corso magistrale di Relazioni Internazionali. Appassionato di Storia fin da bambino ho maturato negli anni una passione per la Geopolitica e le Relazioni Internazionali.
In Mondo Internazionale ricopro il ruolo di relatore nel progetto di "Framing the World", nel quale mi occupo della sezione MENA.
My name is Michele Magistretti, born in 1997 in Milan but resident in Buccinasco.
After obtaining a high school diploma in linguistics at the Alessandro Manzoni civic high school, I took a three-year degree in Political Science at the State University of Milan, where I am currently attending the master's course in International Relations. Passionate about history since I was a child, over the years I have developed a passion for Geopolitics and International Relations.
At Mondo Internazionale I am an author in the "Framing the World" report, in which I write about the MENA section.