Genesi del femminismo in Medio Oriente

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  Fabio Di Gioia
  18 aprile 2019
  4 minuti, 12 secondi

Il femminismo nel mondo musulmano nasce come movimento transnazionale ad opera di vari studiosi e studiose. Storicamente, si ritiene che il primo intellettuale a porsi il problema della questione femminile nel mondo islamico sia stato Qasim Amin, egiziano che nacque ad Alessandria d’Egitto nel 1865. Egli studiò all’università di Montpellier in Francia e fu tra i fondatori della prima università egiziana, l’università del Cairo, fondata nel 1908, che permise l’accesso alle donne nel 1928 alle facoltà di Lettere e Medicina. In quel tempo, Qasim scrisse diversi testi che fecero da cassa di risonanza al suo pensiero e tra i suoi libri più famosi troviamo Tahrir al-mar’ah (L’emancipazione della donna) e al-Mar’ah al-gadidah (La donna nuova). Amin spinse per riformare le leggi riguardanti: il matrimonio, chiedendo l'innalzamento dell'età minima per contrarlo, la regolamentazione del divorzio e l'abolizione della poligamia, suscitando le ire dei conservatori.

Nel 1923 si formò il Comitato femminile centrale del Wafd, unico gruppo femminista politico e, contemporaneamente, la sua presidente e nota femminista Hoda Sha’rawi fondò, il 16 marzo 1923, l’Unione Femminile Egiziana.

Tra le femministe del tempo, troviamo anche Malak Hifni Nasif che nella sala riunione del partito "La Nazione" tenne le prime conferenze organizzate da una donna egiziana per un pubblico femminile egiziano; nel 1901 avviò il primo programma per donne che volevano diventare insegnanti e nel 1911 fu la sola donna a partecipare al Congresso Islamico ad Heliopolis presso il Cairo. Qui propose l’istruzione superiore gratuita per le donne, l’innalzamento dell’età per i matrimoni minorili da 13 a 16 anni e la possibilità di non indossare l’hijab; anche se non venne presa in considerazione dalla maggioranza maschile, in quanto unica donna presente, rimase tuttavia un simbolo del dibattito femminista nascente.

Nel 1937 si rilevò che il 91% delle donne non sapeva ancora né leggere né scrivere; questo si spiega con la crisi economica del ’29 che aveva colpito anche l’Egitto, paese oramai inserito nell’economia globale, e con la generale preferenza delle famiglie a far lavorare e studiare i componenti maschi che avevano più possibilità di garantirsi un futuro; in particolare nelle zone rurali le donne dovevano combattere con i pregiudizi delle famiglie. E’ doveroso ricordare che, comunque, la condizione della donna differiva, come in occidente, in base al ceto sociale. I cambiamenti riguardarono principalmente le classi medie e alte e, su spinta delle scuole cittadine promosse dalle famiglie benestanti, anche una parte della classe povera che aveva cosi modo di istruirsi, imparare mestieri in laboratori ed emulare nei comportamenti le loro benefattrici di alto rango. Nelle aree rurali, le classi contadine e beduine rimanevano sostanzialmente estranee a questi venti di riforma sociale.

Fu comunque grazie all’Unione Femminile Egiziana e alle ripetute pressioni sociali, come la decisione delle due maggiori esponenti Hoda Sha’rawi e Sizah Nabarawi di togliersi il velo al ritorno dal IX congresso dell’International Women Suffrage Alliance, che nel 1926 si ottenne una prima riforma al Codice dello Statuto personale. In più, nel 1929 si aprì l’accesso alle donne, come citato in precedenza, ai corsi universitari. Per Sha’rawi, infatti, il velo rappresentava un ostacolo sociale per il ruolo della donna nello spazio pubblico; le donne necessitavano di un’istruzione più qualificata e di una maggiore rappresentanza nell’arena politica. Sempre Hoda ricordava come, nell’Egitto dei faraoni e del primo Islam, le donne si trovassero in una situazione migliore; situazione poi peggiorata con la sopraffazione del patriarcato su qualsiasi altra gerarchia sociale.

In quegli anni nacquero altresì movimenti politici popolari religiosi che, approfittando della spinta femminista ai cambiamenti del paese, fondarono sezioni femminili dei partiti; è questo il caso dei Fratelli Musulmani che crearono la Società delle Sorelle Musulmane. Una figura di riferimento per questo movimento fu Zainab al-Ghazali. Le Sorelle Musulmane ritenevano che l’emancipazione femminile dovesse realizzarsi all’interno di uno stato islamico e che il Corano (di per sé) contenesse concetti paritari e volti alla tutela delle donne; secondo la loro leader Zainab al-Ghazali, lo stato poteva e doveva essere guidato dai precetti religiosi e non dal diritto positivo occidentale. Al-Ghazali fu un punto cardine per l’analisi dei movimenti femminili in quanto mise in evidenza le pluralità della società musulmana del tempo; con la sua visione raggiungeva tutte quelle donne che non si sentivano a loro agio accostandosi al femminismo occidentale, per via dei sentimenti anti coloniali o per il differente background culturale, ma che allo stesso tempo venivano escluse dalla Fratellanza Musulmana; offriva loro uno spazio per poter legare la loro esigenza di fede religiosa e di identità culturale con il desiderio di lottare per l’emancipazione femminile.

A partire dagli anni '50, il dibattito sul tema verrà dominato dalle due correnti, quella del femminismo all'occidentale e quella del femminismo islamico. Su queste due strade evolverà l'esperienza delle singole donne del Medio Oriente e, per comprenderla al meglio, bisognerà analizzare i contesti storici e culturali dei singoli paesi.

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L'Autore

Fabio Di Gioia

Dottore in Scienze internazionali ed istituzioni europee, attualmente si sta specializzando nel corso di laurea magistrale in Relazioni Internazionali. È stato Presidente del Collegio dei Revisori dei Conti, Referente di Segreteria e co-ideatore del progetto TrattaMI Bene. È ora Caporedattore e autore per la sezione Diritti Umani.

Bachelors degree in International Sciences and European Institutions, currently majoring in International Relations. He has served as Chairman of the Board of Auditors, Secretariat Liaison, and co-creator of the TrattaMI Bene project. He is now Editor-in-Chief and author for the Human Rights section.

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