Facebook Files n° 3: come Facebook è stato usato per diffondere l’odio religioso in India

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  Francesco Marchesetti
  19 dicembre 2021
  4 minuti, 19 secondi

A dicembre Mark Zuckerberg ha indicato l’India come un Paese strategicamente importante per Meta (nuovo nome societario del gruppo che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp). Le ricerche interne – diffuse dalla whistleblower Frances Haugen nell’ambito dei Facebook Papers – evidenziano tuttavia come i prodotti di Facebook in India siano veicoli di odio religioso e siano stati collegati a scontri di matrice religiosa (tra indù e musulmani) che hanno causato diverse vittime.


Facebook e i gruppi nazionalisti indiani

In un report di un ricercatore di Facebook, intitolato Communal Conflictin India Part I e datato luglio 2020, si dice che i contenuti di odio religioso su Facebook sono cresciuti del 300% nei mesi successivi a dicembre 2019, periodo in cui numerosissime proteste di matrice religiosa hanno attraversato l’India. Nello stesso documento viene riportato come le invocazioni ad agire violentemente contro le minoranze si siano diffuse su WhatsApp negli ultimi giorni del febbraio 2020, mese in cui gli scontri religiosi a Delhi hanno provocato la morte di 53 persone.

In India gli utenti indù e musulmani sono particolarmente esposti a una grande quantità di contenuti che incoraggiano il conflitto, l’odio e la violenza religiosa. In particolare, le ricerche interne di Facebook evidenziano come sia il materiale antimusulmano a generare le maggiori interazioni sul social network; nei gruppi privati di Facebook, in cui gli utenti condividono le stesse idee, si generano infatti contenuti più divisivi, ad esempio i musulmani vengono accusati di aver diffuso il Covid-19, oppure di ricercare donne indù come mogli solo per avanzare un progetto di “sostituzione razziale”.

La grande diffusione di questi contenuti ha portato lo staff di Facebook a intervistare un campione di utenti esposti quotidianamente a tutto questo. Nel documento che riporta le interviste viene citato un uomo indù di Delhi che ha raccontato di ricevere ogni giorno messaggi su Facebook e WhatsApp che lo mettevano in guardia sul pericolo che “i musulmani possano ucciderlo”; un uomo musulmano a Mumbai, d’altro canto, ha raccontato di aver ricevuto diversi messaggi minatori e di aver seriamente temuto per la propria incolumità. La maggior parte degli intervistati, a prescindere dal credo religioso, convenivano che fosse responsabilità di Facebook ridurre questo genere di contenuti.

Nel report Communal Conflictin India Part I i ricercatori hanno collegato due gruppi di nazionalisti indù – entrambi legati al partito al governo del Paese – ai post antimusulmani condivisi milioni di volte su Facebook. Nello stesso report i ricercatori chiedevano in particolare che uno dei due gruppi venisse bandito dalla piattaforma, in quanto violava le regole sull’hate speech del social network; nonostante ciò, il gruppo non ha subito sanzioni (abbiamo parlato dei trattamenti preferenziali di Facebook nei confronti degli account di alto profilo in questo articolo di Mondo Internazionale).

L’altro gruppo, stando al report, “promuove l’incitamento alla violenza con post che deumanizzano i musulmani, paragonandoli a maiali e cani, e diffonde fake news, dichiarando ad esempio che uno dei dettami del Corano prevede lo stupro nei confronti delle donne della famiglia”.

Il report evidenzia come Facebook sia privatamente a conoscenza del fatto che alcuni suoi utenti siano esposti a contenuti pericolosi e che essi lamentino la negligenza della compagnia nel difenderli da tali contenuti.

Il portavoce di Facebook, Andy Stone, non ha risposto alle domande dei giornalisti del Wall Street Journal sui gruppi nazionalisti indù, ma ha affermato che Facebook decide di bannare gruppi o individui “dopo aver seguito un processo cauto, rigoroso e multidisciplinare”.


L’India e il digitale

L’India è un Paese di 1,3 miliardi di abitanti, con una profonda divisione socioculturale che periodicamente sfocia in scontri violenti.

Vengono parlate 22 lingue principali, e l’organo che gestisce i censimenti per conto del governo individua sei diverse religioni con più di cinque milioni di fedeli.

La stratificazione sociale è inoltre profondissima, con il sistema della divisione in caste (ufficialmente abolito nel 1950) che non è ancora andato incontro a un processo di secolarizzazione, e anzi continua a influenzare la suddivisione dei lavori per esempio.

L’India è inoltre alla prima generazione di “digitalizzazione di massa”, e per molti indiani, privi di alfabetizzazione digitale, Internet coincide con Facebook. La compagnia di Zuckerberg, d’altro canto, considera quello indiano come uno dei suoi mercati più importanti: Facebook ha più di 300 milioni di account attivi in India e più di 400 milioni di utenti WhatsApp. Nel 2020 la compagnia ha messo a bilancio investimenti per 5,7 miliardi di dollari per le operazioni di espansione in India e di propulsione della nascente economia digitale del Paese.

Fonti consultate per il presente articolo:

http://www.columbia.edu/itc/mealac/pritchett/00ambedkar/txt_ambedkar_castes.html

https://censusindia.gov.in/census_and_you/religion.aspx

“Facebook Services Are Used to Spread Religious Hatred in India, Internal Documents Show” di Newley Purnell e Jeff Horwitz su The Wall Street Journal del 23 ottobre 2021

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L'Autore

Francesco Marchesetti

Studente di Lettere Moderne.
Aspirante giornalista, certo che l'informazione libera debba essere un diritto universale.

Student in Modern Literature.
Aspiring journalist, certain that freedom of information should be a universal right.

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Società

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