Vetro di Murano: dagli scarti a nuova vita

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  Nadia Dalla Gasperina
  22 November 2021
  4 minutes, 17 seconds

Il vetro di Murano è famoso in tutto il mondo per la sua lunga storia fatta di tradizione, lavoro artigianale, e usanze antiche che lo rende unico in tutto il mondo. Non è solo caratteristico della laguna veneziana, ma è anche al centro dell’economia dell’isola. Spesso le vetrerie sono a conduzione famigliare, ognuna con il proprio Maestro vetraio, ossia artigiani professionisti nella produzione di manufatti che si distinguono per tecnica e firma. Tali particolarità ovviamente differiscono il vetro normale, quello che usiamo tutti i giorni, dai prodotti muranesi: anche se gli ingredienti base sono sempre gli stessi, ossia silice, carbonato di sodio, carbonato di calcio, e pochi altri, il processo produttivo e il risultato finale sono quasi l’opposto. Da una parte abbiamo le grandi industrie che sfornano oggetti in serie, e dall’altra le piccole aziende con prodotti esclusivi. Tuttavia, ciò significa anche che Murano si basa su un’economia in piccola scala, fragile e sensibile a qualsiasi sbalzo in termini di costi e cambiamenti nella produzione. Ormai da molto tempo i vetrai devono confrontarsi con norme europee sempre più stringenti: arsenico, cadmio, e altre sostanze altamente inquinanti o cancerogene, usate più che altro per ottenere colori particolari, sono state abolite negli anni; in più, gli sfridi, cioè gli scarti della lavorazione, vengono considerati rifiuti speciali da portare in discariche fuori dall’isola con enormi costi di trasporto e smaltimento.

Il vetro è normalmente considerato un prodotto permanente, cioè riutilizzabile all’infinito al 100% anche se se ne alterano le proprietà. Se trattato nel modo giusto, può essere rifuso più e più volte, senza bisogno di aggiungere materie prime. Il vetro di murano, invece, è permanente solo in teoria. Infatti, per riciclarlo correttamente, bisognerebbe dividerlo per colore, come si fa con le bottiglie tra trasparenti, verdi e marroni; tuttavia, i manufatti hanno diverse tonalità fuse insieme e separarle è impossibile. Ogni tonalità fonde a una temperatura specifica, cosicché non si possono fondere gli scarti tutti assieme. Il vetro diventa così un prodotto monouso e insostenibile, sia per l’economia sia per l’ambiente. Murano ha quindi bisogno di reinventarsi, di prendere atto dei propri limiti e di superarli attraverso tecniche innovative. Ad ogni modo, uno sguardo al passato non fa mai male: in antichità si usava rifondere il vetro trasparente (chiamato cristallo), se mantenuto puro, mentre il resto veniva spezzato per creare tessere da utilizzare nella creazione di mosaici. Testimonianze del sedicesimo secolo riportano come il vetro di Murano fosse un prodotto di valore non solo nella sua forma di manufatto artistico o di oggetto pratico, come per esempio un contenitore, ma anche nei suoi scarti che venivano rivenduti in modo da riutilizzarli in altri prodotti.

Non è dunque così difficile immaginare il vetro muranese in altre vesti; l'obiettivo non è quello di mantenere il prodotto completamente puro e intatto, ma invece di offrirgli una seconda, e possibilmente terza e quarta vita, creando una sorta di economia circolare interna all’isola e in dialogo con altre industrie, come quella della moda. Se non è possibile ottenere vetro dal vetro, è però relativamente facile impiegarlo in altre funzioni senza mandarlo in discarica: da oggetti d’arte e di design a piastrelle per bagno e cucina. In questi casi non serve infatti dividere i colori o rifonderli, basta aggiungere altri materiali come la ceramica, la porcellana, o collanti a scelta, e il nuovo artefatto è pronto. Le sue caratteristiche primarie sono eque a quelle del vetro che diventa materia prima: unico, prezioso, e irrepetibile. Gli scarti sono ampiamente ridotti, i costi anche, e l’impatto ambientale è minimizzato. Inoltre, in un ecosistema sociale particolare come quello di Venezia, questo tipo di economia circolare favorisce il dialogo tra imprese diverse che magari non sarebbero mai venute a contatto tra loro, se non fosse stato per le 700mila tonnellate di sfridi che si producono annualmente a Murano. L’economia del vetro può dunque promuovere mobilità per molte aziende e industrie sul territorio e non, mantenendo le proprie caratteristiche e agendo su piccola scala. La riscoperta del vetro di Murano è un processo ancora giovane e in continua evoluzione, ma durante la Venice Glass Week, il festival internazionale che la città dedica all’arte vetraria tenutosi lo scorso settembre, sono stati presentati alcuni progetti degni di nota: innanzitutto Murano Pixel, un’iniziativa che coinvolge l’università veneziana di arte, design, e architettura IUAV, insieme ad aziende vetrarie del territorio, con l’obiettivo di trasformare il vetro in nuovi oggetti; ma anche VERO2, che si propone di usare gli scarti polverizzati per produrre oggetti usando stampanti 3D grazie a tecnologie particolari. Murano si è dimostrata quindi ancora una volta in grado di superare i suoi limiti, verso un’economia a basso impatto ambientale ma che mantenga l’essenza del prodotto.

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Nadia Dalla Gasperina

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Ambiente e Sviluppo

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economia circolare murano manifattura riciclo