Siria nel baratro - Parte 3

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  Sara Oldani
  05 May 2021
  5 minutes, 21 seconds

La Comunità internazionale, per porre fine al regime siriano attualmente al potere e dare avvio ad un processo politico che porti ad elezioni libere e democratiche, ha sfoderato un asso nella manica ampiamente utilizzato dalla diplomazia internazionale: le misure sanzionatorie. L’efficacia delle sanzioni ha dato adito ad un forte dibattito: esse impattano in grande misura sulla critica situazione economico-finanziaria della Siria, ma chi paga davvero il prezzo della stessa? Il regime o i cittadini siriani?

Le sanzioni economiche sono uno strumento fondamentale utilizzato dalla Comunità internazionale per fare pressione sul governo siriano, in quanto il processo negoziale non sembra decollare. Tali misure sono state introdotte da UE e USA fin dal 2011 (già vi erano restrizioni negli anni ’70 per la salita al potere del partito Ba’ath) in risposta alla violenta repressione perpetrata dal regime siriano nei confronti dei manifestanti.

Il Consiglio dell’UE ha prorogato le sanzioni economiche fino al 1 giugno 2021, giustificando la sua decisione con il fatto che l’uso della forza avviene tuttora indiscriminatamente contro i civili. Le sanzioni possono rientrare nella categoria delle smart sanctions, cioè impattano sui membri del regime siriano e i suoi sostenitori, tra cui anche le società e gli imprenditori che lo finanziano. La lista di questi individui, costantemente aggiornata, comprende 273 persone soggette al congelamento dei beni e al divieto di viaggiare. Altre restrizioni più impattanti invece sono l’embargo sulle importazioni di petrolio, la limitazione di alcuni investimenti, soprattutto nei settori tecnologici che potrebbero essere usati per il controllo digitale della popolazione e come strumento bellico. In questo modo, secondo la prospettiva europea, non deriverebbe alcun ostacolo per l’invio di aiuti umanitari come prodotti alimentari o forniture mediche [1].

Di differente natura sono invece le sanzioni statunitensi, le quali sono state riassunte nel Ceasar Act, legge entrata in vigore il 17 giugno 2020 su pressione dell’opposizione siriana residente all’estero. Queste misure economiche restrittive hanno ad oggetto non solo gli affiliati al regime, ma anche investitori stranieri che abbiano transazioni significative con il governo siriano o che agiscano per conto di Siria, Iran e Russia anche nei settori delle costruzioni, dell’energia, dell’ingegneria o dell’aviazione militare. Come ulteriore conseguenza, viene previsto il blocco delle transizioni finanziarie e il divieto di entrata negli USA. È comunque prevista una clausola che prevede la legittimità delle transazioni volte all’assistenza umanitaria e al supporto delle istituzioni democratiche in Siria [2].

L’intento di queste sanzioni multilivello, definite come qualcosa senza precedenti, è quello di mettere in ginocchio il regime di Assad e portarlo alla sua caduta grazie alla pressione dei gruppi economico-finanziari del Paese [3].

Il Ceasar Act ha dato vita ad un forte dibattito in ambito accademico sull’efficacia delle sanzioni come strumento per favorire cambi di regime. I critici sostengono che tali misure restrittive avranno l’effetto opposto, come si evince dai casi di Iran e Iraq che hanno favorito la propaganda governativa e il consolidamento dei regimi al potere. Tra questi vi è Anton Mardasov, analista strategico russo, il quale non prevede grandi cambiamenti, in quanto la maggior parte degli investitori in Siria erano già presenti da decenni sulla lista nera statunitense, per cui hanno già un mercato alternativo di sbocco. I sostenitori, invece, portano ad esempio il caso russo: il regime al potere è rimasto invariato, ma le sanzioni riducono il potenziale economico della Russia nello scacchiere internazionale [4].

Quel che è certo è che l’applicazione del Ceasar Act acuisce il disastro economico-finanziario siriano e priva qualsiasi possibilità di ricostruzione per la Siria, la quale, senza investitori esterni rischia di finire nel baratro.

La Commissione economica e sociale per l’Asia Occidentale stima che per la ricostruzione siriana sarebbero necessari 388 miliardi di dollari. Da questo dato si capisce come le cifre impegnate dai partecipanti alla quinta Conferenza internazionale sulla Siria siano esigue e non adeguate (pari a 10 miliardi circa) [5].

Sono quindi state proposte delle alternative agli aiuti umanitari così concepiti: l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale ha sottolineato come dei programmi cash-based all’interno della stessa Siria e destinati al rilancio delle piccole attività, specialmente nei campi profughi gestiti dall’UNHCR, possano portare benefici non solo istantanei in termini di fabbisogno alimentare, ma possano promuovere lo sviluppo e l’emancipazione delle loro comunità siriane [6].

Oltre a ciò, sarebbe necessario intervenire su un piano parallelo, cioè quello sanzionatorio, come affermato dall’OCHA. Le sanzioni così concepite, anche se ufficialmente colpiscono il regime siriano e i suoi sostenitori, in realtà acerbano ancora di più le condizioni drammatiche della popolazione secondo l’opinione del giornalista siriano Enab Baladi: chi era ricco è ancora più ricco e viceversa [7].

Allo stato attuale però, la Comunità internazionale non sembra voler rivedere il suo piano di intervento. Proprio durante la quinta Conferenza internazionale sulla Siria, l’Alto rappresentante UE Josep Borrell ha dichiarato: “Il regime di Damasco non offre un futuro ai siriani e non contribuisce in alcun modo alla stabilità della regione e quindi senza questi cambiamenti non potrà mai essere un partner per la Comunità europea e per la Comunità internazionale” [8]. Fino a che il regime continuerà con la repressione e non intraprenderà la strada negoziale guidata dalle Nazioni Unite, le sanzioni rimarranno in vigore e non ci sarà alcun investimento da parte UE e USA per la ricostruzione.

Nonostante il dissesto economico-finanziario e le pressioni della Comunità internazionale, Bashar al-Assad continua a rimanere al potere, sicuro di vincere le prossime elezioni presidenziali fissate per il 26 maggio 2021. La strada verso una pace positiva è ancora lontana.

Fonti consultate

[1] Consiglio dell’UE, Siria: prorogate di un anno le sanzioni contro il regime, 28/05/2020, https://www.consilium.europa.eu/it/press/press-releases/2020/05/28/syria-sanctions-against-the-regime-extended-by-one-year/

[2] Congresso degli Stati Uniti, H.R.31 - Caesar Syria Civilian Protection Act of 2019, 17/06/2020, https://www.congress.gov/bill/116th-congress/house-bill/31

[3] DARAJ, Caesar Act… Is it Destroying the Assad Regime or Forcing it into Negotiations?, 14/06/2020, https://daraj.com/en/48998/

[4] C. Cornet, Gli effetti collaterali delle nuove sanzioni statunitensi contro la Siria, Internazionale, 17/06/2020, https://www.internazionale.it/opinione/catherine-cornet/2020/06/17/siria-nuove-sanzioni

[5] COFACE, Syrian Arab Republic: Risk Assessment, Febbraio 2021, https://www.coface.com/Economic-Studies-and-Country-Risks/Syrian-Arab-Republic

[6] CSIS, Syria’s Economic Collapse and Its Impact on the Most Vulnerable, 18/02/2021, https://www.csis.org/analysis/syrias-economic-collapse-and-its-impact-most-vulnerable

[7] E. Baladi, Concerns over “Caesar” from becoming “political bazaar”, 3/06/2020, https://english.enabbaladi.net/archives/2020/06/concerns-over-caesar-from-becoming-political-bazaar/

[8] ANSA.it, Siria: Borrell, Ue mobilità 560 milioni di euro per 2022, 30/03/2021, https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/03/30/siria-borrell-ue-mobilita-560-milioni-di-euro-per-2022_4421f425-009e-4c86-a5d5-5c5b185fa246.html

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L'Autore

Sara Oldani

Sara Oldani, classe 1998, ha conseguito la laurea triennale in Scienze politiche e relazioni internazionali presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Milano e prosegue i suoi studi magistrali a Roma con il curriculum in sicurezza internazionale. Esperta di Medio Oriente e Nord Africa, ha effettuato diversi soggiorni di studio e lavoro in Turchia, Marocco, Palestina ed Israele. Studiosa della lingua araba, vuole aggiungere al suo arsenale linguistico l'ebraico. In Mondo Internazionale Post è Caporedattrice dell'area di politica internazionale, Framing the World.

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